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Crema (Cepim), coniugare tutta la catena del ferro

 


L’avvio ufficiale delle attività del nuovo terminal ferroviario dell’Interporto di Parma, dopo la sperimentazione cominciata lo scorso luglio per testare la nuova infrastruttura, soddisfa pienamente Matteo Crema, Logistic & Intermodal terminal Manager di Cepim. «E’ un asset che si può a ben ragione definire moderno, perché riesce finalmente a coniugare tutte le esigenze della catena ferroviaria, a cominciare dalla manovra interna fino alla risoluzione delle possibili problematiche di congestione; siano esse in stazione che al fascio basi di presa e consegna». I tre binari da quasi 900 metri l’uno, sono l’elemento portante che permette all’intera catena di respirare». «Si abbattono i tempi morti: la capacità di accogliere fino a 4 treni in contemporanea permette a ciascun operatore della catena di ottimizzare le proprie attività e senza intaccare il turno notturno. La manovra primaria e secondaria sono fluide così come le operazioni in terminal». 

Un progetto “olistico” che permette a Parma di proiettarsi in profondità nei mercati europei... 
Senza dubbio. La nostra struttura è sempre stata caratterizzata da tracce verso la Francia e il Nord Europa, senza contare le relazioni di collegamento con il Sud Italia. Oggi possiamo guardare verso l’Est Europa che, con i processi di reshoring e friendshoring in atto, offrono grandi opportunità di sviluppo. Penso, ad esempio, alla Serbia, ma anche al collegamento diretto su Stoccarda, e in proseguimento verso Bari, un lungo corridoio fortemente richiesto dal mercato che potrebbe essere attivato già nel secondo semestre dell’anno. 

Come giudica la situazione generale del mercato? 
Siamo reduci da quella che, con giusta sintesi, è stata definita la “tempesta perfetta”. Nel momento in cui il ferroviario stava recuperando terreno si sono succedute una serie di crisi di varia natura fino all’apertura dei cantieri per il potenziamento della rete. Ora, quelli del PNRR sono interventi strategici, nessuno lo nega, ma tra trasformazioni, ritardi e altro bisognerà in qualche modo sostenere le aziende, dar loro un minimo di respiro anche per recuperare credibilità nei confronti della committenza. 

Come si vive questa situazione a Parma? 
Possiamo considerarci se non proprio un’isola felice almeno in controtendenza. Anche perché abbiamo lavorato tanto, e per tempo, ad asset come il nuovo terminal il cui obiettivo principale era abbracciare tutta la catena logistica ferroviaria. Averlo fatto prima degli altri ci concede un vantaggio competitivo che cercheremo di mettere a frutto. Anche perché, progettando un tipo di infrastruttura di nuova concezione, non abbiamo lesinato sotto l’aspetto tecnologico che giudichiamo di ultima generazione sotto tutti gli aspetti. Piuttosto, come obiettivo da perseguire per tutto il sistema, bisognerà prima o poi cominciare a lavorare con più attenzione sull’interoperabilità dei vari sistemi che si stanno sviluppando. Il settore ha bisogno di parlare una lingua operativa comune, oltre a riproporre con maggiore forza l’intermodalità e valorizzare presso le aziende i vantaggi del ferro recuperando la credibilità persa a causa dei troppi disagi di cui si parlava prima. 

In che modo si può invertire la tendenza? 
Il mio auspicio è di poter visitare un potenziale cliente in compagnia di un autotrasportatore e di presentare un progetto; non solo delle tariffe. La logistica, mi si permetta un gioco di parole, deve essere logica. E logica vuole che queste due modalità di trasporto non siano concepite come divergenti o peggio in conflitto. La partizione è nei fatti: primo e ultimo miglio all’autotrasporto, il resto della tratta alla ferrovia. Si tratta di una trasformazione che cambierebbe in meglio anche le due specifiche attività. Poi ragionare con più attenzione su tutti i costi indiretti, sociali e climatici - spesso dimenticati a scapito solo di quelli diretti - che l’intermodalità contribuisce in modo sostanziale a ridurre e infine c’è un altro equivoco che andrebbe chiarito. 

Quale? 
Il treno non è competitivo solo sulle lunghe tratte. Al contrario, con un buon progetto – e non mancano esempi concreti – può risultare efficiente ed economico anche su distanze più brevi, come quelle attorno ai 300 chilometri. Un’ottima soluzione per favorire queste tratte potrebbe essere sviluppare maggiori sinergie tra i centri intermodali italiani, sul modello del Nord Europa.
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