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Parità di genere, il percorso di Wista Italy

 


Gabriella Reccia, avvocato, general counsel del gruppo Nova Marine Carriers e vice presidente di Wista Italy, Women’s International Shipping and Trading Association, parla di parità di genere e del virtuoso percorso intrapreso dall'associazione. 

Parità di genere, a che punto siamo in Italia? 
Male ma non in alto mare. Il vento è molto favorevole e va sfruttato al massimo. Mai come in questi anni si è avuta tanta attenzione, perlomeno formale, alla questione da parte di istituzioni, enti e stakeholder in generale. Tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare ma non possiamo aspettarci un cambiamento d’emblèe; non ci sarà un giorno in cui si dichiareranno sostanzialmente eliminate le differenze di genere ma ci saranno tanti, tantissimi giorni in cui si muoveranno piccoli passi. Ciò perché la disparità di genere, inclusa quella salariale, gli ostacoli alla carriera che, per esempio, affossano le donne dai trenta ai quaranta anni ovviamente non rispondono a regole scritte e, fortunatamente, quasi mai ad intenti deliberatamente discriminatori, ma sono il risultato (rovinoso) di un insieme di fattori atavici, culturali, sociali e strutturali che coinvolgono gli uomini quanto le donne. Per questo, come associazione, lavoriamo moltissimo per l’empowerment femminile. Senza voler generalizzare, penso, per esempio, alla reazione istintiva di una donna cui è proposto un nuovo sfidante incarico. Il primo pensiero è “sarò all’altezza? Riuscirò a continuare a far quadrare tutto?” E’ ora che le donne imparino a misurarsi il giusto, a non doversi sentire necessariamente perfette bensì “potenti” proprio come si sentirebbe un uomo e pretendere, poi, che tutto il resto un po’ si adegui anche alla sua scelta. E’ un cambiamento di prospettiva notevole. 

Wista ha di recente festeggiato un importante compleanno… 
Trent’anni dalla sua fondazione celebrati con la pubblicazione di un volume “Donne sul ponte di comando: trent’anni di storia e di storie delle professioniste del mare” edito da Mursia, presentato in undici Autorità di Sistema Portuale ed il 20 marzo scorso a Palazzo di Montecitorio per iniziativa della IX Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei deputati alla presenza tra gli altri, dei Ministri Calderone e Musumeci. Come dicevo il tema “scotta” e Wista è diventata un riferimento importante. La Regione Liguria, per esempio, ci ha volute al suo fianco per la creazione di un board per la promozione delle donne nella Blue economy. Gli organizzatori di convegni e le università sovente ci contattano per avere professioniste qualificate nei loro panel e ciò grazie anche alla campagna “No women no panel” promossa in Italia da Assoporti. 

Che cosa è cambiato in questi trent’anni? 
Wista International è nata a Londra cinquanta anni fa ed oggi abbraccia 62 paesi con 5.100 socie in tutto il mondo, segno che cambiano i tempi e le latitudini ma le problematiche sono le medesime, in misura diversa ovviamente. Di recente è entrata la Cina, abbiamo socie che definisco valorose in Africa o nei paesi del Medioriente che meritano molto supporto. In Italia sono partite in cinque, da Genova, guidate da Marisa Marciani Vignolo, una delle prime broker donna negli anni sessanta ed ancora nostra socia. Oggi siamo 101, rappresentiamo, quanto a professioni, l’intero cluster marittimo e dei trasporti e copriamo quasi tutto il territorio nazionale. Quello che è emerso dal racconto corale del libro è che trent’anni fa le pochissime donne attive nello shipping neanche si sentivano discriminate, non lo percepivano. Lavoravano indefessamente e per loro era normale guardarsi al tavolo e trovare solo uomini, ad eccezione della segretaria s’intende. Oggi le donne, soprattutto le giovani, sono, molto più consapevoli. Preparate non solo professionalmente ma anche al gender gap. Hanno elaborato il problema e lavorano alle soluzioni: fanno network. 

I numeri in Italia e nel mondo? 
I dati disponibili non sono certamente propri di un paese moderno ma ci incoraggiano a fare di piú e meglio. Negli ultimi anni, l’IMO (International Maritime Organization) e Wista International, preso atto della pressochè totale assenza di dati, hanno avviato un’intensa attività di monitoraggio nel settore a livello mondiale. Nel 2021 hanno, quindi, istituito un survey internazionale da ripetersi con cadenza triennale; l’ultimo si è chiuso a gennaio scorso, lo abbiamo diffuso tramite le varie associazioni del cluster grazie anche a Federazione del Mare e cui mi auguro un numero significativo di aziende italiane abbiano risposto. I risultati saranno pubblicati tra qualche mese. Tre anni fa era emerso che a livello mondiale, in termini aggregati, la componente femminile nell’industria marittima si assestava al 2 per cento di cui la maggior parte nel trasporto passeggeri e prossima allo zero quelle in posizioni apicali. Ci aspettiamo risultati un po’ più incoraggianti quest’anno. 

Come intervenire per migliorare la situazione?
Ci sono due tematiche importanti da affrontare: il primo è la conoscenza da parte delle donne delle professioni marittimo portuali. Anche nelle città che hanno una cultura marinaresca, le ragazze spesso non hanno idea di tali sbocchi. Per questo con Wista stiamo pensando ad un progetto che coinvolga le scuole medie inferiori, per raccontare alle giovanissime che le donne possono essere ufficiali, anche di macchina, operatrici portuali, di rimorchiatori, gruiste etc. Devo anche segnalare che vi sono realtà virtuose in questo senso, penso ad APM Terminals di Vado Ligure, per esempio, che abbiamo visitato e che ci ha sorpreso accogliendoci con moltissime giovani operatrici portuali. L’altro problema, in qualche modo collegato al primo, è l’abbattimento delle barriere per così dire strutturali. Mi riferisco all’adeguamento degli ambienti, degli spogliatoi nei terminal, delle cabine o servizi igienici sulle navi cargo, delle dotazioni di sicurezza a misura di donna, alla necessità di illuminare i piazzali e a tantissime piccole banalità che farebbero la differenza. Occorrerebbe, poi, che gli armatori promuovessero con maggiore forza il rispetto della cultura di genere e di inclusione a bordo. Essa passa per l’abbattimento di stereotipi, revisione del linguaggio e dei comportamenti, rispetto delle gerarchie. In mancanza, temo che l’empowerment non basti. Anche i giornalisti potrebbero fare qualcosa.
 
Cosa, nello specifico?
Modificare il linguaggio. In questi anni abbiamo collezionato una quantità di titoli di stimate testate del cluster che si perdono in stereotipi ininfluenti e svilenti. Ogni volta che si scrive di donne nel nostro settore come in altri, un giornalista dovrebbe chiedersi se userebbe gli stessi aggettivi o le stesse attenzioni per un uomo. Escludo ci sia cattiva fede ma se sono un’armatrice e ho finalizzato un’acquisizione, che io abbia gli occhi blu ed indossi la gonnella francamente non interessa a nessuno! 

Cosa vi augurate per Wista? 
Che non abbia più ragione di esistere. Il giorno in cui le nostre figlie non troveranno il senso di un’associazione con questa mission, potremo fieramente chiudere i battenti ed occuparci di altro. Sarà un giorno bellissimo per il nostro Paese che avrà recuperato risorse.
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