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Fuochi:"Più attenzione ai nuovi mercati"

 


La logica di Riccardo Fuochi sulle questioni che riguardano i rapporti internazionali è dir poco lapalissiana: «non ci si può autoescludere dai mercati più dinamici, ci sarà sempre qualcun altro che andrà a cogliere le opportunità che si aprono». Meno scontato è il corollario successivo che ben evidenzia il deficit che zavorra il sistema Italia: «avere le idee chiare, sapere cosa chiedere nell’ottica dei reciproci legittimi interesse». Colloquio con il presidente dell’International Propeller port of Milano sulle azioni da intraprendere per non rimanere esclusi dai nuovi equilibri che si stanno creando nell’economia internazionale. 

C’è un problema di interpretazione della nuova globalizzazione? 
Di fronte al crescere della polarizzazione bisogna esercitare uno sguardo più lungo e più profondo. Non si può vivere di rendita soffermandosi solo su alcuni mercati. In ordine temporale, c’è stata la grande attenzione agli Stati Uniti e poi quella per la Cina che, ad un certo punto, era vista come il paese del bengodi. Un atteggiamento miope che ci ha fatto perdere di vista i mercati alternativi. Non solo, quando li si è scoperti all’improvviso si è agito sulla base di slogan e non di fatti concreti. 

Un po' quello che sta succedendo con l’Africa... 
Esattamente. Lo sviluppo del mercato africano è un elemento importantissimo, sia chiaro. Ma non si fanno i conti con le criticità che pure sono tante. Parliamo di 54 Stati diversi, attraversati da fenomeni politici e militari spesso estremi, da dinamiche economiche che vanno interpretate caso per caso, conoscendone a fondo la realtà di base. Faccio un esempio. Negli ultimi mesi è emerso il dinamismo di economie come quelle della Cambogia e del Laos che crescono a doppia cifra. È li che vale la pena di andare ad investire per intercettare la crescita. Ma per farlo si deve allargare lil proprio sguardo sul mondo. 

È uno degli obiettivi perseguiti all'ultima SFMLI 25? 
Uno dei focus dell’appuntamento, dedicato ad una realtà sempre più interessante come l'India, è stato proprio la necessità di una maggiore apertura, di una visione più ampia di quello che può essere il ruolo dell’Italia nel mondo. Conoscere, capire i fenomeni che rendono attrattivo o meno una economia, prima che le posizioni siano già occupate da altri. 

Per questo servirebbe anche il famoso “raccordo” tra logistica e mondo produttivo... 
Senza dubbio. Se a Milano diamo arrivati alla nona edizione della manifestazione è anche perché non si è ancora colta la necessità strategica di questa alleanza. Purtroppo non è ancora passato il messaggio che il servizio è importante quanto se non più dei livelli di costo. La logistica è fondamentale per proiettare, attraverso il suo know how, la produzione italiana sui mercati esteri. Invece, facendo leva solo sul costo, si privilegiano i grandi gruppi, con la perdita di controllo su una parte del ciclo di distribuzione della merce. E la rinuncia all’assistenza personalizzata che solo le realtà medio-piccole, tipiche del sistema italiano, possono garantirti. 

Serve una svolta culturale? 
Basterebbe guardare ad un’eccellenza del made in Italy come la moda. Il settore non ha mai rinunciato a controllare l’intero ciclo produzione-distribuzione, affidandosi a realtà logistiche altamente specializzate. I buoni risultati di questo modello sono sotto gli occhi di tutti. 

Qual è la ricetta per favorire l’internazionalizzazione del sistema Italia? 
Una vicinanza maggiore tra aziende e istituzioni pubbliche. Il sistema delle rappresentanze commerciali all’estero in molti paesi funziona egregiamente. I modelli vincenti andrebbero esportati anche nei paesi che pur avendo meno appeal presentano maggiori opportunità. La besa di partenza, ovviamente, risiede nella conoscenza delle particolari dinamiche di un territorio, mediata da chi già opera sul posto.
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