Vie dell’energia, serve un nuovo modello di hub portuale
Il sesto MED & Italian Energy Report evidenzia la necessità di rivedere i modelli portuali in chiave green. “I porti si stanno configurando come veri e propri hub energetici e digitali oltre che logistici. Accanto al ruolo di hub per le commodity fossili, stanno diventano anche luoghi strategici per la transizione green e per favorire il “ponte energetico” tra Europa e Nord Africa”.
Il commercio mondiale di energia uscirà trasformato dagli eventi degli ultimi anni. Da una parte le tensioni geopolitiche (in particolare il conflitto Russia-Ucraina e la crisi del Medio Oriente), dall’altro la transizione verso modelli più sostenibili ne stanno modificando la struttura. Temi come la sicurezza, la diversificazione di fonti e approvvigionamenti, la decarbonizzazione diventano sempre più centrali. E i porti, a cominciare da quelli italiani, diventano fattore strategico per lo sviluppo delle nuove “vie dell’energia”, attraverso le quali si giocherà la sfida della competitività per il nostro Paese e l’Europa.
La foto, complessa e articolata, è quella scattata dal sesto MED & Italian Energy Report, lavoro di ricerca intitolato quest’anno “The energy transition in the Mediterranean between sustainability and security: a dynamic think-tanking approach", realizzato con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e frutto della sinergia scientifica tra SRM (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) e l’ESL@energycenter Lab del Politecnico di Torino, e della collaborazione con la Fondazione Matching Energies.
In questa edizione del Report, presentato al Parlamento Europeo, grazie al patrocinio dei deputati europei Elena Donazzan e Giorgio Gori, vengono analizzati gli impatti delle tensioni geopolitiche nel Mar Rosso sulle forniture di greggio e GNL nel Mediterraneo, la rilevanza della sponda meridionale del mare nostrum nelle forniture di gas naturale, soprattutto dopo l'inizio del conflitto russo-ucraino, il ruolo potenziale delle fonti rinnovabili nella costruzione di un dialogo sull'energia verde nella regione.
Presente anche un focus sui porti e lo shipping che analizza la loro rilevanza nel commercio energetico marittimo del Mediterraneo, identificando i terminal più importanti e i principali chokepoint coinvolti nella fornitura di materie prime energetiche.
È proprio riguardo a questo punto che emerge la centralità della portualità italiana rispetto alla rivoluzione energetica. Con un segmento energy che vale il 35% del totale movimentato, la sfida è quella di “diventare hub della transizione energetica, impegnandosi a rendere più ecologiche le proprie attività”.
Le basi su cui costruire ci sono tutte. “Diversi porti italiani - sottolinea il report - figurano nella top 10 dei principali porti energy dell’area Med, con un ruolo rilevante soprattutto per il trade di petrolio e derivati, sottolinea il report”. (Per il greggio: Trieste (38 milioni di tonnellate movimentate), Augusta e Sarroch (12 milioni di tonnellate movimentate ciascuna); Augusta (9,5 milioni di tonnellate) e Sarroch (7,8 milioni di tonnellate) per i prodotti petroliferi raffinati; Napoli per il gas (1 milione di tonnellate); Porto Levante-Rovigo (6,4 milioni di tonnellate) e Piombino (2,4 milioni di tonnellate) per il GNL).
Non solo. La vicinanza, specie per gli scali del Mezzogiorno, con il Nord Africa, una delle più promettenti aree di produzione rinnovabile, attraverso opportuni investimenti nelle infrastrutture e nella logistica in chiave sostenibile, può contribuire a rendere i nostri porti attori chiave, rafforzando la posizione geostrategica dell’Italia nel bacino.
“Le stime autorevoli dell’ESPO (European Se a Port Organization) hanno mostrato come la sostenibilità sarà il driver strategico degli investimenti dei porti europei nei prossimi 10 anni; una survey condotta su 173 autorità portuali in 85 Paesi ha mostrato come oltre il 90% dei porti abbiano piani di investimento in infrastrutture e in sostenibilità. Inoltre, circa un terzo dei porti analizzati destinerà spazi alla produzione di energia rinnovabile, mentre il 13% espanderà gli impianti di produzione energetica esistenti”.
In quest’ottica il primo obiettivo verso cui convergere è quello di essere in grado di attrezzarsi per rifornire le navi con combustibili alternativi. “Lo sviluppo di nuove infrastrutture energetiche, come i terminali di GNL e le strutture di bunkeraggio per i combustibili alternativi, può aumentare la sicurezza energetica e ridurre la dipendenza dai combustibili fossili. Passando a fonti energetiche più ecologiche nelle operazioni portuali, i porti possono costituire un precedente per le pratiche sostenibili, migliorando l'efficienza energetica e riducendo le emissioni”.
Diventa essenziale, dunque, “la capacità di accogliere navi con propellenti come metanolo, GNL, ammoniaca”. “Con il 7,6% (2023: 5,3%, 2017: 2,5%) della flotta in mare e il 52,6% (2023: 45,5%, inizio 2017: 10,8%) del portafoglio ordini in termini di stazza (GT) in grado di utilizzare carburanti o propulsioni alternative, si prevede che il 9% della capacità della flotta globale sarà alimentato in modo alternativo entro la fine del 2026”.
Ma le opportunità saranno legate anche allo sviluppo di idrogeno verde nei Paesi della Sponda Sud.
“I Paesi costieri della Sponda Sud possiedono un potenziale significativo non solo per la disponibilità di acqua ed energia, ma anche per l'esistenza di infrastrutture portuali, che potrebbero produrre e stoccare idrogeno verde, da esportare verso l’Europa”.
Per realizzare questo “ponte verde” sarà però necessario un maggior protagonismo nel Mediterraneo, di cui il Piano Mattei rappresenta un primo passo: “una nuova diplomazia energetica, che puntando sulle interconnessioni costituisca un modo concreto e sostenibile di affrontare la transizione energetica. Un asse di intesa sull’energia che consolidi il dialogo tra le sponde del Mediterraneo e che sia un tassello ulteriore nella strategia per rendere l’Italia hub energetico per i flussi fra Europa e Africa”.