La grande battaglia oceanica sui noduli polimetallici
La Clarion Clipperton Zone (CCZ), una gigantesca area di fondale marino profondo che si estende per oltre 4,5 milioni di chilometri quadrati nell’Oceano Pacifico, è stata designata per la potenziale estrazione per ben tre milioni di chilometri quadrati, equivalenti alla superficie dell’India. In questa zona sono presenti circa 10 milioni di specie marine, tra cui anche i noduli polimetallici, considerati dei veri e propri ecosistemi che producono ossigeno e che sono diventati il nuovo obiettivo delle multinazionali che si occupano di estrazione mineraria.
La ricerca scientifica oceanica ha chiaramente indicato che l’estrazione dei noduli arrecherebbe enormi danni ai fondali marini, distruggendo complessi ecosistemi che impiegano milioni di anni per formarsi, innescando conseguenze catastrofiche per tutto il Pianeta. Facendo delle analisi lungo una vasta regione della dorsale oceanica del Pacifico gli scienziati hanno scoperto che nelle profondità marine possono avvenire particolari reazioni che portano al rilascio di ossigeno.
Il fenomeno è dovuto alla presenza dei depositi minerali molto particolari, i noduli polimetallici, che, come una sorta di batteria naturale, generano una piccola tensione di corrente, simile a una batteria a 1,5 V. La corrente prodotta è in grado di scindere le molecole di acqua, separando l’idrogeno dall’ossigeno, che si disperdono nel mare.
Il 54% dei fondali oceanici si trova oltre la giurisdizione nazionale e non appartiene ad alcuno Stato. Questi fondali, che la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) ha definito “l’Area”, si trovano tra i 4 e i 5 mila metri di profondità e celano vasti giacimenti minerari ricchi in rame, cobalto, manganese, nichel che, considerando la crescente domanda di materie prime, hanno spinto gli stati a una vera e propria corsa allo sfruttamento dell’Alto Mare.
Per estrarre i noduli polimetallici vengono utilizzati mezzi cingolati con rastrelli larghi circa dodici metri che dragano i fondali e che non solo hanno conseguenze devastanti sugli organismi che vivono su quell’area, ma anche nei dintorni, per via del sollevamento di sedimenti che coprono e uccidono altri organismi.
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L’importanza cruciale dell’ambiente sottomarino è al centro di un serrato dibattito internazionale, che solo recentemente ha finalmente prodotto un primo accordo delle Nazioni Unite sulla salvaguardia dei fondali: il Trattato per la protezione dell’Alto Mare.
Un accordo che ha come obiettivo principale la tutela del 30% degli oceani entro il 2030, attraverso la creazione di una rete di Aree Marine Protette: attualmente, infatti, solo l’1,2% degli oceani è sotto protezione totale. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere veramente gli effetti di questo liquame sull’ambiente marino profondo.
Una simulazione dell’estrazione mineraria dal fondo marino è stata condotta al largo della costa del Perù negli anni ‘80 e quando il sito è stato rivisitato nel 2020, il sito non ha mostrato prove di recupero. Qualsiasi disturbo ha conseguenze ambientali di lunga data. Per contrastare la minaccia ambientale rappresentata dal Deep Sea Mining (DSM) è stata recentemente lanciata la campagna “La più grande disputa oceanica al mondo”, che consente ai cittadini di tutto il mondo di rivendicare gratuitamente i fondali della Clarion Clipperton Zone, tutelando le future generazioni e diventando così veri e propri custodi degli oceani. Una iniziativa che consente alle persone di contestare direttamente le eventuali decisioni dell’Autorità Internazionale per i Fondali Marini (ISA) di dividere e vendere il patrimonio comune dell’umanità per accrescere le risorse minerarie.
Domenico Letizia