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Contro il protezionismo più pianificazione doganale


La fase storica della globalizzazione impetuosa si è consumata. I venti annunciati di guerre doganali impongono una revisione della dottrina liberale. Messa da parte una concezione scontata della prosperità l’Occidente è chiamata a fare i conti con una nuova realtà. «Su alcuni settore strategici si andrà incontro a regimi fortemente protezionistici che se da una parte ridurranno i flussi consolidati del commercio internazionale dall’altro potranno alimentarne altri, strutturati in modo differente». Sui fenomeni possibili di nearshoring e friendshoring, Alessandro Laghezza, alla guida di un Gruppo stabilmente inserito nella top rank della logistica italiana, cerca di concentrarsi sulle opportunità emergenti. «Per affrontare questi nuovi tempi sarà necessario, tra le altre cose, una capacità di pianificazione doganale più accentuata: le nuove regole a livello internazionale possono rappresentare uno strumento essenziale sia a supporto dell’export sia per l’avvio di nuovi processi di produzione». 

Attraverso quali meccanismi sarà possibile affrontare queste sfide? 
La semplificazione delle norme sull’origine preferenziale della merce come le prossime PEM 2025 può comportare una notevole spinta verso lo sviluppo degli scambi in realtà come, ad esempio, l’Africa, dove si registrano le condizioni di crescita economiche tra le più promettenti. Facilitare l’attribuzione di un prodotto rende possibile controbilanciare gli effetti negativi delle politiche daziarie, con la conseguenza di rendere possibile operazioni di nearshoring e friendshoring. Non si tratta, è chiaro, di aggirare l’ostacolo ma di mettersi nelle condizioni di affrontare scelte aziendali consapevoli in un ambito, come quello doganale, strategico per garantirsi competitività sui mercati. 

Pianificazione doganale, questa sconosciuta... 
Ci sono realtà aziendali che oggettivamente utilizzano male gli strumenti che pure avrebbero a disposizione. Si prendano le norme sul perfezionamento, sia attivo sia passivo, della merce: un regime doganale economico che opportunamente applicato comporta la possibilità di abbattere parte di costi che, spesso, non si sa nemmeno di sostenere. Questo perché il momento doganale è considerato, a torto, marginale. 

Una questione culturale? 
E anche di dimensionamento aziendale. Nelle realtà medio-piccole l’ufficio logistico è sostanzialmente focalizzato sulla gestione dei flussi fisici. Il segmento doganale, a differenza delle compagini più strutturate, non è analizzato in quanto tale. Al contrario si tratta di un argomento che diventa sempre più complesso e articolato. Necessita di un’analisi e di un aggiornamento continuo. Disporre di una consulenza efficace, separata dalla parte logistica, può diventare la leva per affrontare al meglio le mutate condizioni del commercio internazionale. Quale soluzione per questa criticità strutturale? La diffusione della certificazione AEO può fare molto. Anche in virtù di un’evoluzione della materia che tende a rendere sempre più vantaggiosa essere in possesso di questo riconoscimento. È chiaro poi che anche l’Angezia delle Dogane deve fare la sua parte in termini di facilitazioni dei processi operativi per favorire ulteriormente la consapevolezza da parte delle aziende a riorganizzarsi. 

Come giudica l’introduzione del nuovo codice unionale? 
Personalmente come una grossa opportunità. Certo abbiamo riscontrato un intervento non perfettamente riuscito nell’opera di recepimento nella legislazione italiana. Nel tentativo di coordinamento tra le norme unionali e quelle nazionali si è registrato un inasprimento, a cominciare dal coinvolgimento della sfera penale, fino a quella amministrativa, che tutte le associazioni del comparto hanno prontamente denunciato. Sinceramente, trovo inopportuno sanzionare in modo così duro le imprese che possono sbagliare in buona fede. E non è un caso che la prima denuncia in merito sia arrivata dalle rappresentanze spezzine. Per tutta una serie di ragioni La Spezia rappresenta, sotto l’aspetto doganale, l’eccellenza a livello nazionale, avendo sviluppato da sempre un notevole know how in materia. 

Da dove nasce questo modello La Spezia? 
Il nostro porto è stato fin dall’inizio all’avanguardia nell’adozione delle pratiche più avanzate – dal pre-clearing ai corridoi doganali – grazie ad una felice combinazione tra elementi qualificanti. Intanto, la presenza sul territorio di aziende specializzate in possesso delle migliori competenze. Ma anche la presenza di una realtà formativa come la Scuola Nazionale Trasporti e Logistica che aiuta a coltivare i talenti. Nel corso degli anni i percorsi dedicati alla pratica doganale sono aumentati, attivando un circuito virtuoso che vede le aziende come la nostra e tante altre offrire supporto con stage ed esperienze sul campo. Il risultato è che La Spezia è una sorta di laboratorio, una officina che sforna personale doganale pienamente qualificato. 

Quali sono le priorità future per il Gruppo Laghezza? 
L’internazionalizzazione è tra le maggiori. Abbiamo già le nostre filiali all’estero e stiamo osservando con interesse le opportunità offerte da paesi come il Marocco e l’Egitto, oltre, ovviamente, il resto dell’Europa. L’obiettivo da perseguire è continuare a crescere e strutturarci in tutti i rami del nostro business.

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