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Molfetta, binari da 750 metri per il centro Italia e oltre

 



Quest’anno il porto di Barletta ha movimentato le due enormi “talpe” (macchinari escavatori) che sono attualmente impiegate nei lavori dell’AV Napoli - Bari, così come le tubature in acciaio per il nuovo acquedotto del Locone, oltre a granaglie, fertilizzanti ed altre merci varie. Eppure, Vito Totorizzo, alla guida di ISPOT Spamat, tra le realtà portuali più importanti della Puglia, non nasconde la delusione per le difficoltà incontrate. Sincero come sempre, non riesce a nascondere l’amarezza per una condizione di operatività che reputa compromessa da scelte opache e non in linea con il vero interesse di un porto, ovvero lo sviluppo dei traffici. 
«A Barletta, non operiamo per togliere traffici alle altre realtà portuali ma per portarne ulteriormente, a beneficio dell’economia di tutto il territorio. E ciò nonostante ci troviamo a lavorare con una mancanza totale di spazi che, considerato il nostro potenziale, è inspiegabile. Su un’area totale di poco più di 12.500 metri quadri ne abbiamo a disposizione un migliaio. Per decisioni da parte degli organi competenti poco trasparenti e caratterizzate da evidenti conflitti di interessi lo scalo è consegnato ad un monopolio di fatto. Viene a mancare quella dinamicità imprenditoriale che potrebbe far lievitare le sue performance». 
Uno sfogo rispetto ad una situazione di disagio (ne è scaturita una contrapposizione che ha portato a tre ricorsi al TAR e ad una sentenza favorevole del Consiglio di Stato che si è tradotta, infine, nel riconoscimento delle sue ragioni) che diventa anche spunto per guardare al futuro della portualità italiana. Da vecchio frequentatore delle banchine italiane, Totorizzo ha attraversato da protagonista, anche istituzionale (ha ricoperto il ruolo di segretario generale dell’allora Ap di Bari), diverse stagioni. E oggi che si approssima il dibattito sulla riforma portuale non rinuncia a dire la sua. Senza esprimersi su modelli, forme di governance, perimetri normativi punta diretto al cuore del problema. 
«Anche alla luce di tutte le trasformazione dei mercati internazionali i porti hanno bisogno innanzitutto di personale competente, di persone in grado di capire davvero tutti i processi che si svolgono sulle banchine e le aree portuali, per evitare di scrivere l’ennesima riforma che poco incide sulla competitività del comparto». 
Da parte sua, considerando il lavoro che svolge anche a Bari, dove movimenta più di 72mila TEU l’anno, sottolinea che continuerà a «battersi in ogni sede, affinché sia sempre rispettata la legittima concorrenza tra le attività». 
«I bravi imprenditori portuali – ci tiene a dirlo - devono essere messi in condizione di operare senza impedimenti arbitrari» Con lo sguardo comunque rivolto al futuro, che nel suo caso prende le forme visionarie del grande progetto ferroviario che ha ideato e sviluppato per il porto di Molfetta, si sta apprestando ad affrontare la sua ennesima sfida imprenditoriale. 
«L’idea, condivisa da RFI, consiste nella realizzazione di un terminal ferroviario a soli 400 metri dalle banchine. Si tratta di un investimento tra gli 80 e i 100 milioni per la realizzazione di otto binari da 750 metri. Lungo la dorsale adriatica, Molfetta è l’unico posto dove possono essere realizzate infrastrutture di questa portata. L’obiettivo è far partire treni da Bari o da Molfetta per raggiungere direttamente il centro Italia e poi proseguire oltre confine. Il progetto è in dirittura d’arrivo e abbiamo raccolto un certo interesse a livello di grandi società e gruppi finanziari anche alla co-partecipazione».
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