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La crisi di crescita del porto di Napoli

 



Le punte di congestione che quest’anno hanno messo più volte in difficoltà il porto di Napoli hanno un aspetto paradossale. Sono state alimentate da una crescita sostanziale del traffico, in particolar modo container. Più le banchine macinano “scatoloni” più i flussi si sovrappongono creando colli di bottiglia. Il rischio è che la buona salute dello scalo possa indurre qualche armatore a guardare altrove: la merce non concede ritardi. Gaetano Artimagnella, da poco meno di sei mesi alla guida di Assoagenti Campania, ha avuto modo di conoscere da vicino il fenomeno. E di lavorare a pieno ritmo, di concerto con il resto del cluster portuale partenopeo, alla risoluzione del problema. 

Da dove nasce questa difficoltà? 
Il solo settore container ha registrato un aumento di circa il 20%, con risultati positivi anche per le altre modalità di trasporto legato alla merce varia. Il porto così com’è, in attesa del completamento degli interventi di potenziamento delle infrastrutture previsti, è andato in difficoltà per una paradossale “crisi di crescita”. Con una congestione che sta creando problemi a tutta la filiera economica. 

Come sta reagendo la comunità portuale a questa difficoltà? 
Lo spirito di collaborazione e la disponibilità all’ascolto da parte di tutti i soggetti coinvolti – dai vari operatori alle istituzioni – è fuori discussione. Ma la soluzione può venire solo da tutta una serie di accorgimenti, azioni, scelte che riguardano tutta la filiera produttivo-logistica che insiste sulle banchine. I ritardi che si accumulano si ripercuotono sulle attività dell’armatore, del terminalista, degli autotrasportatori fino all’azienda finale. Tutti, e su questo punto ho potuto registrare un’ampia convergenza, devono fare la loro parte. La soluzione unica, purtroppo, non esiste. 

Le possibili azioni da mettere in campo? 
Innanzitutto la ricerca di nuovi spazi retroportuali, di cui abbiamo discusso nelle ultime riunioni con le autorità preposte e su cui saranno impostati anche i prossimi appuntamenti. Ma qualcosa già è stato fatto. Conateco e Terminal Flavio Gioia hanno esteso le fasce orarie di ingresso e uscita dai gate. Un passo che, per il bene del territorio, dovrebbe chiamarne altri, come la disponibilità ad operare “fuori orario” anche da parte delle aziende che devono ricevere la merce. È tutto il cluster economico che dipende dal porto di Napoli che deve sforzarsi di ovviare a difficoltà che speriamo siano solo temporanee. 

Quali sono le soluzioni strutturali? 
Con il completamento degli interventi di potenziamento infrastrutturale del porto si possono creare le condizioni di un miglioramento dell’operatività. Finalmente si parla intermodale. Siamo solo al primo passo, ma mettere a disposizione dei terminal un fascio di binari renderebbe le operazioni più fluide. Un obiettivo che può essere perseguito anche con la prossima adozione dei più avanzati sistemi digitali, imposti dalle normative Ue. Sono già partite le prime sperimentazioni per il nuovo Port Community System del porto di Napoli. Insieme ai sistemi della Single Window europea tutti gli operatori, a cominciare dagli agenti marittimi, potranno semplificare tutta una serie di procedure. E di questo beneficerà anche lo scorrimento ottimale delle merci. 

Come categoria quali sono le priorità per l’anno prossimo? 
Puntiamo molto sul rafforzamento della collaborazione con gli altri operatori e le istituzioni. Il dialogo è fondamentale per far avanzare al meglio tutto il sistema. L’altro capitolo centrale è costituito dalla formazione degli associati. Come dicevo prima l’uso dei nuovi sistemi digitali rappresenta una grande occasione di qualificazione per il nostro mestiere. Dobbiamo farci trovare pronti e preparati per assolvere a quel ruolo di cerniera tra l’armatore e il territorio che ha da sempre caratterizzato la nostra attività.
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