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Liquidità e velocità dell’attuale geopolitica aiuto alla pace


Approfondimento a cura del Prof. Alessandro Mazzetti
 

Molto probabilmente quando von Clausewitz postulò alcune delle sue attualissime teorie nel suo lavoro più famoso, Della Guerra, a tutt’oggi un capolavoro del pensiero militare, non avrebbe mai pensato che le dinamiche dei conflitti militari potessero seguire linee di sviluppo così rapide ed incisive nel mondo economico. In fondo ciò è comprensibile, poiché quando scrisse tale saggio gli studi sulle accelerazioni storiche e sulla liquidità della società non erano ancora apparsi. Comunque, il giovane ufficiale dell’esercito tedesco fu il primo a comprendere che la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero e proprio strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. Così oggi, molto probabilmente, ci troviamo di fronte al più grande conflitto economico negli ultimi cento anni. Naturalmente quest’ultimo porta con sé una molteplicità non comune di attriti politici, ma soprattutto militari, in perfetta coerenza con quanto delineato dall’alto ufficiale tedesco. Allora in un quadro così dinamico, fluido e complesso si cercherà di delineare alcuni aspetti spesso trascurati dai mas media nazionali. In primis sembrano del tutto evidenti le tante implicazioni economiche che, in modo diretto o meno, hanno acuito le idiosincrasie tra le nazioni tramutando i contrasti geoeconomici in conflitti. Il caso ucraino spesso raccontato come scontro-confronto tra due blocchi in realtà nascondeva e nasconde dinamiche geoeconomiche importantissime come l’annosa questione energetica. Infatti, allontanandoci dalla narrazione comune proposta dai comparti di potere, si può affermare che in primis in gioco nel conflitto non vi fossero le autonomie dei territori del Donbass e degli altri territori filorussi, ma la dipendenza energetica europea dal natural gas liquefied russo. Tale dipendenza aveva determinato un pericoloso avvicinamento della Russia al comparto europeo, non solo culturalmente, ma anche economicamente. Così l’attuale conflitto non solo ha cancellato gli oltre 155 miliardi di metri cubi di gas russo (fornitura annuale richiesta dagli stati europei che tendeva all’aumento), ma anche allontanato, forse definitivamente, Mosca da un possibile asse euro-asiatico che avrebbe in pochissimo tempo preso la leadership mondiale politica ed economica. Allora per chi, come me, è storico di professione, per passione e per tradizione familiare, le analogie con vicende e conflitti del passato sembrano del tutto evidenti. La guerra russo-ucraina ci rimanda al conflitto ispano-americano per il controllo di Cuba (concorrente spietata con gli Stati agricoli del sud degli Usa nel campo del cotone e della canna da zucchero) che con il quale Washington avrebbe consolidato notevolmente il suo confine meridionale. Sempre con Cuba è possibile fare un altro parallelismo in riferimento alla famosissima crisi durante la presidenza Kennedy. L’istallazione di missili a lungo raggio fu percepita da Washington come un vero atto di guerra nei suoi confronti. Beninteso con questo non si vuole giustificare in alcun modo l’aggressione russa, poiché tale è stata talmente lampante ed evidente che ci consente di non dover impiegare altro inchiostro al riguardo, ma sembra abbastanza manifesta la necessità di doverci confrontare con gli avvenimenti della storia. Infatti, nel caso del conflitto ispano-americano l’elemento più marcatamente economico fu sufficiente per far nascere un conflitto mentre nella crisi di Cuba l’elemento dominante fu quello di matrice militare. Nel conflitto russo ucraino compaiono con forza ambedue gli elementi per cui per un certo aspetto bisognava aspettare che deflagrasse. Certo l’arte della politica avrebbe dovuto impedirlo, ma questa è altra storia. Comunque, la connivenza o, meglio, l’interdipendenza tra guerra economica e guerra militare la si evince da molteplici aspetti. Infatti, non è certo un segreto che la recente voglia di energia elettrica non sia stata determinata da questioni di natura ambientali, ma più da motivazioni di natura economica e politica. In pratica questa folta legislazione che ha tentato di anticipare di cinquant’anni la transizione energetica ha portato più danni che benefici senza incidere minimamente sull’inquinamento. Oramai il danno economico era già stato fatto. Per cui non sembra peregrino poter affermare che, quando Bruxelles aveva intrapreso la via dell’elettrico (prodotta ancora per la sua maggioranza con miniere di carbone o nucleare) lo avesse fatto per questioni politiche e non economiche o ambientali. Un esempio? Appunto limitare la dipendenza europea energetica dalla Russia. Gli storici contemporaneisti sanno bene che una delle maggiori motivazioni che spinsero gli Stati Europei nel dirupo della Grande Guerra fu la paura della Francia, ma soprattutto dell’Inghilterra, della poderosa avanzata economica, industriale e finanziaria della Germania del Kaiser. Non solo in uno studio si comprese che la Germania guglielmina in circa trent’anni avrebbe raggiunto una flotta da guerra in tutto equiparabile alla Royal Navy, ma gli economisti tedeschi stavano tentando di fare di Francoforte la nuova city dello scambio economico mondiale. Per cui l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando fu un evento relativo se non il pretesto con il quale far deflagrare il conflitto. Per cui possiamo affermare che dinamiche storiche si innestano in quelle contemporanee solo che si sviluppano ad una velocità a dir poco iper sostenuta. Per cui, il principio di circolarità asimmetrica della storia delineato da Gianbattista Vico rimane validissimo, pur trasformandosi a causa dei processi come le accelerazioni storiche, la liquidità sociale e politica e lo spazio temporale puntillistico. Così il conflitto russo ucraino si allarga, si trasforma e muta creando nuovi equilibri ed improvvisi disequilibri. La necessità di Mosca di alleggerire il fronte ed inibire in qualche modo il copioso afflusso di rifornimenti in Ucraina provenienti dagli Stati Uniti ha fatto sì che l’Iran aiutasse Hamas a concretizzare il recente attacco ad Israele. Gli Usa non avrebbero mai abbandonato il loro alleato storico in quel quadrante così importante. Per cui le forniture e gli aiuti ora si devono diluire tra Kiev e Tel Aviv. Da parte sua l’attacco dei terroristi allo Stato d’Israele ha levato il primo ministro Netanyahu dall’imbarazzo delle inchieste giudiziarie e da un consenso sempre decrescente. Da qui l’intensa attività iraniana che ha appoggiato i famigerati ribelli huthi, ma dovremmo meglio definirli realtà statale, che hanno iniziato ad attaccare il commercio nel mar Rosso tramite droni e non solo dallo Yemen costringendo la quasi paralisi di quell’arteria fondamentale per il commercio occidentale. Proprio la decisione di riprendere la circumnavigazione dell’Africa ha portato ad un rialzo dei prodotti sugli scanni dei supermercati causando non pochi dispiaceri ai consumatori e non più cittadini europei. La preoccupazione cinese e russa che gli Usa potessero agire con la propria flotta in funzione anti-iraniana, impegnata in una continua e poderosa opera di bombardamento d’Israele adoperando missili balistici a lungo raggio, ha fatto sì che Pechino intensificasse dimostrazioni di forza con parte della propria flotta a ridosso delle acque nazionali di Taiwan mentre Mosca svelava la presenza dei propri sottomarini a ridosso delle acque nazionali islandesi. A completare tale quadro compare la continua opera di penetrazione economica della BRICS che ha come primo scopo il soppiantamento del dollaro nello scambio commerciale internazionale e come secondo quello di creare un sistema economico alternativo a quello attuale. Sembrano oramai lontane le teorie dei primi economisti liberali, sociologi e intellettuali come Locke e Saint Simon secondo cui il progresso e la diffusione degli scambi economici avrebbero portato il benessere nel mondo allontanando la guerra tra gli Stati per sempre. In una lettera al figlio il grande filosofo tedesco Hegel sostenne che, se l’uomo ha imparato una cosa dalla storia e che egli non ha imparato proprio nulla da essa. Per fortuna proprio la liquidità e la velocità dell’attuale geopolitica, che fa ammattire ogni analista serio, rappresenta un punto di forza poiché se questo secolo ci ha insegnato qualcosa è che la situazione generale può rientrare molto velocemente e come sempre accade spesso è una mera questione di volontà politica. Comunque, è bene ricordarsi la massima di Vegezio secondo la quale si vis pacem para bellum.
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