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Riforma doganale, altolà di Confetra e Fedespedi

 


Pollice verso da Confetra e Fedespedi al Decreto Legislativo 141/2024 che allinea l’ordinamento doganale nazionale a quello europeo. La “traduzione” italiana della riforma doganale dell’Ue rischia, secondo le due organizzazioni, di impattare negativamente sulle attività di import/export e sull’efficienza e la competitività del nostro sistema logistico. Con una concreta possibilità di trasferimento dei traffici altrove, a causa di un sistema sbilanciato che, come denunciato dal presidente di Confetra, Carlo De Ruvo, “semplifica la disciplina esclusivamente per l’amministrazione finanziaria, trasferendo gli oneri procedurali all’amministrazione giudiziaria penale”. 

Fedespedi, nello specifico, ha richiesto una serie di correttivi in merito alla fattispecie del contrabbando. Secondo la Federazione nazionale delle Imprese di Spedizioni internazionali bisognerebbe intervenire, alzandolo, sulla soglia del livello minimo di dazi evasi per configurare il reato; introdurre l’istituto del ravvedimento operoso per consentire la rettifica degli errori formali compiuti in buona fede; sancire in maniera inequivocabile nella norma il principio dell’accertamento del dolo. 

“Senza i correttivi che insieme a Confetra chiediamo di introdurre – dichiara il Presidente di Fedespedi Alessandro Pitto - la riforma rischia di generare una distorsione dei traffici a favore degli altri Paesi europei con conseguenze anche sulla fiscalità dell’Agenzia delle Dogane di cui un terzo è sostenuta dagli incassi di dazio e IVA. Dalle nostre stime, se l’Italia perdesse anche solo il 10% dei traffici, l’Agenzia delle Dogane incasserebbe circa 2,7 miliardi di euro in meno all’anno”. 

Sotto accusa la revisione dello schema sanzionatorio previsto dalla riforma che punirebbe, come sottolineato dal vicepresidente di Fedespedi con delega customs, Domenico de Crescenzo, “anche in caso di semplici errori formali nelle pratiche doganali che le imprese di spedizioni internazionali svolgono al servizio del commercio internazionale, esponendo gli operatori al rischio concreto di dover intraprendere contenziosi penali e subire gravi sanzioni amministrative, tra cui la confisca dei beni e dei mezzi di trasporto”. “Il reato scatta quando l’errore compiuto genera un mancato incasso di dazio e IVA da parte dello stato superiore a 10.000 euro: è una soglia molto bassa, che si raggiunge facilmente nelle dichiarazioni doganali”. 

“Riteniamo che tale novità legislativa sia contraria al principio di proporzionalità delle sanzioni previsto dal Codice Doganale dell’Unione Europea e manchi sotto il profilo operativo di realismo rinnegando il principio di equilibrio tra esigenze di controllo e agevolazione degli scambi commerciali che sono la forza dell’Unione Europea” – aggiunge Ciro Spinelli, vice presidente Fedespedi con delega legale. “I rischi concreti che individuiamo sono: l’aggravio degli oneri burocratici a carico delle imprese, l’aumento del contenzioso e blocchi di operatività e danni economici correlati a seguito delle misure di confisca amministrativa dei beni in caso di rilievo di contrabbando”. 

Inoltre, si ritiene indispensabile rivedere anche la qualifica dell’IVA all’importazione “come dazio di confine, contrariamente a quanto sancito dal Codice Doganale dell’UE, dalla giurisprudenza a livello unionale e di cassazione”. “Questo elemento è problematico perché equiparare l’IVA ai dazi contribuisce al raggiungimento della soglia dei 10.000 euro che fa scattare la fattispecie di reato,” evidenzia de Crescenzo. 

“È evidente che queste nuove norme non avranno un impatto deflattivo del contenzioso, aggravando le già precarie condizioni dell’amministrazione giudiziaria penale, ed inoltre le imprese dovranno adeguare i propri modelli organizzativi per far fronte a questi nuovi rischi, con notevoli aggravi di costo,” aveva denunciato fin da subito De Ruvo. 

“Confetra ha seguito tutto l’iter procedurale di approvazione del provvedimento e più volte ha insistito con il Governo affinché mutasse indirizzo e ritornasse sui propri passi o, almeno, adottasse, anche se in un contesto di “parossismo giudiziario”, misure di buon senso come l’aumento della soglia dei 10.000 euro (facilmente superabile nella stragrande maggioranza dei casi, con impatti devastanti sul contenzioso penale), la non punibilità per chi denuncia l’errore commesso (per chiara assenza di dolo) e l’esclusione dell’IVA dai diritti di confine (caso quasi unico tra i Paesi UE). Il Governo è invece rimasto sordo – conclude – e non si è confrontato con gli stakeholder, per cui esprimiamo un pieno dissenso sul provvedimento e chiediamo che si adottino con urgenza correttivi che consentano di modificare l’impianto normativo adottato”.
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