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Padova, l'interporto come driver dell'innovazione

 


L’interporto come elemento qualificante delle trasformazioni territoriali. Collettore e tramite di modelli operativi che anticipano e indicano la strada su come affrontare la transizione ambientale e tecnologica. Padova, sotto questo aspetto, ha da sempre rappresentato un laboratorio di idee e di fatti. Sotto l’aspetto accademico, amministrativo, economico e sociale. Un’eredità che ha dopo celebrato il mezzo secolo e che Luciano Greco ha raccolto e sta declinando, da presidente dell’infrastruttura, secondo coordinate solo all’apparenza scontate. «L’efficienza e la qualità del servizio che ci riconosce il mercato sono elementi che sono stati costruiti con un impegno costante e vanno costantemente rinnovati. Ci conforta la crescita che abbiamo registrato quest’anno, attorno all’11%, pur in presenza di una congiuntura economica non certo facile». 

L’Interporto ha da poco incorporato il Consorzio ZIP di Padova, cosa comporterà questa operazione per il vostro futuro? 

Innanzitutto, parlerei di una grande opportunità per la valorizzazione del tessuto economico di tutto il territorio. La logica dell’operazione è quella di creare massa critica attraverso una gestione unitaria delle due infrastrutture. Pur garantendo la continuità delle scelte strategiche avremo una base più ampia per approntare un piano industriale ambizioso. La fusione arriva in un momento storico in cui sono necessarie profonde riconversioni del tessuto produttivo. E non solo sotto il mero aspetto immobiliare. Penso, ad esempio, a tutto il lavoro da fare nei prossimi decenni nell’ambito dell’efficientamento energetico. La gestione unitaria permetterà un lavoro più efficace per il supporto alle attività svolte dalle imprese insediate nella zona industriale. L’interporto ha accumulato tutta una serie di azioni e competenze per offrire loro servizi adeguati alle innovazioni del presente e del futuro, con un occhio attento all’ambiente e al sociale. L’ambizione è riuscire a metterle a frutto, magari diventando un punto di riferimento anche per la realtà cittadina. 

Cityporto Padova compie 20 anni. Come giudica i risultati di questo servizio? 

È stata una scommessa vinta e, date le premesse, non era scontato. L’idea, all’epoca senza dubbio innovativa, di garantire per mano pubblica un soggetto terzo rispetto agli operatori in naturale competizione per le attività di ultimo miglio, ha funzionato. La possibilità di far viaggiare diversi carichi su un unico mezzo ha permesso innanzitutto un abbassamento del costo del servizio. E ha anticipato di fatto, offrendo un modello operativo concreto, tutto il discorso sugli impatti negativi, sia ambientali che urbanistici, legati a questa particolare funzione della logistica. Con l’introduzione dei mezzi elettrici Cityporto farà un ulteriore passo nel futuro. 

È un modello esportabile in altre realtà? 

Intanto va sottolineato come nel corso degli anni Cityporto abbia registrato un’importante evoluzione. Oggi non è più solo un servizio di consegna destinato a servire il centro storico di Padova. In virtù dell’abbattimento dei costi industriali e degli effetti positivi sul resto del tessuto urbano ha trovato applicazione anche in una realtà cittadina più piccola, ma molto orientata alle attività turistiche, come Abano. E quindi si: il modello è replicabile. Tanto che nell’ambito di diversi progetti europei la nostra esperienza è considerata una best practice da tenere in considerazione. Almeno per quelle realtà, e nel vecchio continente ce ne sono tantissime, che sono paragonabili a una città come Padova. Efficienza e qualità dei servizi. 

Su quali leve puntare nei prossimi anni? 

In tema di automazione, che ha sempre visto il nostro interporto all’avanguardia, stiamo lavorando all’ultimo tassello per completare il puzzle: la gestione totale del terminal. A partire dalla prossima primavera i quattro binari da 750 metri, serviti da gru a portale alimentate a fotovoltaico, saranno monitorati da una sala controllo. Di fatto, nessun operatore dovrà più salire a 25 metri d’altezza per operare sui mezzi. Il lavoro potrà essere svolto da remoto da qualsiasi operatore in possesso delle relative competenze tecniche. In futuro, con l’applicazione dell’intelligenza artificiale punteremo a migliore ulteriormente l’efficienza delle varie fasi operative. 

Cosa c’è in programma su questo punto? 

Attraverso droni e piccoli robot possiamo raccogliere e processare dati su tutti i controlli sui treni attualmente effettuati in maniera visuale da un operatore umano. L’impiego di questi dispositivi permetterà alla sala di controllo di verificare in maniera automatizzata le varie operazioni di aggancio o sgancio dei container rendendo possibile un’ottimizzazione ulteriore delle attività. L’obiettivo è quello di avere non solo un terminal automatizzato ma in grado garantire risposte flessibili a seconda delle varie esigenze operative. Sotto questo aspetto il passo ulteriore e decisivo sarà la realizzazione del “digital twin” dell’interporto. Uno strumento che, grazie a una modellistica all’avanguardia, produce una copia digitale di una realtà fisica e permette, dunque, di programmare le operazioni di manutenzione o di valutare le innovazioni da apportare ad un’infrastruttura studiando in anticipo gli effetti delle eventuali variazioni apportate. 

Quanto è complesso costruire un “digital twin”? 

Molto. Si tratta, a tutto gli effetti, di un vestito su misura della struttura che si vuole simulare. E il numero di dati e delle variabili da tenere in considerazione è enorme. Ad oggi, non credo che esista uno strumento di questo tipo nell’ambito degli inland port, ma mi sembra uno sbocco inevitabile. A Padova, ad esempio, abbiamo già utilizzato questo tipo di tecniche per monitorare l’uso della batteria dell’accumulatore di energia collegato alle gru. Ovviamente, si tratta solo di uno degli innumerevoli tasselli che vanno a completare l’attività complessiva di un interporto. La buona notizia è che la maggior parte dei dati che servono li stiamo già raccogliendo. Servirà metterli a sistema.


G.Grande
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