AGOSTO 2024 PAG. 20 - Autonomie diversificate opportunità e pericolo
È tornata con forza, sui quotidiani e rotocalchi nazionali la vexata quaestio, non priva di note polemiche, riguardante il recente decreto-legge sulla autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. In fondo si comprende l’ansietà e la preoccupazione di molti autorevoli analisti ed esperti economici visto l’assoluta importanza del decreto per il futuro economico e sociale del nostro sistema Paese. Una querelle che ha immediatamente coinvolto il variegatissimo e fondamentale mondo Mare italiano. A tale proposito s’impone la necessità, per amor di chiarezza, di dover fare alcune precisazioni sull’attuale sistema economico mondiale che è caratterizzato da continui e sempre più pressanti processi di marittimizzazione che di conseguenza coinvolgono direttamente i sistemi logistici integrati. In pratica il 90% delle merci mondiali si sposta per mare per cui i porti e le logistiche integrate divengono il cuore pulsante del mondo economico. Dunque, non sorprende come proprio il mondo mare nazionale sia stato tra i primi, se non il primo, a sollevare dubbi e perplessità su di un decreto che è comunque, in qualche modo, previsto dalla Carta costituzionale repubblicana (art. 117 Cost.). A questo punto conviene procedere con ordine poiché tale decreto-legge pone in evidenze molteplici questioni di assoluta importanza che coinvolgono molti variegati aspetti. Per tale motivo ci si concentrerà su alcuni di questi come la disparità esistente tra nord e sud del paese, sull’impossibilità di realizzare competitive strategie economiche logistiche nazionali da contrapporre alla concorrenza economica internazionale e sulla idiosincrasia implicita con l’altro decreto ossia quello relativo alla realizzazione della ZES (Zona Economica Speciale) unica del Mezzogiorno (DL 19 settembre 2023, n° 124, convertito in Legge n° 162 del 13 novembre 2023), che come è noto, coinvolge tutte le regioni del Sud includendo anche la Sicilia e la Sardegna. In pratica, come accennato, questa legge porta con sé una serie assai cospicua di criticità economiche e sociali che legittimano la serie infinita di polemiche e preoccupazioni. In primis è bene sottolineare l’endemica disparità di dotazioni logistiche ed infrastrutturali esistente storicamente nel Belpaese. Mentre le regioni del nord possono contare su poderose strutture infrastrutturali lo stesso non si può dire del nostro Mezzogiorno ancora pesantemente avvilito e penalizzato dalla loro scarsezza. Basta scorrere le pagine dello Svimez per rendersi conto del grande divario esistente tra queste due realtà. Infatti, la Campania è l’unica regione, per dotazione infrastrutturale, ad essere in linea con le altre europee. Il quadro si fa molto più cupo se si passa a quelle peninsulari mentre diviene esageratamente drastico quando si analizzano quelle relative alla Sicilia e alla Sardegna. Insufficienza di strade, scarsezza di reti ferroviarie, spesso ancora ad unico binario con locomotive a gasolio, penuria di aeroporti, assenza di segnale internet in vastissime aree ed infine l’assai complessa ed articolata questione portuale, chiudono una realtà eccezionalmente allarmante. Basti pensare che siamo ancora in frenetica attesa della realizzazione di una dorsale veloce che unisca via terra l’Adriatico al Tirreno. Un totale assurdo se si considera l’importanza delle interconnessioni logistiche nel secolo della Blue Economy caratterizzata da una economia basata sul trasporto e trasferimento delle merci e dai processi di marittimizzazione della stessa. Per fortuna il nord del Belpaese non ha tutte queste problematicità o almeno le ha in forma assai inferiore. Per cui la messa in atto di questo decreto, di fatto, traccerebbe un limes indelebile tra due Italie rilanciando con forza una nuova questione Meridionale acuitasi negli ultimi anni dalla delocalizzazione industriale, che ha indebolito enormemente il settore manifatturiero e dall’illusione che il settore turistico possa da solo essere il fattore di sviluppo economico. Insomma, adoperando le parole dello storico Giustino Fortunato: Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno più mette in dubbio. Per cui questa legge congiuntamente ad altri fattori esogeni come la tendenza mondiale a realizzare grandi ed imponenti trade come l’RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), la BRICS in piena espansione, la realizzazione di imponenti strutture logistiche interstatuali e la crisi economica che ci assilla dal 2011, l’instabilità internazionali andrà a deperire un territorio già avvilito da anni da processi di stagflazione economica. L’endemica incapacità politica italiana di pensare a strategie nazionali di uscita da questo fenomeno potrebbe rendere il progressivo deperimento del Mezzogiorno italiano un evento incontrovertibile. Un rischio che, se si dovesse realizzare penalizzerebbe drasticamente anche il norditaliano poiché, non è certo un segreto, che la domanda delle industrie settentrionali italiane dipende per oltre il 70% dalla richiesta del Mezzogiorno. Un effetto domino che potrebbe assumere un valore catastrofico in termini economici e sociali. Altro aspetto assai significativo, come accennato in precedenza, sull’idiosincrasia tra il decreto sulle autonomie e quello relativo alla ZES unica meridionale poiché, mentre il primo tende a regionalizzare i fondi e le strategie d’azione il secondo dovrebbe invece accorparle. In pratica si correrebbe un rischio più che annunciato di incongruità che paralizzerebbe la struttura economica e non solo dando vita ad una vera e propria marea di ricorsi per stabilire di chi siano le competenze su svariati settori dello Stato. Insomma, ci troveremmo in un assurdo burocratico che paralizzerebbe settori indispensabili economici. Il primo a vivere tale disagio sarebbe il sistema portuale e la relativa struttura logistica integrata. È del tutto evidente che i porti sono snodi economici d’interesse internazionale e costituiscono la colonna vertebrale delle strategie economiche in un mondo caratterizzato dalla commercializzazione delle merci. In più, sono soggetti a competenze proprie dello Stato italiano (come la sicurezza, la difesa ecc.) oltreché della Comunità Europea. In pratica si darebbe vita ad un vero e proprio ossimoro legislativo che allontanerebbe possibili investimenti paralizzando una struttura fondamentale come quella portuale. Per poi non parlare del fatto che annullerebbe in pratica molte delle plausibili funzioni del neonato ministero del Mare che stenta a prendere forma e a dare vere indicazioni e strategie di sviluppo. Insomma, un decreto che è stato presentato come alfiere della modernità pare sia sostanzialmente destinato a far si che la politica regionale mantenga il controllo di strategiche strutture nazionali o per dirla come il principe Giuseppe Tommasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Alessandro Mazzetti