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AGOSTO 2024 PAG. 18 - Autonomia differenziata: vita o morte del sistema portuale?

 

Autonomia differenziata: vita o morte del sistema portuale? Giovanni Grande Luigi Merlo Tomaso Cognolato De Ruvo Giampaolo Botta

Proliferazione di aree logistiche, senza programmazione e in assenza di una seria valutazione del mercato di riferimento. Mancato sfruttamento, e non solo nei porti del Sud, delle reali opportunità, sacrificate sull’altare di vecchi schemi; il tutto in un quadro di riferimento normativo e quindi anche di gestione finanziaria delle risorse pubbliche che rischia di essere “terremotata” dall’autonomia differenziata. 

Luigi Merlo inaugura ufficialmente il dibattito all’interno del mondo della “blue economy” sulle conseguenze della cosiddetta legge Calderoli. Entrata in vigore ufficialmente lo scorso 13 luglio, la 86/2024 sarà presumibilmente al centro del dibattito nel prossimo autunno, anche in previsione dei referendum abrogativi in via di approvazione. Il settore dei trasporti è infatti uno tra i 23 previsti nell’articolato processo di devoluzione: due anni di tempo, a disposizione del Governo per definire i fabbisogni standard relativi ai costi necessari ad implementare i livelli essenziali delle prestazioni definiti dalla Commissione Cassese. 

La posizione di netta contrarietà espressa dal presidente di Federlogistica investe principalmente uno dei pilastri strategici acquisiti nelle discussioni sul futuro della logistica: la necessità di una pianificazione volta a rispondere alle esigenze di un sistema di relazioni internazionali alle prese con una riarticolazione di equilibri politici, economici, tecnologici e sociali strutturali. 

“Si trasformano quasi ovunque aree industriali e agricole in poli logistici, senza valutare alcune condizioni essenziali come i mercati di riferimento, il livello di infrastrutture, soprattutto ferroviarie, le valutazioni del mercato, le esigenze della portualità e quelle dell’e-commerce”. 

Ma è sul versante portuale che Merlo esprime le sue maggiori perplessità. 

“Mentre si sottovalutano le opportunità derivanti anche dalla candidatura di molti porti pugliesi, siciliani e calabresi a diventare importanti hub logistici per gli impianti eolici, il pericolo maggiore si cela nell’implementazione dell’autonomia differenziata. Già il titolo V ha mostrato di essere un pesante vincolo per lo sviluppo della portualità. A fronte di un mercato globale che risente sempre più di fenomeni e decisioni di rilevanza mondiale, abbiamo infatti crescente bisogno di una politica portuale nazionale, non del ritorno ai localismi di vario genere”.

Secondo Merlo è chiaro a tutti che i 13-14 miliardi di euro che lo Stato incassa ogni anno da Iva e accise delle merci che transitano nei porti rappresentano un bottino allettante per molte regioni, ma sarebbe opportuno ragionare su un riparto delle risorse evitando di destabilizzare il sistema. “L’autonomia differenziata solleva interrogativi senza risposte. Occorre domandarsi: come si concilia l’autonomia con la più volte annunciata riforma della legge portuale? Chi garantirà l’omogeneità tra porti, situati in regioni diverse, a servizio dei medesimi mercati? Chi saprà garantire coerenza tra i vari piani regolatori portuali? Avremo Presidenti di Autorità di Sistema Portuale nominati dal Governo e altri dalle Regioni? È forse il caso di ricordare come l’esperienza dei porti regionali sia risultata fallimentare rendendo obbligata la scelta di trasferire molti porti regionali (ultimo in ordine di tempo quello di Siracusa) sotto la giurisdizione delle Autorità di Sistema Portuale”. 

“I porti di oggi – conclude Merlo – non sono neppure lontani parenti di quelli di vent’anni addietro: sono già, e diventeranno sempre più, luoghi di conoscenza, tecnologia e sicurezza, votati all’applicazione dell’intelligenza artificiale, alla cybersicurezza, all’utilizzo dei droni subacquei a supporto delle attività di monitoraggio anche nell’ottica delle sfide imposte dal cambiamento climatico. Per questo occorrono una maggiore attenzione del Governo e la creazione di nuove strutture basate su modelli di indirizzo e supporto multidisciplinari. Tutti temi non decentrabili neanche a quegli “Assessorati del mare” che le Regioni dovrebbero istituire e che rappresentano comunque uno sviluppo positivo sulla strada di una maggiore consapevolezza dell’importanza strategica di questo settore. Ma con l’autonomia differenziata, potrebbe delinearsi uno scenario devastante cronicizzando ed esasperando la già carente capacità di intervento su queste tematiche quando invece sarebbe indispensabile e urgente per il Paese poter contare su una riforma che centralizzi la programmazione portuale”.

La posizione di Merlo, il primo ad affrontare di petto la questione, non è isolata. Direttamente o indirettamente, le principali associazione del comparto hanno avuto modo di accennare al loro giudizio sulla riforma nel corso di questi mesi. 

È il caso, ad esempio, quasi negli stessi giorni in cui arrivavano le bordate di Merlo, di Assiterminal, il cui neo presidente, Tomaso Cognolato, ha riservato un passaggio significativo alla questione in occasione dell’Assemblea associativa. Cognolato ha sottolineato che “la centralità del ministero, e quindi della governance, è essenziale per orientare investimenti, uniformare regole e procedure, evitare approcci distonici da porto a porto che possano creare competizioni interne. Abbiamo bisogno, perché il sistema sia efficiente, che le amministrazioni si parlino, a livello centrale, e che i comportamenti a livello periferico siano uniformi, e più snelli. Quanti controlli abbiamo sulla merce e in quante modalità diverse vengono effettuati? Quante visioni diverse sulla port security, sulla safety?”. 

Più nello specifico il presidente di Assiterminal entra nel funzionamento del nuovo assetto: “vogliamo immaginare quante criticità in più potrebbe produrre il non inserimento tra i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni, ndr), previsti per lo sviluppo dell’autonomia differenziata, delle attività portuali? No grazie. Già oggi assistiamo ad alcune letture distoniche tra competenze delle amministrazioni comunali o regionali e quelle delle Autorità di sistema portuale: ciascuno faccia il suo, raccordandosi, nel rispetto delle reciproche funzioni, magari all’interno di Comitati di gestione portuali, che evolvano in una direzione di conferenza di servizi potenziata e unica”.

Scettica anche la posizione di Confetra. La confederazione non è convita dell’inclusione tra le 23 materie oggetto di possibile trasferimento di competenze alle Regioni, delle questioni inerenti infrastrutture, porti e aeroporti. “Un cambiamento questo che desta forte preoccupazione - sottolinea il presidente De Ruvo - Il rischio di frammentazione del sistema e delle politiche di investimento e di regolazione andrebbe evitato, anche per ragioni di parità di condizioni strutturali e concorrenziali di base, ma allo stesso tempo non deve penalizzare le capacità competitive dei territori”. Secondo Confetra, infatti, una visione più ampia dei sistemi infrastrutturali, industriali e dei servizi non può essere limitata ai confini geografici regionali. “Vanno evitate regolamentazioni differenti da territorio a territorio”. 

A fronte di queste contrarietà nette resta ad ogni modo la legittima richiesta di convogliare sui territori, attraverso meccanismi più diretti, parte della ricchezza prodotta dal sistema logistico. È il caso di Spediporto, l’associazione genovese degli spedizionieri, che sottolinea come i porti della Liguria e più in generale quelli italiani “producono un gettito IVA da record per lo Stato ma, in cambio, ricevono le briciole”. “Per dare un’idea della proporzione rispetto agli incassi dello Stato da altre imposte indirette, i porti di Genova e Savona, da soli, portano più soldi rispetto al bollo auto, al lotto e quasi quanto le imposte sui tabacchi,” sottolinea una nota dell’associazione.

Il dato emerge dalla recente ripartizione che riguarda l’IVA prodotta nel 2021 e legata alla legge portuale “Autonomia finanziaria delle Autorità di sistema portuale e finanziamento della realizzazione di opere nei porti”. Un fondo che, peraltro, è stato dimezzato rispetto a quanto sarebbe previsto (l’1% dell’Iva prodotta). 

“Per quanto riguarda i porti liguri, Genova, Savona e La Spezia, insieme hanno portato nelle casse dello Stato, circa 650 milioni di euro, il 31% del totale raccolto dai porti italiani, che si attesta intorno a 20.500 milioni di euro, mentre la Spezia, con oltre 2.000 milioni di euro raccolti, ne rappresenta il 12%. E cosa torna indietro? Una miseria: 10 milioni e mezzo ai porti di Genova e Savona, poco più di 4 milioni alla Spezia”.

“Il sistema dei porti liguri si conferma tra i più importanti contribuenti italiani ed europei per quanto riguarda gli incassi Iva “, continua Giampaolo Botta, Direttore Generale Spediporto che aggiunge un ulteriore elemento di riflessione. “A fronte di un ruolo così importante e strategico nelle casse del sistema portuale e della nostra regione resta poco o nulla. Eppure questi numeri ben evidenziano quanto la logistica portuale, che supporta l’intero sistema produttivo italiano, sia ciò che rende di più allo Stato italiano”.

Giovanni Grande

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