LUGLIO 2024 PAG. 38 - Carriera marittima, crisi di “vocazione” frena lo shipping
«Ad oggi per un cittadino extracomunitario residente in Italia è più semplice diventare Ad di una grande compagnia marittima che potersi imbarcare come sottoufficiale». Si affida ad una provocazione Giovanni Consoli, vice segretario generale di Assarmatori, per spiegare uno dei tanti paradossi dello shipping italiano. La carenza ormai cronica di personale nasce sicuramente da una crisi di “vocazione” della carriera marittima, in questo favorita in parte da una narrazione che non si è adeguata ai cambiamenti profondi della società. Di certo è amplificata dall’arretratezza delle regole. «Il nostro Codice della Navigazione risale alla fine dell’ottocento, va riformato e messo in linea con le esigenze di un mondo produttivo che non riesce più a rispecchiare e ordinare in modo coerente».
In che modo il Codice “interferisce” con la questione imbarchi?
C’è un suo articolo, il 119, che prevede tra i requisiti dell’iscrizione alla “gente di mare” di mare la cittadinanza italiana. Questa prescrizione mette fuori gioco tutti gli extracomunitari che sono residenti in Italia, facendo venire meno un bacino potenziale di lavoratori che potrebbe risolvere parte della nostra carenza di marittimi. Come associazione abbiamo presentato una proposta che permetta quantomeno la possibilità di poter fare domanda per essere iscritti nelle liste della “gente di mare”, anziché andare avanti, come fatto finora, con la soluzione delle deroghe all’imbarco di personale extracomunitario.
Quanti marittimi mancano all’appello?
Sulla base delle indagini statistiche che aggiorniamo periodicamente parliamo di circa 3mila posizioni, nella maggior parte dei casi sottoufficiali, comuni, addetti all’hotellerie e alle cabine. Figure per un sistema come quello italiano, leader nel settore delle “autostrade del mare”, essenziali per garantire un’attività che contribuisce a ridurre tutta una serie di esternalità negative, dalla continuità territoriale all’abbattimento dell’inquinamento e dell’incidentalità sulle strade che meriterebbe un altro tipo di attenzione.
Una situazione che determina, con l’aumento dei costi, anche una minore competitività…
Dover reclutare personale dalle Filippine o dal Sud America comporta certamente un aumento delle incombenze burocratiche, peraltro per un impegno temporaneo di pochissimi mesi. Una vera assurdità, considerando, ad esempio, che per il servizio alle cabine potrebbe essere reclutato senza grandi problemi il personale che normalmente opera negli alberghi. Cosa che un Codice della Navigazione non riformato rende di fatto impossibile.
Quanto pesano le barriere di accesso all’ingresso del mondo del lavoro marittimo?
C’è una oggettiva questione legata ai costi per la formazione iniziale. Sotto questo aspetto il cluster è però riuscito ad ottenere un importante risultato nell’ambito delle interlocuzioni avviate due anni fa con il ministero. In quell’occasione fu presentata una soluzione strutturale come il “bonus formazione” che è stata effettivamente promulgata. Ma avere a disposizione risorse per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro non significa automaticamente aver risolto il problema. Presentati i vari progetti di fabbisogno le varie compagnia sono tuttora impegnate a promuovere la misura per attrarre potenziali lavoratori.
Un’altra battaglia legata al Codice riguarda il 172 bis…
Altra dimostrazione della necessità di riformare. Oggi le annotazioni sul libretto di navigazione sono associate al compartimento marittimo di appartenenza. Ma almeno per le linee regolari chiediamo una semplificazione. Se per questioni operative una compagnia ha bisogno di apportare modifiche all’organizzazione dell’equipaggio perché non poter segnalarle anche agli uffici dell’altro capo della tratta? Ne andrebbe della fluidità complessiva delle operazioni. Tanto che ci stiamo battendo per ottenere almeno in via sperimentale una prima applicazione di questa misura.