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GIUGNO 2024 PAG. 68 - Spazio Marittimo: l’Italia non si conforma all’UE

 

Spazio Marittimo: l’Italia non si conforma all’UE

Con procedura INFR(2021)2223 il 23 maggio 2024, a seguito dell’invio di una lettera di costituzione in mora nel dicembre 2021 e di un parere motivato nell’aprile 2023, la Commissione Europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per non aver correttamente recepito la Direttiva 2014/89/UE che istituisce un quadro per la pianificazione degli spazi marittimi nazionali.

La direttiva definisce un approccio comune che consente ai Paesi dell’UE di pianificare e organizzare in modo sostenibile le attività umane nelle zone marine. 

La ratio di una pianificazione adeguata è conseguire vari obiettivi ecologici, economici e sociali, come ad esempio lo sviluppo di un’economia blu sostenibile, l’uso sostenibile delle risorse marine, la conservazione di ecosistemi marini sani e il mantenimento della biodiversità. Il corretto recepimento della direttiva è essenziale per conseguire gli obiettivi del Green Deal europeo. Con la direttiva in parola si imponeva agli Stati membri costieri di elaborare piani di gestione dello spazio marittimo entro e non oltre il 31 marzo 2021 e di comunicarli alla Commissione e agli altri Stati membri interessati entro tre mesi dalla loro pubblicazione.

L’Italia, tuttavia, nonostante il Decreto Legislativo n. 201 del 17 ottobre 2016, che individuava il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili quale Autorità competente per l’attuazione e prevedeva l’istituzione di un Tavolo interministeriale di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri oltre ad un Comitato tecnico interistituzionale, non ha ancora elaborato né presentato alla Commissione i propri piani di gestione dello spazio marittimo.

Infatti con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° dicembre 2017 sono state approvate solo le Linee Guida contenenti gli indirizzi e i criteri per la predisposizione dei piani di gestione dello spazio marittimo riguardanti il Mar Mediterraneo occidentale, il Mare Adriatico, il Mar Ionio, il Mar Mediterraneo centrale e il Mar Tirreno. 

Ad avviso di chi scrive lo stato di incertezza giuridica che affligge i concessionari sul demanio marittimo del comparto turistico – ricreativo non può più essere “ostaggio” della giurisprudenza amministrativa – ciclicamente controversa considerando quanto fosse già arduo conciliare il Codice della Navigazione con la proliferazione normativa scaturita all’indomani della rivoluzione apportata dal decentramento amministrativo e dalla “regionalizzazione” della materia del turismo.

Premettendo che il Dicastero retto dal Ministro Musumeci, il neonato CIPOM e la redazione del “Piano del Mare” costituiscono senza dubbio dei “passi avanti” rispetto alla mancanza di una Cabina di Regia nazionale, l’approccio politico sull’annosa questione dovrebbe tenere conto che il mare è una risorsa strategica per il nostro Paese. 

È tempo che, onde evitare nuove procedure di infrazione (e nuovi imbarazzi), il Legislatore nazionale “costituzionalizzi” questo principio come indefettibile punto di partenza per dare vita ad una normativa equilibrata, a prescindere dalle risultanze di una mappatura condivisa con Bruxelles. 

Sul tema della nuova disciplina da applicare alle concessioni demaniali marittime turistico-ricreative, un corretto recepimento della direttiva sulla Pianificazione dello Spazio Marittimo avrebbe fornito quelle indicazioni di livello strategico e di indirizzo per il rilascio di concessioni o autorizzazioni sulle quali i vari governi nazionali hanno finora “difficoltà” (per fare un eufemismo). 

Infatti dal Piano in esame deriva quell’efficacia giuridica che è sovraordinata rispetto a tutti gli altri piani e programmi aventi a oggetto le acque marine, ma anche quelli concernenti attività terrestri che possono avere effetti sulle acque marine – rispondendo agli obiettivi per la pianificazione dello spazio marittimo nazionale. 

Il quadro delle competenze legislative e amministrative non verrebbe meno, bensì “inglobato” nel Piano nazionale, ed eventualmente i Piani di Utilizzo delle Aree Demaniali Marittime di cui alla Legge 5 ottobre 1993 n. 494, potrebbero essere armonizzati con le sue previsioni. 

Questi “accorgimenti” renderebbero il Piano idoneo a garantire chiarezza e certezza giuridica degli usi dello spazio marittimo per gli operatori economici, attraverso il coordinamento di diversi atti amministrativi aventi a oggetto attività che si svolgano in mare o che siano comunque capaci di avere un impatto sullo spazio marittimo. 

Per quanto riguarda, nello specifico, il rapporto tra Piano e i piani e programmi concernenti attività terrestri, l’ambito applicativo del primo è diverso, ma esso deve tener conto e incidere relativamente a quegli aspetti che possono produrre effetti sullo spazio marino, in presenza cioè delle interazioni terra-mare. 

Se tale circostanza può essere di “consolazione” l’orizzonte temporale di riferimento del Piano è il 2032, anno nel quale, al più tardi, sarà dovuto un primo aggiornamento tenendo conto ove possibile e necessario di un orizzonte temporale di più lungo periodo (anno 2050). 

Lo strumento in questione consiste in un atto pianificatorio con contenuti di indirizzo vincolanti per le amministrazioni pubbliche, e contenuti conformativi degli interessi degli utenti e dei concessionari dell’uso dello spazio marittimo e regolativi dei relativi comportamenti. 

In particolare, in materia di concessioni per l’occupazione o l’uso esclusivo del demanio marittimo, esso si pone come atto vincolante rispetto al loro rilascio, con la conseguente illegittimità di quelle in contrasto.

Avv. Alfonso Mignone

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