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GIUGNO 2024 PAG. 52 - Sportello unico, una sfida vinta in Europa ma non dall’Italia

 

Sportello unico, una sfida vinta in Europa ma non dall’Italia

La politica è arrivata, con molto ritardo, a capire che porti e logistica sono importanti per un paese che vuole sostenere la propria manifattura, la propria industria, la promozione dei prodotti all’estero, fornendo un contributo ai risultati del PIL nazionale e, quindi, delle vendite italiane nel mondo. Negli ultimi anni si è avuto un forte incremento delle risorse economiche destinate alle infrastrutture, come a voler recuperare il tempo perduto; ma la politica, i decisori pubblici devono rendersi conto, con urgenza, che la logistica non funziona solo grazie alla qualità delle infrastrutture ma anche dei servizi che vanno calati sulle stesse e che devono essere di qualità. Partita complessa, difficile, ma cruciale per la quale serve una seria programmazione. L’argomento racchiude problemi insoluti in questo paese, primo fra tutti quello delle semplificazioni amministrative, ad oggi irrisolto e che impedisce la realizzazione dello sportello unico dei controlli. Una sfida vinta da tutta l’Europa ma, purtroppo, non dall’Italia. Servono semplificazioni e investimenti nei siti strategici, come quelli portuali, con laboratori dedicati alle analisi, ai controlli, personale sufficiente per la fase ispettiva e adeguato ai volumi di traffico che il porto deve gestire. Quando si parla di traffici e volumi è facile pensare alla situazione di forte disagio vissuta dall’autotrasporto, che ha trovato a Genova un importante momento di evidenza pubblica. Una protesta che potrebbe essere replicata in tutte le zone dove le infrastrutture terminalistiche sono cresciute in modo rilevante, al servizio di navi sempre più grandi, ma sono stressate da volumi in continua crescita, concentrati in tempi sempre più ridotti. Un cambiamento epocale, con un mercato in continua evoluzione anche per via di eventi come la crisi di Suez, ma che spesso non ha riscontro in servizi alla merce adeguati; e non si parla solo di quelli resi dal terminalista all’armatore e legati alle tempistiche di imbarco e sbarco, ma anche della velocità con cui i contenitori vengono riposizionati, caricati e scaricati sui camion per essere inviati a destino. In questo anello della filiera ci sono criticità sulle quali intervenire con idee innovative e che si rifacciano a indici di performance di singoli operatori. Non deve spaventare l’assunzione, da parte dei porti, di KPI che incidano sulle reali capacità di performance dei soggetti, sia pubblici che privati, che intervengono nel ciclo terminalistico; va capito dove la filiera si inceppa, dove i flussi dei traffici sono più farraginosi. E poi puntare sui servizi, semplificare, ottimizzare il ciclo e sottoporlo ai KPI. Se misurassimo gli investimenti degli ultimi 50 anni, noteremmo come, di recente, i governi e la politica abbiano puntato sugli investimenti in infrastrutture che potessero essere asservite all’aumento della capacità logistica e di servizio alla movimentazione delle merci nel nostro paese. Ma se analizzassimo gli investimenti per potenziare le amministrazioni che presiedono i controlli o la governance della logistica, o quelli per i laboratori, i centri ispettivi, di analisi o le strumentazioni tecnologiche e software in dote al personale ispettivo, noteremmo un regresso. Si è puntato, sbagliando, su infrastrutture e poco o nulla su risorse umane e servizi. Il più recente report di Banca Mondiale sulla logistica mondiale colloca l’Italia, al 19mo posto, preceduta dai paesi portuali del nord Europa ma anche da Francia e Spagna. Il nostro paese è stabile, al 20mo posto, per i servizi logistici così come nei punti di forza, tracciamento della merce e puntualità, con valori però in netto calo rispetto alla precedente edizione del report (2018). 

Un esempio di come sia decisivo puntare su servizi e qualità è il porto di Barcellona, che negli ultimi anni ha avuto uno sviluppo da record in Europa portando, nel 2023, a un cash flow da 101 milioni che sarà investito per innovare lo scalo. Per non parlare dei porti del nord Europa che hanno fatto pesanti investimenti per ampliamenti e servizi: 1,5 miliardi negli ultimi 5 anni per Rotterdam, Anversa ha da poco annunciato un piano da 2,9 miliardi in 10 anni; Amburgo, dal 1990, ha più che raddoppiato i traffici passando da 60 milioni di tonnellate a 140 nel 2014 grazie anche a un investimento da quasi 3 miliardi di euro. Su questi aspetti la politica si interroghi e acceleri in modo chiaro, veloce, determinato verso un adeguato livello di investimenti e di scommessa.

Giampaolo Botta

Direttore Generale Spediporto


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