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GIUGNO 2024 PAG. 34 - Creare un ponte sempre più solido tra Europa e Nord Africa

 

Creare un ponte sempre più solido tra Europa e Nord Africa

L’apertura di un nuovo servizio marittimo è il frutto di un complicato processo di analisi. Il suo successo è dovuto al giusto bilanciamento di tanti fattori. Le considerazioni operative, tecniche, economiche sono solo alcune delle variabili di un’equazione difficile da risolvere. «A cominciare dalla nave più adatta alle caratteristiche del porto da scalare, il quadro con cui dobbiamo confrontarci risulta spesso volatile. I fattori in gioco tendono a cambiare in modo frequente. E oltre alle giuste valutazioni iniziali bisogna essere sempre pronti nell’apportare i necessari aggiustamenti in corsa». Con una lunga esperienza alle spalle, grazie alla quale ha conosciuto direttamente i diversi ambiti organizzativi di un’attività articolata come quella dello shipping, Danilo Ricci, Direttore Generale del Gruppo Tarros, si trova quotidianamente a confrontarsi con questo stato corpo a corpo con la complessità. 

Una sfida che l’avrà impegnata anche nel recente lancio del servizio in collaborazione con Cosco nel Mediterraneo orientale…  

È stato un lavoro che ha coinvolto tutto il team di Tarros, volto ad allargare ulteriormente la nostra presenza nel bacino del Mediterraneo, alla ricerca di nuovi mercati da supportare con l’affidabilità e la velocità che caratterizzano i nostri servizi. Con un target parzialmente differente da Cosco, che presumibilmente punta a valorizzare la sua presenza in Grecia per convogliare i flussi del Far East verso l’Algeria, il nostro scopo principale è quello di trasportare merce locale sulle direttrici che collegano Pireo, Alessandria e Algeri. 

Quali scelte operative avete compiuto nel progettare il servizio?

Nella prima fase abbiamo scelto unità da circa 1100 TEU che garantiscono, data la dimensione contenuta, la possibilità di poter usufruire di più banchine disponibili ad Algeri, un porto notoriamente congestionato. Questa scelta, mettendo da parte il naviglio più grande che permette di ridurre il costo unitario del trasportato, si traduce in spese maggiori per la compagnia. Uno scotto che abbiamo deciso di sobbarcarci per ottenere una resa qualitativa del servizio più agile e veloce.   

In che misura le frizioni geopolitiche stanno influenzando questi processi decisionali?

Queste situazioni stanno pesando molto, soprattutto nei confronti di certe realtà verso cui nutriamo un grande interesse, come ad esempio Israele, che risultano difficilmente scalabili. In generale, stiamo riuscendo a conservare e ottimizzare i nostri servizi storici cercando di accogliere la domanda di trasporto esistente e, quando possibile, di sostenere quella potenziale, come nel caso della nuova relazione nel Mediterraneo orientale. Sotto questo aspetto sottolineo lo sforzo del Gruppo nel creare un ponte sempre più solido tra Europa e Nord Africa. Segno del ruolo importante che riusciamo a giocare rispetto alle esigenze del sistema produttivo italiano, garantendo sempre alti livelli di qualità. 

Quali altre azioni avete messo in campo per garantire una maggiore qualità? 

Un’iniziativa importante è quella del cosiddetto “container certificato”. Lo “scatolone” che va a servire le esigenze del nostro cliente è sottoposto a ben dieci tipi di controllo prima di essere imbarcato. Questo è senza dubbio un ulteriore step che ci permette di differenziarci sul mercato, particolarmente in un ambito molto delicato come quello reefer. Uno sforzo anche sotto l’aspetto dell’investimento: oltre il nostro hub di La Spezia, dove i container sono controllati, preparati e puliti abbiamo investito in centri analoghi in Marocco, Algeria ed Egitto. Qui le officine di riparazione sono gestite da personale locale appositamente formato per adeguare verso l’alto gli standard operativi. In questo modo ogni unità della flotta non imbarcata direttamente sarà immediatamente utilizzabile con la certezza della sua perfetta idoneità.   

Una scelta che vi permette anche di consolidare i rapporti con i territori su cui operate… 

Certo. E questo rende possibile l’impegno in altre attività. In Egitto, il paese che ci vede particolarmente coinvolti a livello di investimenti, abbiamo, oltre un deposito per la riparazione, anche un’area di stoccaggio per i vuoti. Senza dimenticare un’importante realtà come Carbox Egypt, filiale locale della nostra azienda di autotrasporto che replica l’esperienza in Marocco. L’idea di Tarros per il Nord Africa è di coprire il più possibile la catena logistica, facendo leva su un network di agenzie locali e collaboratori pronti a risolvere qualsiasi criticità.  

Anche la digitalizzazione contribuisce alla qualità. Com’è la situazione sull’altro lato del Mediterraneo?  

La vera sfida è riuscire a far capire i benefici che la semplificazione delle procedure può portare al business. Il problema, in alcuni contesti fortemente burocratizzati, non è tanto la disponibilità tecnologica ma far passare l’idea che tagliare i tempi, rendere efficiente e veloce la catena logistica contribuisce ad abbattere i costi. Sotto quest’ottica il progetto Phoenix, cui Tarros partecipa fin dall’inizio, sta ottenendo risultati egregi.  

Recentemente ha partecipato ad un incontro istituzionale con imprenditori libici…   

Tarros è l’unica compagnia che in cinquant’anni, ad eccezione dei momenti più duri del conflitto, ha mantenuto sempre i contatti con quel paese. Possiamo ben definirci l’autostrada di collegamento per Tripoli e Misurata e continueremo ad offrire i nostri servizi, forti di un riconoscimento che arriva sia dal mondo imprenditoriale sia istituzionale. Proprio recentemente abbiamo annunciato l’avvio di un collegamento tra Italia, Libia ed Egitto, in collaborazione con il Gruppo Messina, che rafforza ulteriormente questa relazione privilegiata. 

Quanto punta Tarros sul fattore formazione?

Direi che è essenziale per garantire una qualità costante e uniforme dei nostri servizi. Nel nostro staff c’è un crescente numero di giovani cui è riservato un percorso formativo che si svolge sia in Italia sia all’estero. Ma il discorso vale anche in senso inverso. Anche per il personale internazionale miriamo a creare uno standard comune, nell’ottica di un’azienda improntata al “made in Italy” che guarda sempre più ad un orizzonte mediterraneo. La strada imboccata, in questo senso, si basa sull’acquisizione di un’esperienza diretta dei differenti ambiti in cui si può scomporre la nostra attività. Solo conoscendo bene la filiera sarà possibile affrontare e risolvere le criticità che possono emergere nello svolgimento di un trasporto.    

In che modo le politiche di sostenibilità stanno influenzando le vostre scelte? 

Siamo già in grado di fornire ai nostri clienti un calcolo delle emissioni di CO2. In questo sposiamo l’idea di una consulenza globale che, oltre il lato operativo ed economico, si allarga anche alle questioni legate alla sostenibilità. Da parte nostra, come risposta alle sollecitazioni che arrivano dall’applicazione dell’ETS e dalla prossima trasformazione del Mediterraneo in area SECA stiamo provvedendo alla sostituzione delle navi della flotta più obsolete. Tra 2023 e 2024 abbiamo varato unità in grado di garantire risparmi sui consumi, e quindi sulle relative emissioni, che vanno dal 30 al 40% in meno.  

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