FEBBRAIO 2024 PAG. 36 - Ucraina - Russia - Israele e le interconnessioni mondiali
La complessità e la fluidità della geopolitica e geoeconomia mondiale è indubbiamente un elemento caratterizzante del periodo contemporaneo. Per cui aspetti già complessi e molto articolati si fondono con nuovi fenomeni rendendo la realtà ancor più complicata e multiforme da decifrare. In pratica, il nuovo millennio porta con sé le novità , per quanto queste si siano concretizzati dopo uno sviluppo più che secolare, della fluidità politica, dell’accelerazione storica e della marittimizzazione dell’economia mondiale, che vanno ad innestarsi in modo assolutamente efficace, ma anche dirompente, nei vecchi processi come, ad esempio, la ciclicità della storia e le proxy war, ossia le guerre per procura. Tale premessa ci consente di comprendere come un conflitto, se pur di dimensioni modeste e per quanto scoppiato in una qualsiasi località sia essa anche remota, abbia effetti ridondanti ed immediati nei fragili equilibri geopolitici mondiali soprattutto in ambito economico. Per cui, prendendo in prestito una locuzione francese, possiamo dire che nell’attuale geopolitica e nel contemporaneo durissimo confronto di guerra economica. Tout se tient. Il che porta ad una accentuata difficoltà nell’individuare quali siano aspetti davvero caratterizzanti dei processi in atto. Indubbiamente la recrudescenza delle recenti ostilità ha molte genesi, ma ancor più ripercussioni. Per cui non sorprende analizzare come il conflitto europeo tra Russia e Ucraina si sia abbastanza rapidamente trasformato in una serie notevolissima di scontri che riguardano varie aree del globo come la penisola arabica, il Medioriente coinvolgendo anche mari dell’eccezionale importanza come il Mediterraneo e il Mar Rosso oltre che naturalmente il Mar Nero. Allora necessita fare un pochino d’ordine per meglio spiegare cosa sia successo nell’ultimo anno e come la guerra russo-ucraina abbia inciso e continui ad incidere sui conflitti mediorientali e sulla vita economica mondiale. Ebbene, già in tempi non sospetti, si è sostenuto cha la possibile presidenza Biden avrebbe rilanciato moltissimo il ruolo dell’Alleanza Atlantica uscita molto appannata durante la presidenza Trump. Ora il conflitto russo-ucraino è deflagrato indubbiamente per un insieme di motivazioni di natura economica oltre che per quelli a carattere storico-politico. Con la nuova presidenza americana s’è registrato un peggioramento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti, una relazione che aveva visto una grande distensione in precedenza grazie al rapporto personale tra Trump e Putin. Per cui al di là della mera e controversa questione politica, ossia l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, bisognava liberare l’Europa dalla sua gravosa e pericolosissima dipendenza energetica dalla Russia. Infatti, Mosca forniva oltre 157 miliardi di metri cubi di gas all’anno alla Comunità europea. Un dato che tendeva a crescere annualmente e che avrebbe imbrigliato l’autonomia politica dell’Ue. Non è certo un caso che la scelta di Bruxelles della transizione energetica sia stata precedente al conflitto, come non è certo un caso che questa sia nata non su base energetica, non su base industriale e men che meno su quella tecnologica, ma essa sia stata partorita su quella politica. Per cui la vecchia Europa si è avventata come falco sulla preda in una transizione energetica senza prima aver sviluppato un coerente piano sostitutivo e senza neanche essere autosufficiente da questo punto di vista. Deflagrato il conflitto a causa dell’aggressione russa si sono dovuti ridisegnare rapidamente i nuovi equilibri, ma soprattutto i disequilibri, mondiali oltre che europei. L’eroica tenacia del popolo ucraino e i tanti errori da parte dei vertici militari russi hanno in breve tempo trasformato il conflitto che si pensava di breve durata in una guerra di mezzi, di risorse, ma soprattutto in una guerra lunga di logoramento. Per cui le tante pubblicizzate offensive e contro offensive non hanno portato a nessuna capitolazione prolungando ulteriormente il conflitto. A questo punto necessita fare delle considerazioni spesso tralasciate e dimenticate dai media nazionali, ossia che un conflitto di questo genere necessita d’una industria di guerra di notevole grandezza e ancor più efficienza. Questo assunto vale soprattutto in ambito logistico e ancor più per i rifornimenti e le munizioni. Proprio su quest’ultimo punto necessita spendere qualche parola portando alla luce alcune verità che, per quanto banali sono state sottaciute non solo dai media, ma anche troppo spesso da esperti e analisti militari. Infatti, per quanto la cosa possa essere dolorosa o tediosa bisogna analizzare le due industrie di guerra dei paesi belligeranti. In base a questo particolare punto di vista ci si accorge subito che l’Ucraina non dispone di un apparato industriale militare capace di sostenere un conflitto che coinvolge centinaia di migliaia di soldati ed un fronte di circa 1.200 Km che si traduce nell’immediatezza in un assurdo logistico. Cosa ben diversa sul fronte russo che a dispetto dei desiderata occidentali sembra possedere tale capacità industriale. Con il flop dell’offensiva ucraina l’esercito di Putin ha consolidato le proprie posizioni ed ha optato per una strategia di continua pressione lungo gran parte della linea del fronte per far esaurire le scorte di munizioni dell’esercito ucraino in considerevole difficoltà . Infatti, Kiev non è padrona dei cieli e al momento difetta non solo di uomini, ma anche di munizioni. Una posizione difficile per chi si è prefissato di riconquistare almeno parte del territorio perduto. Per cui a dispetto della politica d’isolamento attuata dai paesi occidentali e dall’Europa nei confronti della Russia, questa nonostante l’embargo riesce a trovare altrove le materie prime per la sua industria di guerra. Il Cremlino ha modificato la sua strategia trasformandola in una più attendista. Ma perché ha fatto questo? È indubbio che l’Ucraina da sola non possa fronteggiare il gigante russo e dipenda dagli aiuti europei, ma soprattutto da quelli provenienti dagli Stati Uniti. Allora potrebbe essere proprio questa la chiave di lettura dei nuovi confronti militari deflagrati in Asia e in Medio-oriente, ossia il tentativo ben riuscito da parte di Mosca di allargare il conflitto per costringere gli Usa a dover parcellizzare il programma di aiuti militari destinati prima unicamente a Kiev. Tale strategia avrebbe ed ha maggior valore in vista delle prossime elezioni americana che con ogni probabilità vedranno la vittoria del partito repubblicano, il quale al momento gode di un considerevole vantaggio di circa dieci punti percentuali. Per cui è presumibile pensare che con il ritorno dei repubblicani, i quali considerano la Russia non certo il loro primary targhet, ci sia una minore disponibilità da parte di Washington a supportare la resistenza di Kiev poiché il governo Usa preferirà concentrarsi nel destinare le proprie risorse per attuare una politica contenitiva anticinese nel Pacifico. Kiev senza il pieno appoggio americano e con un’Europa impossibilitata dalla propria industria di guerra a sostituire il grande divario di forniture militari si troverà ben presto e obtorto collo a dover accettare una pace diplomatica di compromesso. In questo quadro s’inseriscono perfettamente il rinvigorirsi degli scontri in Armenia, In Siria e naturalmente tra Israele e Palestina. Che dietro l’attacco di Hamas vi fosse stato l’Iran oramai non ci sono molti dubbi, ma a che scopo e perché? Come mai Israele che può vantare uno delle migliori intelligence del modo si è fatta sorprendere? Ebbene le domande sono assolutamente legittime e ben collegate. Allora anche in questo caso dobbiamo fare un passo indietro e far uno sforzo di chiarezza. Prima della fine della sua legislatura Trump aveva proposto e supportato il Patto d’Abramo il quale, come fine principale, aveva quello di rafforzare la posizione d’Israele in quell’area strategica del mondo. Allargare l’alleanza d’Israele ad altri paesi arabi in Medioriente. L’Arabia Esaudita da anni è impegnata in un poderoso programma di ammodernamento militare per fronteggiare l’espansionismo iraniano. Nonostante i più che copiosi investimenti e l’acquisto di mezzi militari di ultima generazione non è riuscita a contenere la progressione e la penetrazione della nazione competitrice. Da qui è nata la possibilità , frammista ad esigenza, di doversi alleare alla nazione militare più forte nell’area e quindi aderire al Patto d’Abramo che avrebbe sicuramente rafforzato la propria posizione contro il comune nemico Iran. Di contro Tel Aviv avrebbe potuto puntare sul lungo periodo al riconoscimento internazionale dallo stato più importante dell’Islam. Da qui la strategia dell’allargamento del fronte destinato anche ad impedire la possibile alleanza tra Riad e Tel Aviv. Infatti, l’attacco da parte di Hamas avrebbe fatto scatenare una dura e sanguinosa reazione di Netanyahu. Questa, a sua volta, avrebbe provocato quella del mondo islamico allontanando definitivamente l’allargamento del Patto d’Abramo.
Come mai l’attacco di Hamas è riuscito a sfuggire ad uno dei servizi segreti più efficienti del mondo come quello israeliano, ossia il Mossad?
È chiaro che ci muoviamo nel mero mondo delle ipotesi dove ciò che è probabile non vuol dire che è realmente accaduto.
Netanyahu prima dell’attacco era impegnato duramente su due fronti: quello politico e quello giudiziario. Se il primo lo aveva costretto in tre anni a rimpastare il proprio governo ben cinque volte, quello giudiziario lo vedeva implicato in una serie di accuse che ne avrebbe pregiudicato non solo il premierato, ma anche il suo prosieguo nella vita politica. Eppure numerose agenzie hanno riportato che i servizi segreti egiziani hanno provveduto tempestivamente ad avvisare il governo israeliano. Allora come è possibile che uno dei più raffinati servizi segreti del mondo, per di più allertato dai colleghi egiziani si sia fatto cogliere così di sorpresa da Hamas? Eppure le cose sono andate proprio così. Sta di fatto che dopo l’attacco di Hamas Netanyahu è riuscito a compattare il fronte nazionale e ad assumere i pieni poteri cosa che lo ha messo a riparo da qualsiasi causa in corso. Comunque, era ed è evidente che la sicura, celere e durissima risposta militare israeliana avrebbe portato all’impossibilità di aderire al Patto d’Abramo da parte del governo di Riad. Se con questo stratagemma Hamas avrebbe potuto comunque vantarsi di aver inflitto la più importante sconfitta ad Israele negli ultimi anni e l’Iran d’aver allontanato la stipula di un’alleanza che l’avrebbe messa in grossa difficoltà , Mosca ha sicuramente ottenuto il risultato di far diminuire considerevolmente gli aiuti militari destinati a Kiev proprio poiché adesso anche indispensabili per Tel Aviv. Si sa bene che Israele è assolutamente cruciale per la strategia americana. In più con i continui implementarsi dei conflitti Kiev è uscita dai radar dei mas media. In quest’ottica va letta anche la recente vicenda dei ribelli e pirati houthi. Tale vicenda ha costretto il mondo mercantile alla circumnavigazione dell’Africa con il conseguente rincaro dell’uso dei containers, già triplicato, secondo i dati ISPI da metà dicembre scorso. La folle e inutile tassa europea sul CO2 rischia seriamente di creare ulteriori deperimenti di mercato e gravi danni al nostro sistema marittimo portuale, ma questa sicuramente è un’altra storia. Allora ricorrendo alla locuzione del grande Bismark secondo la quale la politica non è una scienza, ma un’arte e i tempi cambiano credo sia giunto il momento da parte di noi europei di divenire finalmente artisti e cambiare e migliorare il nostro sistema comunitario. Sic transit gloria mundi!
Alessandro Mazzetti Docente di geopolitica di infrastrutture e trasporti presso ASCE Scuola di Guerra Economica e Competizione Internazionale di Venezia