GENNAIO 2024 PAG. 12 - Crisi del Mar Rosso in gioco gli assetti futuri del pianeta
La geopolitica, si potrebbe dire, è la disciplina delle crisi di sistema. Nata nel tardo Ottocento si proponeva, sull’onda della montante globalizzazione dell’epoca, di interpretare la messa in discussione del “primato europeo”. L’emergere di nuove potenze all’orizzonte (Stati Uniti, Giappone) rendeva necessario dotarsi di una nuova “cassetta per gli attrezzi” per interpretare la complessità crescente del sistema internazionale. Servivano nuovi approcci conoscitivi, una mappatura intellettuale quanto più articolata degli spazi globali. Non è un caso, chiusa la parentesi di discredito principalmente ideologico apertasi con la fine della seconda guerra mondiale (la geopolitica presentata come una scienza sostanzialmente al servizio del nazismo), che sia riemerso, anche con un certo successo divulgativo, un grande interesse per la materia a partire dall’inizio del nuovo secolo. Nell’era che per comodità si può definire della “policrisi” – con la concomitanza, e a brevissima distanza, di un susseguirsi di crisi economiche, ambientali, sociali, sanitarie – pensare geopoliticamente diventa uno dei grimaldelli per dare un senso ai fenomeni che riguardano da vicino anche il mondo dei trasporti della logistica.
È in questa prospettiva, ad esempio, che va letta la crisi del Mar Rosso, con tutte le conseguenze (perfettamente concepite e calibrate da una parte degli attori in campo) per l’andamento dell’economia internazionale. L’arco di crisi che dalla Guerra in Ucraina, passa, con intensità variabile, attraverso il Nord Africa, abbracciando tutto il Mediterraneo, si è saldato con l’ennesima, tragica, guerra in Medioriente. Dietro gli attacchi della milizia Houthi filo-iraniana, “in solidarietà con i palestinesi”, c’è una ben precisa contestazione dell’ordine globale occidentale con protagoniste, con gradi differenti di coinvolgimento, peso specifico e strategie di lungo respiro, alcune di quelle che potrebbero essere definite, con un’espressione non certo nuova, “potenze revisioniste”. Iran e Russia, in primissima fila, in questa fase, con la Cina, interessato spettatore.
Cosa di meglio per indebolire l’egemonia occidentale, basata sul commercio globale, e dunque sul principio della libertà di navigazione, se non strozzare una delle sue arterie principali? Con il 20% del traffico globale di container che passa attraverso il Mar Rosso, in prossimità di Suez, si mette, di fatto, sotto scacco una delle rotte marittime più importanti, che collega Asia ed Europa (attraverso di essa passa il 40% del commercio tra i due continenti).
Le navi mercantili sono colpite innanzitutto in quanto vettori principali di un determinato assetto economico-politico, trainato dal mondo anglo-americano, certamente acciaccato (si considerino tutti i discorsi sulla de-globalizzazione e sul rischio di una nuova “guerra fredda”) ma pur tuttavia ancora in sella. Un’egemonia costruita anche a partire dal controllo della logistica.
A conferma di ciò un fenomeno inedito. Al sostanziale lasciapassare concesso dalle milizie Houthi alle navi cinesi, cui è stata garantita una ufficiale tranquillità di passaggio attraverso lo Stretto di Bāb el-Mandeb, sta facendo da contraltare l’infittimento dei servizi marittimi targati Pechino. Mentre giganti del calibro di MSC e Maersk hanno iniziato a circumnavigare l’Africa, con una diminuzione di traffici che tocca il 40%, aumenta il numero compagnie finora poco conosciute che puntano a colmare gli spazi lasciati liberi.
Intanto, crescono le preoccupazioni sugli effetti che tale situazione può avere sulle economie ancora febbricitanti dell’Occidente. La circumnavigazione del Capo di Buona Speranza aggiunge un tempo stimato fino a due settimana ai viaggi, con un aggravio dei costi in carburante e assicurazioni, che rischia di riversarsi sui prezzi al mercato delle merci. E sui fragili equilibri su cui si basa il sistema portuale italiano. Come sottolineato da un recente report di SRM “i giorni di ritardo incideranno sulla ri-schedulazione delle navi e quindi sugli arrivi e le partenze anche da/per porti italiani, tra cui Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Trieste che sono tra i principali porti container ed energetici nel nostro Paese (traffico container e prodotti petroliferi)”. “Nel breve termine le navi potrebbero non entrare nel Mediterraneo sbarcando nel Nord-Europa, mentre nel lungo termine, non dovrebbero esservi ripercussioni sui volumi totali dell’Italia, poiché le spedizioni per la maggiore parte, giungeranno comunque a destinazione seppur con ritardi diffusi”.
A sintetizzare la posta in gioco il presidente di ESPO, l’associazione che riunisce i porti europei, Zeno D’Agostino.
“Questa crisi sta ancora una volta creando gravi interruzioni della catena di approvvigionamento e sta aggiungendo un elemento di incertezza a un contesto geoeconomico e geopolitico già molto difficile - ha sottolineato - Le rotte più lunghe e la possibile riorganizzazione degli scali in Europa avranno un impatto sui porti, che dovranno adattarsi ed essere flessibili. Nel caso dell’Ever Given ci siamo trovati di fronte ad uno sfortunato incidente e la soluzione è dipesa dalle competenze tecniche e operative. Ora ci troviamo di fronte a un ostacolo geopolitico su un’importante rotta commerciale, che rende più difficile e imprevedibile la sua soluzione”.
Vista così è chiaro che la situazione non possa essere interpretata solo ed esclusivamente con gli occhiali del mero economicismo (quanto si guadagna, quanto si perde), tentazione che pure è dietro l’angolo. Inutile perdersi dietro a polemiche di parte, che pure in Italia cominciano a spuntare qua e là, su un possibile aumento dei noli a seguito delle manovre speculative delle compagnie marittime. Sarebbe come guardare al dito che indica la luna.
La crisi nel Mar Rosso è solo l’epifenomeno di forze molto più grandi che stanno giocando la partita sugli assetti futuri del pianeta. Servirà, per superarla positivamente, capacità di analisi e previsione sul lungo periodo (in che modo, ad esempio, influirà sulla riorganizzazione delle compagnie dopo lo scioglimento delle alleanze?). Peraltro in un Paese che spesso e volentieri non ha capito l’importanza della logistica per il suo posizionamento internazionale, in questo aiutato da un sistema di rappresentanza frammentato e volentieri ripiegato nella difesa di singoli interessi.
Una prima prova, sotto questo aspetto, sarà rappresentata dalla risposta che l’Ue darà per la difesa dei suoi interessi nell’area. Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna sono passati subito all’iniziativa militare (bombardando le postazioni che hanno colpito alcune navi) Bruxelles dovrà scegliere le modalità con cui “difendere la navigazione internazionale e la sicurezza marittima”. Diverse le proposte in campo: dalla creazione di una missione ad hoc all’espansione dell’Operazione Atalanta fino all’utilizzo della cosiddetta “presenza marittima coordinata”.
Per tutte l’Italia si è detta pronta a giocare un ruolo di primo piano. Ciò che conterà, al di là dell’opzione che prevarrà, sarà comunque il peso che il nostro Paese ricoprirà nella scelta finale e nel contributo materiale alla missione. Cominciare con la difesa del principio di libertà navigazione sarebbe un buon punto di partenza.
Giovanni Grande