SETTEMBRE 2023 PAG. 28 - Per Uniport la sostenibilità è esigenza ineludibile
Innovazione tecnologica e sostenibilità vanno a braccetto. In special modo nel settore marittimo e portuale di cui costituiscono una sorta di seconda natura. Ne è convinto il Presidente di Uniport, Pasquale Legora De Feo, che intervistato da PORTO&interporto sulla rilevanza di questi due temi per il futuro del comparto, mette da subito in chiaro questa complessa relazione.
«Credo che si possa concordemente sostenere che l’innovazione sia una delle caratteristiche proprie del settore, solo eccezionalmente accentuata da ultimo, a motivo della rapidità con cui si sta evolvendo».
Gli esempi sono sotto agli sguardi non troppo distratti dalle novità dell’ultima ora. Le dimensioni delle navi sono cresciute, così come la complessità dei loro apparati tecnologici, la mole delle informazioni prodotte e la necessità di preservare la sicurezza degli approvvigionamenti. Tutti fattori che caratterizzano da tempo l’economia legata al mare e che, alla luce delle sfide ambientali, economiche e sociali di questo secolo, evidenziano la stretta dipendenza dei due temi riguardo alle azioni concrete da intraprendere.
«La sostenibilità, dopo essere stata fin qui una caratteristica propria del trasporto marittimo, penso ad esempio agli effetti positivi prodotti dalla crescita delle “autostrade del mare e dello Short Sea Shipping” dal punto di vista ambientale e sociale si sta imponendo come un’esigenza ineludibile, ma anche uno stimolo alla ricerca di nuove soluzioni tecnologiche, operative, organizzative».
Una esigenza «non rinviabile» sotto l’aspetto delle mere conseguenze ambientali e della salvaguardia dell’equilibrio ecologico ma che, allo stesso tempo dovrebbe contemperare al meglio la garanzia di un equilibrato sviluppo economico e sociale. Questione cruciale, quest’ultima, che poco spazio dovrebbe lasciare, sotto l’aspetto politico, a scelte «scarsamente ponderate, che non garantiscono un giusto equilibrio tra le diverse finalità».
Un esempio di questa tendenza, secondo Legora De Feo, sarebbe la Direttiva ETS, finalizzata alla riduzione dell’immissione nell’ambiente dei gas ad effetto serra che rischia di penalizzare anche il nostro paese.
«L’alternatività di una modalità di trasporto con un’altra su parte significativa delle rotte medie e brevi, la sostituibilità di un porto/terminal con un altro all’interno di aree geografiche di dimensioni macro-regionali, già di per se avrebbero dovuto costituire deterrente all’adozione di una misura riguardante un unico sistema geopolitico come l’Ue; se a questo aggiungiamo aver previsto un sistema di regole ed oneri eludibili da porti e terminal della medesima area geografica, come succede nel Mediterraneo, dove i porti Ue diverranno “più cari” degli scali di altri Paesi, è evidente che si vanifica l’obiettivo ambientale e si rischia di colpire imprese, occupazione e sviluppo socio-economico di interi territori».
Altro aspetto critico, in particolare per i terminalisti, riguarda la situazione tutta italiana della chiarezza delle regole e tempestività degli interventi. In questo caso il tema rivelatore della delicatezza del binomio “sostenibilità-innovazione” verte attorno al cold ironing.
«Apparentemente i tempi, fissati al 2030, sembrerebbero brevi. Ma ad oggi devo prendere atto che su un tema complesso, che implica realizzazione di infrastrutture, attrezzature, regolamentazione della gestione, per nessuno di questi aspetti abbiamo certezza di come, cosa e che ruolo dovranno svolgere gli operatori che pure ne subiranno gli impatti».
In questo contesto ricco di stimoli, con opportunità da cogliere e criticità da affrontare di petto, non va sottovalutato l’impatto dei cambiamenti sul “fattore umano”. «Già da anni la componente di lavoro portuale inteso come attività manuale generica è scemata significativamente,» sottolinea De Feo. «Sempre di più sono i lavoratori che utilizzano macchinari complessi. La fatica da fisica diviene sempre più mentale, mentre in ambienti circoscritti e talora limitati il lavoro si svolge in contemporanea con le attività di altri macchinari, attrezzature e persone».
In questo caso specifico la risposta e la priorità su cui lavorare rimane la formazione, elemento su cui «le imprese terminalistiche hanno fatto e stanno facendo già molto». «In proposito è giusto dare positivamente atto che proprio recentemente si è concluso l’iter del decreto che consente alle imprese di chiedere il cosiddetto “buon portuale”, il cofinanziamento di attività formative per il conseguimento o rinnovo di patenti e abilitazioni dei dipendenti; per la formazione funzionale alla riqualificazione di lavoratori; per lo sviluppo di modelli di organizzazione e gestione: un segnale importante e una misura di aiuto che, oggi limitata nel tempo, riteniamo debba divenire strutturale, anche estendendo la facoltà che risorse delle AdSP possano essere destinate alla formazione del personale delle imprese».
M.D.C.