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LUGLIO 2023 PAG. 46 - Aspetti geopolitici e monetari della guerra economica in atto

 



In questo secolo abbiamo assistito al totale superamento del postulato del politologo tedesco Carl Schmitt secondo il quale la Storia mondiale è la storia della lotta tra potenze Marittime e quelle Terrestri. È del tutto evidente che il mondo viene governato e gestito solo ed unicamente dalle potenze che esercitano la loro dimensione attraverso strategie talassocratiche. Proprio l’esperienza della super potenza asiatica nascente dimostra questo postulato. In fondo ed è sempre bene ribadirlo, il commercio mondiale colonna vertebrale del sistema economico, si sviluppa attraverso le rotte marittime per cui chi controlla le vie del mare governa il sistema economico. Questa verità storica è stata ben compresa dal colosso cinese il quale dagli inizi degli anni novanta, ossia dopo il crollo del gigante sovietico ha sviluppato una vera e propria strategia talassocratica. Una esigenza strutturale vista la dipartita politica ed economica del fratello maggiore che la poneva in uno status di notevole difficoltà essendo rimasto l’unica realtà di un certo rilievo comunista in Asia e nel mondo. La scelta talassocratica in più avrebbe consentito al governo cinese di abbandonare le vesti della potenza regionale tellurocratica per divenire finalmente un punto di riferimento mondiale. Così lentamente la Cina ha iniziato ad incrementare il proprio commercio navale aprendo nuove opportunità in Europa ed in altri continenti. Naturalmente l’antica Via della Seta è stato l’obiettivo più importante e per certi aspetti quello che dopo il crollo del muro di Berlino è stato il più perseguito. Sin sul finire del secolo gli obiettivi cinesi nell’antico Mare Nostrum si sono moltiplicati. Non è certo un segreto che l’interesse cinese per il porto di Beirut e di altri porti turchi risale dai primissimi anni del nuovo millennio. Per cui si può affermare che, a differenza di quanto si crede, i lavori di Suez che hanno reso il canale navigabile nei due sensi e che consente adesso l’attraversamento delle navi afferenti al gigantismo navale sia stata la logica conseguenza della strategia cinese. In sintesi e per meglio dire la Belt and Road Initiative non è stata una conseguenza dei lavori di Suez, ma questi ultimi sono stati realizzati per attuare compiutamente la strategia cinese della Nuova via della Seta. Naturalmente in un mondo economico così liquido il possesso dei porti, quello dei containers, una flotta mercantile di tutto rispetto ed il continuo incremento di quella militare sono tutti elementi indispensabili, ma non sufficienti per poter dominare l’economia mondiale che è soggetta a pressanti trasformazioni ed accelerazioni storiche. Essa è quindi in continuo divenire e mutazione. Per cui la Cina ha silentemente e molto astutamente lavorato per anni per creare il trade asiatico più importante del mondo che ha preso vita definitivamente qualche anno fa con il nome di RCEP ossia Regional Comprehensive Economic Partnership (Partenariato Economico Globale Regionale). Con questa strategia la Cina è riuscita ad attrarre a se tutte le dieci nazioni appartenenti all’ASEAN - Association of Sud-East Asian Nations svuotandola di fatto di ogni capacità negoziale e politica aggiungendo per di più anche altre cinque nazioni storicamente alleate dell’occidente come: l’Australia, il Giappone, le Filippine, il Sud Corea e la Nuova Zelanda. Ad analizzare bene il potenziale o per meglio dire i numeri ci si rende conto che questo trade al momento è capace di includere non solo un terzo della popolazione, ma anche il 30% circa del prodotto interno lordo mondiale. In prospettiva questo accordo e in base ai tassi di crescita annuali fin qui ottenuti potrebbe doppiare in meno di un ventennio i tassi di scambio del TPP ossia Trans Pacific Partnership. Naturalmente è evidente che nessuna delle nazioni iscritte all’RCEP potrà mai mettere in discussione la leadership cinese. Comunque se l’RCEP è l’incudine la BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) costituisce il martello con cui il governo di Pechino riesce ad attrarre nella sua orbita commerciale altri paesi fuori area asiatica. Per amor di chiarezza è opportuno ricordare come già in passato su queste stesse pagine (sulla rivista di febbraio 2021) si era affermato che il fine ultimo neanche tanto velato della realizzazione dell’RCEP era quello di sostituire il dollaro e la sterlina nello scambio internazionale. Il binomio BRICS e RCEP assolve questo scopo in pieno. Dunque è del tutto evidente che la Cina studia da potenza navale di primissimo livello, tesi incontrovertibilmente confermata dalla costante crescita della Marina sia militare sia mercantile. 

Compreso che l’economia mondiale si stava definitivamente marittimizzando ha deciso di giocare la partita al tavolo dei grandi facendolo da un punto strategico come quello industriale di assoluto vantaggio.

Con il crollo del blocco sovietico si ebbe l’apertura a est dei mercati e i conseguenti processi di decolonizzazione industriale. La Cina diviene in poche decine d’anni la meta preferita per le realtà industriali internazionali. Non c’è dubbio che la globalizzazione ha totalmente rovesciato le logiche della produzione di massa. Infatti, se durante il periodo della rivoluzione industriale le materie prime provenivano dall’Asia per essere lavorate in Europa o più genericamente nel mondo occidentale, a partire dagli anni Settanta anche la produzione è stata progressivamente trasferita in Oriente (si veda Rivista Marittima novembre 2021). Naturalmente questo fenomeno ha interessato maggiormente la Cina oltre ad altre nazioni asiatiche. In pratica è stato proprio l’Occidente a fare della Cina la fabbrica del mondo. La delocalizzazione industriale è stata indubbiamente uno dei più importanti tonici per l’economia asiatica e cinese costituendo quelle fondamenta indispensabili per lo sviluppo produttivo che oggi consente al colosso orientale d’insidiare il dollaro e la sterlina come valuta di scambio internazionale. Infatti sul finire dell’aprile scorso le agenzie hanno pubblicato la notizia che anche l’Argentina pagherà le importazioni cinesi in yuan anziché in dollari. Notizia confermata dallo stesso ministro dell’economia argentino Sergio Massa. Una mossa quasi dovuta nonostante la forbice del disavanzo commerciale tra Argentina e Cina sia aumentata. Infatti recentemente il governo di Pechino ha accettato di ampliare fino a 5 miliardi di dollari uno SWAP fornito all’Argentina. In pratica la Cina è riuscita a far entrare nella sua orbita un altro paese che ha il grandissimo pregio di essere locato nel continente sud-americano. Naturalmente i continui inviti al paese sud-americano ad intervenire ai vertici della BRICS nascondeva il solo scopo di legare l’economia di Buenos Aires a quella cinese e non certo a farla entrare tra le cinque nazioni. In pratica si sta ripetendo lo schema cinese con il quale il governo di Pechino è riuscito ad ancorare l’economia di nazioni come il Montenegro, Laos, la Cambogia, il Vietnam e la Mongolia, ma anche tante altre. Proprio questo ultimo caso assume toni a dir poco interessanti tanto da far sostenere all’insigne geopolitico Parag Khanna che la Cina non ha conquistato la Mongolia, se l’è solo comprata. Comunque anche l’India dalla primavera scorsa ha deciso di intraprendere la corsa verso la de-dollarizzazione. In questa direzione va l’annuncio del 1° aprile fatto dal ministro dell’Economia indiano con il quale si sosteneva che le transazioni economiche con la Malesia sarebbero state fatte adoperando la moneta indiana. Attualmente sono 18 le nazioni che accettano la valuta di Nuova Delhi tra cui Gran Bretagna, Germania e Russia, ma dopo questa iniziativa altre trenta stanno valutando seriamente tale possibilità. Bisogna comunque osservare che proprio il recente conflitto europeo ancora in corso ha rafforzato enormemente le posizioni contrattuali sia della Cina che dell’India. Infatti con la fuoriuscita del rublo dal contesto economico e con il solo blocco alle esportazioni occidentali Mosca ha trovato in Pechino e in Nuova Delhi due partner commerciali di assoluta forza. Infatti queste due nazioni che da sole costituiscono oltre il 36% della popolazione mondiale hanno deciso ben volentieri di pagare in rubli le materie prime a prezzi più che scontati provenienti dalla Russia la quale ha riversato su di esse quel enorme quantitativo una volta destinato alle nazioni europee ed occidentali. Questo ha consentito al governo cinese, ma soprattutto a quello indiano, di rivendere tali materie prime ai paesi occidentali realizzando profitti mai visti in precedenza e con disponibilità energetiche di assoluto interesse. È facile pensare che quindi sul tavolo delle trattative economiche anche questo aspetto abbia la sua grande importanza e costituisca un perno eccezionale con il quale Pechino e Nuova Delhi riescano ad indurre altre nazioni affamate di materie prime ad essere pagati con le proprie monete. Allora bisognerebbe rammentare che l’attuale sistema economico non è minimamente paragonabile a quello degli anni Ottanta o Novanta del secolo scorso. È presumibile pensare che anche gli economisti padri del neoliberismo come il tedesco Alexander Rüstow, l’austriaco Ludwig von Mises o il francese Jacques Rueff stenterebbero a riconoscerlo. In pratica, il sistema economico neoliberista sta mutando progressivamente proprio a causa delle trasformazioni e del processo di marittimizzazione dell’economia. Oggi stiamo assistendo ad una vera e propria guerra economica e monetaria che viene condotta senza esclusioni di colpi. Allora forse conviene ricordare le parole del poeta greco Esiodo secondo il quale è stupido essere giusti quando chi è ingiusto ottiene giustizia.

Alessandro Mazzetti 

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