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MARZO 2023 PAG. 18 - La logistica dell’arte è essa stessa un’arte

 



Nicchia nelle nicchie, la logistica dell’arte vive il paradosso legato all’unicità del suo campo operativo. A fronte di un fatturato complessivo compreso tra i 70 e i 75 milioni di euro (cifra da singola media realtà operante nel comparto industriale) il valore della “merce” movimentata è spesso inestimabile. Nel senso letterale dell’espressione. Movimentare arte, amano spesso ricordare gli esperti del settore, è essa stessa un’arte. Un’attività ad altissimo valore aggiunto che presuppone competenze, mezzi tecnologici, capacità di modulare la singola spedizione rispetto alle caratteristiche uniche dell’opera. 

Messo alle spalle il biennio horribilis della pandemia il comparto, pur con le ulteriori difficoltà legate alla guerra in Ucraina (la Russia, è bene ricordare, è uno dei centri principale della filiera musei – mostre – collezionismo a livello internazionale), si sta rimettendo in carreggiata, pur dovendo affrontare un contesto normativo spesso opaco, caratterizzato da una stratificazione di norme che ne rallentano lo slancio. 

Se ne è parlato anche nel corso dell’ultima edizione di SFLMI in cui, grazie ad un ben documentato intervento dell’Avv. Maria Grazia Longoni Palmigiano, sono state avanzate una serie di proposte relative alle principali difficoltà burocratiche, frutto del lavoro svolto dall’Associazione Logistica dell’Arte nel tavolo di discussione aperto con la Pubblica Amministrazione. 

“Oltre ad avere le competenze tecniche, l’operatore fine art deve conoscere le norme riguardanti la circolazione delle opere e confrontarsi con le procedure burocratiche da seguire - ha ricordato Palmigiano - Spesso, però, non basta conoscere la normativa riguardante i beni culturali perché le pratiche si scontrano con difficoltà procedurali che possono portare a rallentamenti nell’esecuzione del trasporto”. Con conseguenze particolarmente negative sia per i trasportatori (depositi occupati oltre i termini preventivati; mancato adempimento del mandato; perdita del corrispettivo; rinuncia del cliente all’esportazione) sia per i clienti (mancato rispetto dei termini contrattuali; perdita di una vendita; costi aggiuntivi di deposito). 

Tra le proposte avanzate nel corso dell’incontro, per le fasi di verifica, l’eventuale superamento degli obblighi di territorialità con la “possibilità di delegare a degli uffici limitrofi al luogo dove si trovano le opere da esaminare la verifica delle stesse anche se la pratica fosse stata presa in carico da un altro ufficio distante territorialmente” oltre il rispetto da parte di tutti gli uffici “di linee guida uniformi e chiare”; l’ideale sarebbe deputare la scelta al mandante: “o ufficio territorialmente più vicino, ma magari con tempi più lunghi o ufficio territorialmente più lontano con tempi più veloci, ma costi maggiori”. 

Altra problematica scottante è l’introduzione della cosiddetta soglia di valore che “non ha semplificato le pratiche di esportazione per i beni sottosoglia” rendendo più complicato ottenere l’autocertificazione. Sotto questo aspetto si propone di “rivedere l’applicazione della soglia nella sua funzionalità per meglio adeguarla alle esigenze del sistema e fissare documenti da produrre a supporto dell’autocertificazione”. 

Contro i tempi lunghi per l’ottenimento di documenti di esportazione si potrebbe invece ricorrere ad un registro elettronico, permettendo per i beni oggetto di possibile compravendita ed esportazione una valutazione in anticipo rispetto all’eventuale cessione.  

Tra le altre soluzioni avanzate contro le lungaggini burocratiche la possibilità di rivolgersi direttamente alla Direzione Generale per le pratiche complesse aventi ad oggetto collezioni costituite da numerosi beni; prevedere un corridoio preferenziale per i turisti che volessero acquistare beni artistici da portare nel loro Paese; ridurre l’IVA in importazione in Italia delle opere d’arte (attualmente al 10%) allineandola a quella degli altri Paesi Ue.

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