SETTEMBRE 2022 PAG. 40 - Una nuova globalizzazione può favorire il ruolo dell’Italia
A fronte di una natura ottimista Mario Sommariva, presidente dell’AdSP della Liguria Orientale, non nasconde in questa intervista le preoccupazioni per la situazione internazionale e i riflessi negativi che potrebbe avere in primo luogo sui traffici marittimi e, a cascata, sull’economia del paese. «La fase che potremmo definire della “globalizzazione rampante” sembra essersi chiusa. C’è bisogno di nuovi strumenti per interpretare la realtà ma, allo stato delle cose, non vedo vie d’uscita semplici per uscire da una situazione che si prospetta sempre più piena di incognite».
Quali sono le caratteristiche della “nuova normalità”?
C’è un arco di crisi, dalla guerra in Ucraina a Taiwan, che giustifica la definizione avanzata da alcuni di “Caoslandia”. E in una situazione del genere lo spazio per i traffici marittimi viene meno. Perché questo tipo di attività ha bisogno di pace o quantomeno di condizioni di equilibrio. Se le navi che trasportano grano, come è accaduto per lungo tempo, non possono spostarsi rischiamo la destabilizzazione di intere aree del pianeta, a cominciare dalla sponda Sud del Mediterraneo. Servirebbero azioni concrete ma non ne vedo alle porte.
Come si può incidere concretamente sulle conseguenze di questa fase?
Ciò che sembra chiaro da questo declino della globalizzazione conosciuto fino ad oggi è l’accorciamento delle catene del valore e una maggiore centralità dei traffici regionali. Fenomeni che, sotto un certo punto di vista, potrebbero favorire il ruolo dell’Italia come baricentro logistico del Mediterraneo. A patto però di adeguare gli strumenti per governare i fattori emergenti. Ed è su questo che sono pessimista.
Cosa servirebbe?
Da un contesto del genere credo emerga l’esigenza di una maggiore attenzione al tema della regolamentazione dei mercati. Sia chiaro, nessuna preclusione ideologica nei confronti del rafforzamento delle imprese armatoriali e delle tendenze all’integrazione verticale. Ma serve un quadro che ne temperi gli eccessi. Nel dibattito sul futuro del settore aleggia il rischio di non centrare il vero bersaglio. Guardiamo alla battaglia sull’autoproduzione quando ci sono forze che inferiscono pesantemente sul funzionamento del mercato e della concorrenza a livello internazionale. Purtroppo mi pare che non ci sia volontà, sensibilità e attenzione per affrontare questa sfida con il rigore, oserei dire scientifico, che meriterebbe.
In questo complicato contesto, qual è lo stato di salute del sistema portuale che gestisce?
Il recupero dei volumi del periodo pre-pandemico quest’anno fa i conti con le forti tensioni internazionali e le loro conseguenze sulle attività produttive. Emerge il dato positivo di Marina di Carrara, realtà medio-piccola, dove si registra una crescita del 72% rispetto ai livelli, già record, del 2021. Un successo che si misura in termini di quantità ma anche di qualità, con una diversificazione dei traffici che attinge alla movimentazione di materie destinate all’economia circolare e al project cargo. Da Carrara partono i moduli per gli impianti per la produzione di GNL destinati al Nord America, un’attività importante non solo sotto l’aspetto industriale ma anche per l’ingegno logistico che sottintende. Differente la situazione di La Spezia dove le perturbazioni internazionali, in concomitanza con il riposizionamento di alcune linee, influiscono sulla lieve flessione del comparto container. Ad ogni modo ci attestiamo su un pieno recupero dei volumi del periodo pre-pandemico. Positivi, invece, le rinfuse liquide con la crescita di traffici legati al petrolio e al gas che confermano il ruolo dello scalo anche come nodo energetico.
Su quali punti strategici sta lavorando l’AdSP?
In termini generali stiamo sforzandoci per raggiungere una maggiore integrazione tra porto, aree retroportuali e città, dando impulso alla transizione energetica, all’intermodalità, alla formazione del personale che va accompagnato nel percorso verso il pieno impiego delle tecnologie digitali. Una forte attenzione è posta allo sviluppo della ferrovia, asset centrale che necessita di investimenti sia nel rinnovo della rete infrastrutturale sia nelle manutenzioni della stessa.
Un primo bilancio della sua esperienza?
Mi ha sorpreso positivamente la dinamicità di Carrara di imporsi come porto di media grandezza, come punto capace di incanalare l’economia del territorio. Ho riscontrato più fatica nello sforzo di aggregare interessi pubblici e privati attorno alla strategia di sviluppo di Santo Stefano Magra, così come nell’avvio della ZLS che rimane comunque uno dei cardini su cui impostare il futuro sviluppo delle aree retroportuali.
Quanto pesa la mancanza di strumenti amministrativi specifici da parte dell’AdSP?
Sono abituato a lavorare con quello che ho a disposizione. Non dirò mai “non ho fatto una cosa perché manca la legge”. È una modalità che considero inaccettabile. Detto questo se la riforma avesse rafforzato le prerogative del sistema anche al retroporto, magari con potere di ordinanza per le aree di diretta connessione, sarebbe stato più semplice trovare la quadra.
La Spezia e Trieste, dove pure ha lavorato, eccellono nell’intermodalità ferroviaria. Ci sono differenze nei rispettivi modelli di sviluppo?
I perni di questo tipo di attività sono le infrastrutture e i servizi, complementari ma diversi. Se sul primo ci sono elementi di forte affinità – l’impegno su investimenti, riqualificazione e manutenzione della rete – sul tema centrale delle manovre c’è una sostanziale divergenza. Trieste ha mantenuto, nel rispetto del principio di terzietà, il controllo pubblico mentre nel modello spezzino l’autorità portuale è completamente uscita da alcuni anni. Ora, in uno scalo che fa grandi volumi in spazi ristretti può capitare di prendere o dare, anche involontariamente, qualche gomitata. L’idea, fermo restando l’impossibilità di far rientrare in gioco l’AdSP, è che almeno tutti i soggetti in campo partecipino alla compagine che svolge il servizio. Con l’ente portuale nel ruolo di garante. Ci stiamo muovendo in questa direzione: è già stato istituito il comprensorio ferroviario e varato il suo regolamento.
Sempre a Trieste ha lavorato molto sul fronte del lavoro portuale, un modello da seguire?
Il punto di partenza è uno solo: la variabilità tipica dei traffici portuali, sotto l’aspetto della forza lavoro da impiegare, è normata dall’art.17 della legge portuale. Lo si può declinare sotto le prescrizioni del comma 2, come avviene nella maggior parte dei casi, o in quello del comma 5, ovvero la costituzione di un’agenzia del lavoro, come a Trieste, ma non ci sono alternative. È chiaro che il tema della flessibilità dipenderà dalle caratteristiche operative imposte dalla natura dei vari porti ma un’eventuale deregolamentazione porterebbe solo una esasperazione del precariato con drammatiche conseguenze sui livelli di sicurezza. Il ruolo dell’AdSP è quello di raggiungere un giusto equilibrio tra tutte le esigenze in campo, ma all’interno dei paletti stabiliti dalla legge.
Quali sono le priorità dell’AdSP nel medio-lungo periodo?
A La Spezia, come detto, dobbiamo far quadrare e sviluppare al meglio il triangolo porto – retroporto – ferrovie. Insieme all’espansione dei due terminal container, nel rispetto dei piani industriali previsti dalle concessioni, ci permetterà di reggere una competizione nell’alto Tirreno che con la diga di Genova e la Darsena Europa a Livorno è destinata a decollare. L’obiettivo è sfruttare e valorizzare la nostra già importante “resilienza ferroviaria” per impedire la marginalizzazione. Per quanto riguarda Carrara è necessario approvare il piano regolatore portuale che risale al 1981 ed è inadeguato alle esigenze industriali del territorio. Con un distretto nautico fiorente è impensabile non avere un collegamento con il porto e infrastrutture come un “travel lift” in grado di garantire lo sbocco al mare per i cantieri che insistono nell’interno. Stesso discorso per la riqualificazione del waterfront che darebbe la stura, oltre a mettere in sicurezza la città con gli interventi previsti sul molo di sopraflutto, ad una serie di attività economiche in grado di valorizzare ulteriormente la presenza dello scalo.
Giovanni Grande