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SETTEMBRE 2022 PAG. 26 - Un Paese marittimo chiamato Italia

 



L’Italia è un Paese marittimo anche se a volte ci ostiniamo a cercare altrove opportunità e occasioni di sviluppo e crescita sostenibili.

L’Italia è un Paese marittimo perché ha un patrimonio liquido che circonda i suoi 8mila km di coste, attraverso il quale viaggiano il 57% delle importazioni e il 44% delle esportazioni e dà lavoro a 530 mila persone, genera un fatturato di oltre 80 miliardi di euro, un valore aggiunto di quasi 24 miliardi di euro, profitti lordi per circa 11 miliardi e investimenti per 2,4 miliardi di euro.

L’Italia è un Paese marittimo perché nei momenti di crisi, come quello attuale, guarda al mare per trovare risposte che le meno flessibili logiche di terra non sono in grado di darle. Le attuali sfide geopolitiche, che hanno nel Mediterraneo un fulcro d’interesse mondiale, le criticità legate all’approvvigionamento energetico e alla transizione ecologica, le opportunità generate delle nuove rotte e dell’integrazione economica del Pianeta sono solo alcuni esempi.

Una ricchezza immensa, il mare, che, in primis, va messa a sistema assicurandola ad una governance unica dedicata. Una regia unica, non solo politica ma anche amministrativa, che riduca al minimo la ripartizione delle competenze fra diversi Ministeri, ben otto per quanto concerne il trasporto via mare, la componente di punta del cluster marittimo. Inoltre, occorre accompagnare tale azione con una effettiva ed efficace semplificazione dell’ordinamento marittimo e digitalizzando il maggior numero possibile di processi burocratici. Da anni è stato presentato in Parlamento, e da noi costantemente aggiornato, un ampio progetto di semplificazione normativa del Codice della Navigazione e dell’ordinamento correlato, per moltissimi aspetti a costo zero per l’erario. Sempre in tema di governance è assolutamente necessario rilanciare il ruolo della Conferenza di Coordinamento dei Presidenti delle AdSP quale sede di elaborazione della strategia portuale nazionale - come previsto della legge 84/94 - aperta alla partecipazione delle rappresentanze del cluster e volta a favorire la creazione di un sistema fondato su regole uniformi.

Oggi, nonostante le difficoltà legate al fare impresa in Italia, la flotta di bandiera italiana è tra le principali al mondo, tra le prime dei grandi Paesi riuniti nel G20. Ciò è stato possibile grazie al Registro Internazionale che, dalla sua nascita nel 1998, ha permesso di recuperare competitività rispetto alle flotte estere. Come noto, è alle porte una rivoluzione del settore del trasporto marittimo nazionale. A breve, infatti, si concluderà il processo di estensione dei benefici previsti dal Registro Internazionale alle bandiere UE/SEE. È necessario concludere al più presto questo processo di attuazione della Decisione Ue prevedendo una rigida perimetrazione dei soggetti beneficiari in base al principio di stabile organizzazione “rafforzata” in territorio nazionale, cioè destinare tali benefici a quei soggetti imprenditoriali utilizzatori delle navi stabilmente radicati sul territorio italiano, che contribuiscono a generare PIL per l’economia del Paese.

È grazie al Registro Internazionale che il nostro Paese continua a detenere la leadership mondiale nel settore dei traghetti Ro/Ro ed europea nel traffico crocieristico e delle Autostrade del Mare, che da sole hanno consentito di eliminare dalla strada circa 1,7 milioni di TIR all’anno e ridurre le emissioni di CO2 di oltre 2 milioni di tonnellate. Senza contare il mantenimento sotto bandiera nazionale delle preziosissime flotte di unità da carico, in particolare liquido e gassoso, sulle quali, in questo periodo, da più parti si stanno riponendo tante speranze dopo un lungo periodo passato in equilibrio tra il completo oblio - vedi i mancati ristori per i danni da covid19 - e la messa al bando, come fossero dipinte di brown su sfondo green.  

A tal proposito, pur apprezzando molto l’intervento per il rinnovo e il refitting di parte della flotta italiana per accompagnare la transizione green di un settore “hard to abate” e “capital intensive” come quello dello shipping, da tempo chiediamo ulteriori risorse da destinare all’intera flotta operata dalle imprese di navigazione nazionali alle quali si applicano gli stessi ambiziosi obiettivi individuati a livello internazionale, in particolare con riferimento alle emissioni.

Sempre in tema di transizione green, sebbene contrario ad una norma settoriale quale l’ETS e più favorevole ad una misura cosiddetta market-based a livello mondiale, il settore ritiene che le entrate generate dal sistema ETS debbano essere destinate a un fondo specifico settoriale marittimo per sostenere finanziariamente la transizione energetica del settore, contribuire ad abbassare il differenziale di prezzo tra combustibili più puliti e combustibili tradizionali nonché a ridurre le distorsioni della competitività che potrebbero generarsi tra le diverse modalità di trasporto europee.

Non solo: come anticipato, occorre risolvere definitivamente la strutturale carenza di lavoratori marittimi italiani. Vanno eliminate le molte barriere all’ingresso, in primis i requisiti di accesso alle figure professionali marittime, che rendono difficoltoso l’accesso ai mestieri del mare. È necessario, inoltre, dare attuazione della riforma del collocamento e istituire finalmente l’anagrafe nazionale della gente di mare per facilitare l’incontro fra domanda e offerta di lavoratori marittimi.

Insomma, tanto è stato fatto in questi anni difficili, l’armamento ne è consapevole e apprezza il grande lavoro svolto dal Ministero e in particolare dalla Direzione Generale competente, ma c’è tanto ancora da fare per prepararsi a cogliere tutte le opportunità che si schiuderanno rimettendo il Mare al centro del nostro Paese.

Mario Mattioli
Presidente Confitarma
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