Header Ads

APRILE 2022 PAG. 36 - Riforma settore interporti ferma in Parlamento da anni

 


Più che di risorse economiche serve uno svecchiamento delle regole. La prima legge d’istituzione degli interporti compie trent’anni. La proposta di una riforma del settore giace in parlamento da alcuni anni. Nel frattempo è cresciuta la consapevolezza del fattore intermodale come leva di competitività economica e ambientale. Basta pensare al capitolo del PNRR dedicato al potenziamento delle relazioni ferroviarie tra scali marittimi e interporti, candidati a farsi “banchina lunga” per lanciare il guanto di sfida alla portualità del northern range.

A due anni di distanza dall’ultimo appuntamento in presenza il mondo interportuale si è riunito a Padova. “Interporti al centro” è il convegno con cui Unione Interporti Riuniti, l’associazione di riferimento del settore, ha cercato di tirare le file di una nuova ripartenza. Avanzando proposte, proponendo una visione più in linea con le sfide del presente.

“Legge quadro o riforma dell’esistente”. Matteo Gasparato, presidente di UIR ha posto l’accento sulla necessità di svecchiare le regole. Tra i temi più importanti legati all’assetto della 240/90 un cambiamento della legislazione fiscale (“l’IMU è un elemento che pesa in modo importante”) e gli assetti urbanistici da ripensare. Se l’obiettivo è “incentivare i flussi intermodali tra porti nazionali e destinazioni estere” servono, poi, le misure tecniche richieste finora invano: “sviluppo dei nodi portuali, con allungamento dei binari fino a 750 metri, aumento della portata delle linee agli standard europei, adozione della sagoma p400, macchinari per l’handling”.

“La crescita del settore passa dalla sinergia associativa con l’Italia e l’Ue. Stiamo partecipando attivamente alla revisione delle Ten-t e partecipando con successo alle call previste dai CEF. La nostra rete è stata pensata negli anni ’90, oggi dobbiamo insistere sul tema dell’alleanza dei porti per i fabbisogni del paese”.  

Un ruolo centrale nell’economia italiana che si confronta con le sfide di una sostenibilità a tutto tondo. E che vede, anzi, nelle strutture interportuali una leva di cambiamento. È anche in quest’ottica che UIR ha presentato il suo “position paper”, con il supporto di Nomisma Energia, riassumendo il proprio punto di vista in relazione alla transizione energetica e alle potenzialità delle strutture intermodali presenti in Italia. 

“La sostenibilità sembra ricoprire un ruolo secondario” ha sottolineato Alessandro Bianchi, Ad di Nomisma Energia. Ma in un contesto in cui “l’energia deve essere sicura ed economica” e in cui le incertezze e l’aumento dei prezzi creano “difficoltà nel mandare avanti le missioni dei soggetti economici”, essa può risultare una risorsa importante. E anche su questo campo, quello delle fonti rinnovabili e delle nuove sfide tecnologiche, il sistema interportuale può dire la sua.

Nello studio si ricorda come il network italiano sia tra i più importanti europei: 26 complessi organizzati (12 sono distribuiti nell’area Nord Est del paese, 5 a Nord Ovest, 4 al Centro e 5 al Sud), tutti collocati su quattro corridoi core europei, che attraversano anche l’Italia. Nell’ambito degli interporti italiani sono stati complessivamente movimentati nel 2021 oltre 50 mila treni intermodali per un traffico complessivo di oltre 1.200.000 UTI (476 mila containers; 445 mila casse mobili; 472 mila semirimorchi; 7,5 mila Ro.La). La merce totale movimentata è di circa 70 mln t/ anno, con un totale di 1.200 aziende di trasporto e logistica coinvolte. Il numero medio giornaliero di mezzi pesanti entrati e usciti dagli interporti è di 25 mila unità.

“Secondo l’ultima analisi del settore di Deutsche GVZ-Gesellschaft mbH – evidenzia il rapporto – dei primi 14 interporti più importanti d’Europa, ben 6 sono italiani, contro 4 della Germania e uno di Spagna, Austria, Polonia e Finlandia”.

Già oggi il sistema interportuale italiano genera benefici ambientali molto importanti. Si stima, ad esempio, che nel 2020 abbia permesso la riduzione di 1,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra anche in virtù delle iniziative intraprese in autonomia e coerenti con il paradigma della transizione energetica.

Da una recente ricognizione emerge che 15 interporti dispongono già di impianti fotovoltaici di media – grande taglia per una superficie destinata a tali sistemi di circa un milione di metri quadri; 16 interporti sono interessati da iniziative di efficienza energetica; i tre interporti di Padova, Verona e Bologna già dispongono di un distributore di LNG per l’alimentazione di automezzi rispettivamente dal 2017, 2020 e 2021; diversi interporti hanno installato punti di ricarica (colonnine) per veicoli elettrici.

“U.I.R. stima che l’implementazione di interventi di decarbonizzazione negli interporti italiani possa generare riduzioni di emissioni pari a circa 400 mila tonnellate all’anno di CO2 per le sole attività svolte nei rispettivi ambiti operativi mentre l’efficientamento delle collegate filiere logistiche, estese quindi all’intero perimetro nazionale, consentirebbe minori emissioni tra 2 e 4 milioni di t CO2 al 2050”.

Per rafforzare ulteriormente questa vocazione il documento esorta ad una maggiore capacità di programmazione e coordinamento – “l’insediamento ormai intenso di nuove strutture logistiche sul territorio nazionale sta avvenendo in modo del tutto scollegato rispetto ai principi di efficienza che hanno guidato alla elaborazione di specifica legislazione per lo “status” di “interporto italiano”, inficiando così anche sulle potenzialità della logistica e dei terminal intermodali di contribuire efficacemente ai più ampi obiettivi di transizione energetica e mitigazione richiesti anche al settore dei trasporti del Paese” – indicando otto ambiti di azione, corrispondenti ad una trentina di attività da porre in essere e incentrati sui temi dell’intermodalità, l’energia, l’efficienza, la resilienza, le nuove tecnologie, la decarbonizzazione, la formazione e la sicurezza.

Nel 2030 dovremo raggiungere il 55% in meno delle emissioni e nel 2050 al 100% e per fare questo dovremo convincere la manifattura a controllare la propria supply chain logistica” ha evidenziato il presidente di Confetra, Guido Nicolini, intervenendo alla Tavola Rotonda organizzata nell’ambito del Convegno. “In Italia il 73% delle merci viene venduto franco fabbrica e questo fa si che sia il compratore estero a controllare la logistica, per cui, se vogliamo arrivare a trasporti più sostenibili, come ci chiede l’Europa, dobbiamo persuadere le imprese di Stato a vendere franco destino”.

“Non c’è alternativa alla sostenibilità, ci sono solo difficoltà in più che l’emergenza ucraina sta aggiungendo” ha concluso l’evento il ministro Enrico Giovannini. Il PNRR va in questa direzione anche se non basta. La partita non finisce con i 61 miliardi che il MIMS ha da realizzare con il PNRR, ci sono i 43 miliardi che abbiamo aggiunto con la Legge di Bilancio e il Fondo di Sviluppo e Coesione”.

G.G.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Immagini dei temi di Bim. Powered by Blogger.