Rotte artiche tra rischi e opportunità
Se ne è discusso a Genova al festival di Osservatorio Artico, “Italia chiama Artico” nel corso del quale è stato affrontato il tema dei cambiamenti climatici che stanno portando a drastici mutamenti nella regione polare, a cominciare dalla navigabilità dei mari ghiacciati.
“Il problema è che per Genova e l’Italia le navi, invece di fare le rotte di sud classiche, con Suez e il Mediterraneo farebbero un passaggio al largo delle coste russe, tagliando fuori completamente l’economia nazionale,” spiega Leonardo Parigi di Osservatorio Artico. “È un grandissimo rischio che difficilmente avverrà in tempi rapidi ma che, prima o poi, si aprirà cambiando la realtà come la conosciamo oggi”.
Ad oggi, come analizzato da Luca Sisto, Direttore Generale di Confitarma e Presidente dell’Istituto Italiano di Navigazione, gli itinerari artici utilizzabili sono quattro: il passaggio a Nord-Est, che comprende la nota Northern Sea Route (NSR), percorre le coste artiche della Russia e della Norvegia; la Transpolar Sea Route (TSR), che si estende dallo stretto di Bering fino all’Islanda attraversando il Polo Nord, è di difficile transito a causa di uno spesso strato di ghiaccio che la ricopre; il passaggio a Nord-Ovest (Northwest Passage, NWP) che attraversa l’arcipelago canadese e il nord dell’Alaska; la meno conosciuta Arctic Bridge Route (ABR), una rotta stagionale che collega il porto di Murmansk, in Russia, con il porto di Churchill, in Canada.
“È chiaro che la riduzione delle distanze consentirebbe alle compagnie di navigazione di abbattere i costi legati al carburante e, di conseguenza, ridurre le emissioni, senza contare che eviterebbero l’oneroso pedaggio per il transito nel Canale di Suez e pagherebbero premi assicurativi più bassi per il passaggio nel golfo di Aden, area da sempre soggetta ad attacchi di pirateria,” sottolinea Sisto.
La rotta artica, con tutti i suoi vantaggi, non è però esente da criticità forti. Mancano, ad esempio, strutture logistiche, sia commerciali sia dedicate alla riparazione e alla manutenzione delle navi. Così come le questioni legate alla poca adattabilità al traffico container e al controllo dell’accesso, in mano praticamente a Russia e USA.
“Senza contare che l’apertura di tali rotte potrebbe comportare una amplificazione dei rischi di natura ambientale,” continua Sisto. “L’eventuale sversamento del petrolio in mare causato da un incidente di una petroliera, e di quelli di natura economica dovuti all’incertezza della lunghezza della stagione navigabile e ai continui e improvvisi cambiamenti del regime del ghiaccio sul mare, nonché ai limiti legati alla batimetria: la zona dell’Artico russo è poco profonda e questa condizione porta all’esclusione dal passaggio di navi cargo di grandi dimensioni e di rompighiaccio a propulsione nucleare”.
Spazio anche alla diplomazia dei ghiacci che vive un momento complesso a causa delle ripercussioni del conflitto in Ucraina. Obiettivo dell’Italia, membro Osservatore dell’Arctic Council dal 2013, è che “si possa continuare a parlare dell’artico come un’area ad alto livello di collaborazione e a basso livello di tensione, una cosa che fino a qualche mese fa era una constatazione e ora penso che possa essere un obiettivo della comunità internazionale,” ricorda il ministro plenipotenziario Carmine Robustelli, Inviato Speciale dell'Italia per l’Artico.