MARZO 2022 PAG. 24 - D’Agostino: confronto continuo con realtà sempre più mutevoli
La nuova normalità sarà anche l’epoca degli shock ravvicinati. Crisi economica, Covid e ora guerra in Ucraina. Di fronte agli sconvolgimenti bisognerà essere elastici. Per Zeno D’Agostino, presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale, «chi pianifica strategie di una certa dimensione deve essere pronto a modificare in corsa quello che fino a poco prima considerava la scelta giusta». Ne deriva un ripensamento d’impostazione generale. «Dobbiamo abituarci al confronto con realtà sempre più mutevoli. Bisogna saper guardare e investire su percorsi diversificati. Gli stessi porti devono andare oltre la visione classica incentrata sui trasporti ed essere attivi su più fronti dell’offerta».
Il sistema portuale che guida fa da cerniera tra Est e Ovest dell’Europea. In che modo l’ultima crisi bellica si sta riverberando sui traffici?
Il momento è particolarmente difficile per lo scalo di Monfalcone. Tutto il traffico dell’acciaio proveniente dall’Ucraina non sta arrivando, con conseguenze negative sulla filiera dei laminatoi che, a loro volta, riforniscono importanti supply chain continentali in settori importanti come l’automotive e l’elettrodomestico. In prospettiva, considerando anche l’edilizia, si potranno registrare effetti negativi, a partire dall’aumento dei costi, per gli interventi legati al piano incentivi proposto dal Governo e agli stessi progetti infrastrutturali legati al PNRR.
Posta la necessità di strategie più flessibili, alla luce dell’attuale situazione, su quali punti l’AdSP continuerà a puntare?
Stiamo procedendo spediti sulla localizzazione degli investimenti industriali. Attrarre traffici è il mestiere dei nostri operatori, l’ente sta cercando di lavorare in una direzione innovativa rispetto agli obiettivi della portualità classica. L’esempio è la scelta fatta da British American Tobacco di spostare linee produttive dall’Asia a Trieste. Un processo di back-shoring che ha trovato un contesto territoriale pronto e ricco: le banchine, il porto franco, la zona logistica, il retroporto industriale sono elementi che rispondono in maniera integrata alle richieste specifiche degli operatori. Non si ottengono risultati come questo se si presentano offerte di servizi separate tra loro.
Il segreto di questo successo?
Non è questione di dotazione infrastrutturale ma di organizzazione delle istituzioni di emanazione pubblica. Arrivare in un posto dove un unico soggetto gestisce tutte le operazioni rende più semplice rispondere alle esigenze di realtà a livello globale. È singolare, ma esemplare, che la prima trattativa con British American Tobacco sia iniziata circa un anno e mezzo fa. Oggi stiamo già realizzando gli edifici che saranno pronti a luglio per avviare la produzione a settembre. È un po’ l’approccio che dovrebbe ispirare le ZES. Anche in quel caso c’è un po’ di semplificazione da attivare.
A che punto è il percorso verso la costruzione di un sistema portuale regionale?
Monfalcone, recentemente entrato nel pieno ambito amministrativo dell’ente portuale, ricoprirà un ruolo fondamentale. La sua capacità ferroviaria, in combinazione con il vantaggio di Trieste rispetto ai pescaggi può innescare logiche virtuose di rimodulazione dei traffici. Se la prospettiva è il raddoppio dei traffici via ferro Monfalcone, a prescindere dagli investimenti in corso, diventa una delle soluzioni cui guardare per bypassare eventuali colli di bottiglia da congestionamento dei traffici. Anche in questo caso vale il principio di pensare in modo nuovo.
Quali soluzioni avete in mente?
Un tema poco esplorato è quello dei traffici intra-portuali tra sistemi regionali. In realtà a livello globale spostare merci via chiatte è la normalità. Reti di shuttle di questo tipo comportano vari vantaggi: contro i problemi di viabilità possono sfruttare la capacità quasi infinita dell’acqua gestendo i flussi di movimentazione tra i diversi terminal. Il concetto da riprendere è un quello del Metrò del Mare sperimentato in Campania e basato sullo spostamento da terra a mare dei flussi di passeggeri. In questo caso si tratterebbe di spostare anche merci e container. Ci stiamo ragionando: presentare a potenziali investitori un unico sistema dove non ci sono grandi problemi di trasferimento e a costi contenuti è un vantaggio.
Anche in termini di sostenibilità…
Certamente. Laddove ci sono criticità nei collegamenti ferroviari lo spostamento dei semirimorchi potrebbe essere fatto via acqua. Sfruttando mezzi elettrici o a idrogeno, sulla falsariga delle sperimentazioni che stanno facendo in Norvegia sui collegamenti brevi nei fiordi, nell’ottica dei nuovi servizi da offrire agli operatori privati. Con le risorse messe a disposizione dal PNRR le AdSP possono ambire al ruolo di driver per la decarbonizzazione. Sistemi del genere permetterebbero di abbattere congestione del tessuto urbano e inquinamento. Per farlo bisogna andare oltre la mera concezione concessoria dell’ente portuale.
Il che pone la questione del confronto con le regole europee, spesso cucite su ambiti specifici…
Anche per colpa nostra. Per l’incapacità di far emergere il peso, le caratteristiche e le necessità legate ad un modello portuale di tipo mediterraneo. Si pensi solo al quadro di riferimento sugli aiuti di stato. Per noi italiani è difficile far capire a Bruxelles che la manovra ferroviaria può essere gestita dalla mano pubblica. Eppure non ci sono problemi se, in altri ambiti, le attività di rimorchio e ormeggio, che da noi invece sono messe a gara, sono in capo alle autorità portuali. In fin dei conti si tratta di prestazioni della stessa natura: una motrice, a terra, compie la stessa operazione di un rimorchio in acqua. Serve un ragionamento approfondito sulla questione dei servizi di interesse economico generale.
Questione crociere. Cosa volete fare da grandi?
Per Trieste e la stessa Monfalcone che, tra l’altro, ha già registrato buoni numeri, su qualsiasi banchina c’è una potenziale domanda che può essere soddisfatta. Ma per capire se c’è margine per il business non possiamo non tenere conto del contesto più ampio legato alla situazione di Venezia. È lì che ci sono nodi da sciogliere circa l’assetto crocieristico dell’Adriatico settentrionale. Dovrei ribaltare la domanda: noi siamo pronti, serve capire cosa vuole fare Venezia da grande.
Giovanni Grande
Cambiare la strategia portuale
“A proposito di transizione energetica, devo dire che il termine transizione non mi piace perché l’idea che ho è questa: con la transizione modifichi l’approvvigionamento energetico di un sistema che rimane uguale, cambi solo la fonte d’energia. Prima c’era il diesel, poi ci sarà l’idrogeno, ma l’organizzazione del sistema non cambia. Ma il tema vero è che devi rivoluzionare quello che stai facendo: stiamo cercando di cambiare la strategia portuale”. È quanto affermato a LetExpo 2022 da Zeno D’Agostino. “La capacità dev’essere quella di utilizzare infrastrutture esistenti magari obsolete ma andando anche fuori dai confini tradizionali. La pipeline che parte dal porto di Trieste per andare in Austria, Germania, Repubblica Ceca è un tubo di un metro di diametro che trasporta petrolio greggio; ma l’infrastruttura è larga 30 metri. Immaginate cosa può ospitare un tunnel costruito nel ‘67 che aveva come obiettivo il trasporto di greggio che oggi, con quel che succederà, potrebbe ospitare dall’hyperloop alle autostrade digitali o un tubo per l’idrogeno”. La vera capacità secondo il presidente dell’AdSP del Mar Adriatico Orientale sta nel riconvertire le infrastrutture esistenti. “Io posso farlo a Trieste e Monfalcone, a questo punto puoi cambiare mestiere, entrare in settori molto più redditizi, diventare hub tecnologico, energetico; si può anche sfruttare la parte del porto che si vede meno, che è quella sott’acqua”. “Noi – continua – di solito guardiamo solo quel che è emerso, ma a Trieste abbiamo un accordo con Snam che a 13 metri sotto il mare testa i suoi droni che poi vanno in profondità a fare manutenzione. Dobbiamo guardare anche alla parte sommersa di quelle infrastrutture importantissime, fuori da una logica esclusivamente trasportistica, ci vuole un po’ più di fantasia”.