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OTTOBRE 2021 PAG. 46 - La ‘ragionevolezza’ del ritardo nelle verifiche doganali ed il danno per l’esportatore

 

 

 

Recentemente la giustizia amministrativa si è pronunciata in merito alla dibattuta questione dei danni da ritardo imputabili all’Agenzia delle Dogane per la durata eccessiva delle verifiche sui prodotti destinati all’esportazione verso Paesi Terzi.


Le decisioni intervenute in primo grado hanno condannato l’Amministrazione al risarcimento dei danni da ritardo in favore dell’esportatore che, a causa del protrarsi dei controlli doganali, ha dovuto sostenere i costi connessi alla prolungata giacenza in porto di container destinati all’esportazione.(1)


A sostengo delle proprie posizioni, i Tribunali Amministrativi Regionali hanno dato rilievo, in diverse pronunce, alla disposizione normativa di cui all’art. 5, comma 2 bis, del D.L. 23/12/2013 n. 145, convertito con modifiche nella L. 9/2014, a mente del quale i provvedimenti di competenza dell’Agenzia delle Dogane devono trovare conclusione entro poche ore, ovvero entro tre giorni nel caso di controlli che richiedano accertamenti di natura tecnica, anche ove occorra il prelevamento di campioni.


Rispetto a tali parametri temporali i Giudici di prima istanza hanno valutato le condotte dell’Agenzia delle Dogane, accertandone la responsabilità risarcitoria, in assenza di condotte specifiche esimenti, disattendendo la tesi della difesa erariale secondo cui, in presenza di operazioni che presentino particolari criticità, non potrebbe mai essere garantito il rispetto della tempistica stabilita dalla norma citata.


In diverse pronunce il TAR ha ribadito che siffatta posizione si risolverebbe in una interpretazione abrogatrice della norma in esame, la cui applicabilità non può essere messa in discussione dagli uffici.
Le decisioni in commento hanno anche ripetutamente evidenziato che, pur ipotizzando la non applicabilità della disposizione citata alle fattispecie di particolare complessità, le attività di controllo demandate all’autorità doganale non possono ritenersi svincolate dai principi in materia di procedimento amministrativo, ed in particolare dal termine generale di conclusione dei procedimenti amministrativi di cui all’art. 2, comma 2, della L. 241/1990, attenendo siffatto obbligo ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. 


La Giustizia Amministrativa di primo grado ha posto in rilievo anche la possibilità, per l’Agenzia delle Dogane, di svincolare le merci prima di ottenere i risultati delle analisi o del controllo, in mancanza di dubbi circa l’applicabilità di divieti o restrizioni, facoltà che è stata ribadita nella normativa doganale europea succedutasi nel tempo e da ultimo prevista all’art. 194 del Codice doganale dell’Unione.(2)


Di tutt’altro avviso il Consiglio di Stato che, riformando le citate pronunce, ha ritenuto corretto l’operato dell’Agenzia delle Dogane, anche con riferimento alla tempistica degli accertamenti, in due casi in ragione della peculiarità dei carichi verificati, trattandosi dell’esportazione transfrontaliera di rifiuti, materia a cui non andrebbe applicato il disposto ex art. 5, comma 2 bis, del D.L. 145/2013, convertito con modifiche nella L. 9/2014, e nemmeno quello generale di conclusione dei procedimenti amministrativi di cui all’art. 2, comma 2, della L. 241/1990, richiamato dal successivo art. 269, comma 2 bis.(3)


Nella materia dell’esportazione transfrontaliera di rifiuti, ha affermato il Consiglio di Stato, l’Agenzia delle Dogane ha ulteriori poteri, riconosciuti anche a livello sovranazionale, e li esercita in collegamento con le diverse autorità preposte, secondo il parametro della “ragionevolezza” sancito dalla legislazione eurounitaria con riferimento al tempo del loro esercizio.


Precisano ancora i Giudici del gravame che la Legge 190/2012, nel dettare disposizioni per la prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione, individua il trasporto, anche transfrontaliero, e lo smaltimento di rifiuti per conto terzi, tra le attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa (art. 1, comma 53, lett. B) e che in virtù di detta legge,  nonché della Convenzione con la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, l’Ufficio Intelligence dell’Agenzia è legittimato ad effettuare controlli ulteriori rispetto a quelli strettamente tributari, in virtù del principio di specialità di tali regole che sono da considerarsi prevalenti.
Il tutto in coerenza con il Codice doganale dell’Unione che subordina lo svincolo della merce alla verifica entro un “termine ragionevole” e consente il blocco della merce sino ad assicurare il rispetto degli interessi superiori tutelati.


In altra decisione il Consiglio di Stato(4), riformando la pronuncia di primo grado, ha affermato che il ritardo nelle verifiche doganali non è ravvisabile allorquando i controlli si esplichino mediante prelevamento di campioni per l’analisi di laboratorio, ben potendo in questo caso l’accertamento eludere il termine di tre giorni previsto dall’art. 5, comma 2 bis del d.l. 145/2013, convertito con modifiche nella L. 9/2014.


In particolare, secondo i Giudici del gravame nel caso di prelievo di campioni e saggi occorrerebbe fare riferimento ad una nozione più elastica di ‘tempo utile’ per definire il procedimento, nel senso di ‘tempo ragionevole’, perché l’attività susseguente rispetto al prelievo è soggetta alla tempistica di soggetti diversi dagli organi doganali, ovverosia i laboratori che effettuano i test.


La sentenza in esame ricorda che il legislatore interno è ritornato a disciplinare la complessa materia dei controlli doganali in senso più conforme ai principi europei, richiamando l’art. 20, comma 3, del d.lgs. 169/2016, per il quale le amministrazioni concludono i procedimenti di competenza entro un’ora per il controllo documentale ed entro cinque ore per quello fisico, con decorrenza dal momento in cui le amministrazioni dispongono di tutti gli elementi informativi e sono soddisfatte le condizioni previste dalla normativa vigente per l’effettuazione dei controlli, mentre con riferimento ai controlli che richiedono accertamenti di natura tecnica o prelevamento di campioni si applicano i termini di esecuzione stabiliti dalla normativa dell’Unione europea o dai protocolli di settore.


Sulla base di questa nuova disposizione interna e dei principi sanciti dal Codice doganale dell’Unione, il Consiglio di Stato ha concluso affermando che: “è tornato ad essere principio giuridico acclarato quello secondo cui – al di là dei tipici casi in cui la verifica si risolve nel controllo documentale – che si deve concludere al massimo entro un’ora - e nella visita fisica e contestuale delle merci – per la quale sono previste cinque ore – l’accertamento di natura tecnica che implica il campionamento della merce è disciplinato dalla normativa dell’Unione europea e dai protocolli di settore, ovverosia dal principio del tempo ragionevole, a garanzia della effettiva praticabilità della verifica”.(5)


Nel caso al vaglio del Consiglio di Stato è stato pertanto ritenuto necessario e dunque ragionevole il tempo di 40 giorni per l’esecuzione del test di laboratorio, con conseguente esclusione di qualsivoglia responsabilità dell’Amministrazione nella determinazione del danno patito dall’esportatore, consistente nei costi connessi alla prolungata giacenza dei container in porto.


Le ricadute degli arresti giurisprudenziali del Consiglio di Stato, in particolare sulle verifiche doganali che richiedono indagini di laboratorio e su quelle che hanno ad oggetto l’esportazione transfrontaliera di rifiuti sono molteplici.


Dal punto di vista pratico, il privato che presenta in dogana la dichiarazione di esportazione della merce verso Paesi Terzi, laddove si tratti di rifiuti, ovvero si tratti di generi alimentari o prodotti per i quali possono essere richieste analisi di laboratorio, non può fare alcuna previsione circa i tempi degli accertamenti, per cui l’operazione di esportazione diventa una pericolosa cabala, a danno – seppure privo di antigiuridicità – di chi intende appunto esportare.


In questo tipo di operazioni diventa così impossibile stimare la congruità del termine di franchigia concesso dalle Compagnie di Navigazione per il noleggio dei container, tempo che usualmente varia dai 7 ai 14 giorni, perché, sotto l’egida della “ragionevolezza”, anche le verifiche che durino oltre un mese potrebbero essere pienamente legittime, come accaduto nei casi presi in esame.


E così anche la preventiva valutazione economica della complessiva operazione diviene aleatoria per i soggetti che, a vario titolo, sono coinvolti nell’esportazione (si pensi non solo al caricatore che venda dei beni extra UE, ma anche allo spedizioniere che organizza il trasporto, ed al doganalista che presenta la dichiarazione per l’export).


Con la conseguenza che se il privato sopporta gli ingenti costi per il prolungato stazionamento dei container sottoposti a verifiche, nulla può reclamare nei confronti dell’Agenzia delle Dogane, laddove le lungaggini degli accertamenti siano ritenute “ragionevoli”, rimanendo, dovremmo dire “giustamente”, danneggiato per queste spese e, in molti casi, anche per il mancato guadagno laddove il “legittimo” ritardo abbia comportato la violazione degli accordi commerciali per la spedizione extra UE della merce e l’affare venga poi risolto dal cliente a destino, rimasto ad aspettare per troppo tempo.
La “ragionevolezza” della tempistica delle verifiche doganali, essendo un criterio elastico, potrebbe inoltre portare, a parità di tipologia di esportazione e di verifica doganale, a considerare giustificabili tempistiche “lunghe” presso alcuni Porti nazionali, ad esempio a causa della carenza di laboratori in loco, oberati di indagini da espletare, laddove, invece, presso Porti più virtuosi i medesimi accertamenti si compiono in tempi dimezzati.


E così l’effetto a catena potrebbe incidere sul mercato mediante lo spostamento dei flussi di esportazione verso i Porti nazionali virtuosi, a danno di quegli operatori che invece sono costretti a confrontarsi con realtà meno dinamiche. 


A ben vedere le ricadute pratiche, solo in parte qui esemplificate, di siffatte interpretazioni recentemente fornite dal Consiglio di Stato, non sono altro che l’altra faccia della medaglia di una lettura della disciplina europea e nazionale in tema di accertamenti doganali collidente con i principi cardine di uno Stato di diritto, primo fra tutti quello della certezza del diritto che si esplica anche attraverso la previsione normativa di una tempistica certa nell’esercizio dell’azione amministrativa, evitando il prodursi di situazioni di diseguaglianza sostanziale che verrebbero ad essere pagate esclusivamente dagli utenti.


In altri termini, andrebbe riconsiderato dalla Giustizia Amministrativa che la disciplina nazionale, nel fissare precisi limiti temporali negli accertamenti doganali, non fa altro che assolvere ad una funzione integratrice della normativa di rango europeo, ben potendo il Legislatore nazionale emanare disposizioni di dettaglio, anche più restrittive di quelle comunitarie, quando non sussistano precisi divieti in tal senso, a maggior ragione quando la mancata specificazione nella regolamentazione nazionale di principi affermati a livello europeo, porti a tradire i valori fondanti la nostra Costituzione.
Ragionando diversamente, si giustificherebbe e legittimerebbe la condotta poco virtuosa di alcune Autorità Doganali, visto che le conseguenze della stessa, lungi dal ricadere sulla P.A., con sanzioni che potrebbero fungere da stimolo per il miglioramento del servizio, vengono inevitabilmente subite dall’utente caricatore/spedizioniere.


Quest’ultimo, infatti, non solo è impossibilitato ad intervenire nel procedimento amministrativo di verifica per accelerarne la sua conclusione, ma si troverà anche ad essere vittima di una concorrenza solo formalmente “leale” di altri competitor che operano in porti virtuosi, consapevole di un contesto stagnante privo di sanzioni che potrebbero costituire un incentivo per far mutare la situazione.
In questo quadro, i tempi sono forse maturi per riequilibrare gli interessi in gioco con un intervento normativo che esoneri il privato dalla sopportazione dei costi di quegli accertamenti doganali che eccedano la tempistica fissata dalla normativa nazionale, così arginando, seppure solo in parte, i danni che sul piano economico commerciale inevitabilmente si producono a causa dell’azione amministrativa.

Avv. Francesca Iapicca


(1) TAR Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza n. 86/2019; TAR Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza n. 87/2019; TAR Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria, sentenza n. 306/2020.
(2) Art. 194 dell’attuale Codice doganale dell’Unione - Regolamento n. 952/2013, integrato dal Regolamento n. 2446/2015; in precedenza, si veda l’art. 244 del Regolamento n. 2454/1993, l’art. 73 del Regolamento 2913/1992.
(3) Consiglio di Stato, sentenza n. 2751/2020; Consiglio di Stato, sentenza n. 2737/2021, sent. 2797/2020.
(4) Consiglio di Stato, sentenza n. 2737/2021
(5) Consiglio di Stato, sentenza n. 2737/2021

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