OTTOBRE 2021 PAG. 22 - Per i porti italiani un “gabinetto di guerra in tempo di pace”
L’accessibilità ai porti deve essere garantita sia dal mare, superando definitivamente l’impasse burocratica che rende le operazioni di dragaggio una vera e propria via crucis, sia da terra, attraverso lo sviluppo di un’infrastrutturazione, fisica e immateriale, che impedisca la formazione di “colli di bottiglia”. Il rischio che si corre a non sciogliere questi nodi è di rinunciare alle opportunità legate allo spostamento verso il Mediterraneo dell’asse dei traffici marittimi (20% della movimentazione mondiale, 27% di quella container).
Alessandro Santi, nella sua relazione all’Assemblea Generale di Federagenti, non ha nascosto la polvere sotto il tappeto. Anzi ha elencato il quadro poco rassicurante in cui versa la portualità nazionale, palesando i legittimi dubbi sulla capacità del sistema – Italia di sfruttare a dovere il contesto positivo che il post-pandemia riserva, a partire dalle risorse messe a disposizione dal PNRR, al rilancio della nostra economia. Un quadro talmente grave da giustificare – secondo Santi – l’istituzione di un “gabinetto di guerra”: un centro decisionale dotato di pieni poteri che non sfoci nella solita e inutile cabina di regia.
I dati su cui si basa l’analisi sono eloquenti. L’Italia è solo al decimo posto tra i paesi del Mediterraneo per volumi intercettati tra quelli transitanti nel Mediterraneo. “Fanno meglio di noi - ha sottolineato - la Grecia, la Spagna ma anche prepotentemente i porti del nord Africa”. E ancora: solo il 3% dell’import/export da e per la Cina (prima relazione di import italiana con circa il 20% del volume) che usa porti italiani, transita verso altri paesi europei – siamo i peggiori: Olanda 49%, Grecia 57%, Belgio 39% e anche Germania (23%).
Non consolano neanche i riscontri sui livelli di competitività settoriale: “la World Bank ci colloca al 19 posto nella statistica del Logistics Performance Index che stima l’efficienza delle catene logistiche dei paesi”.
E infine: Cassa Depositi e Prestiti stima per le aziende italiane extra costi logistici superiori al 10% rispetto a livello medio dei loro competitor europei. Situazione, quest’ultima, che impedisce all’Italia di cogliere le opportunità post-pandemia, di pensare a servizi in funzione del re-shoring di imprese in Europa o alle conseguenze potenzialmente positive della transizione energetica.
“L’Italia si deve chiedere se vuole continuare ad essere porto” la provocazione lanciata da Santi nel corso dell’evento. “Potremmo non riuscire ad utilizzare i fondi del PNRR e, di nuovo saremmo considerati il Paese che non sa utilizzare le risorse”.
È a partire da queste considerazioni che il presidente di Federagenti ha avanzato la proposta per una strategia di risposta basata su quattro pilastri. Il primo incentrato su “una visione strategica del Mediterraneo perché operiamo in un Mare Nostrum in cui stentatamente ci facciamo sentire”. Poi la transizione ecologica, “da gestire con attenzione”. Terzo punto le infrastrutture. “Un porto deve avere pescaggi adeguati e capacità di flusso retrostante, cioè ferrovia, strade, viadotti, ponti, adeguati alla dimensione di traffico che intende fare lato mare, sennò sono strozzature”. E poi c’è lo snellimento della burocrazia, “indispensabile per portare a termine le opere”. “L’Italia è il sestultimo Paese su 28 in termini di capacità di portare a termine le opere e utilizzare i fondi europei e impieghiamo 6 anni e mezzo circa da quando iniziamo un progetto per arrivare alla conclusione per le opere infrastrutturali portuali,” ha sottolineato. “Per il 2026 siamo già corti”.
Non casualmente Santi ha anche fatto esplicito riferimento a una grande alleanza fra tutto il mondo imprenditoriale che insiste sul cluster marittimo, rendendosi conto per tempo che senza misure di cambiamento radicale anche i progetti del Recovery Plan non potranno produrre nulla di concreto.
Da qui l’idea del “gabinetto di guerra in tempo di pace”. Una struttura che, rispetto al singolo commissario, dovrebbe avere la capacità di dipendere direttamente dal presidente del Consiglio, mettere insieme gli otto ministeri che in questo momento coinvolgono la portualità e la logistica.