SETTEMBRE PAG. 36 - Moda-tessile made in Italy primo esportatore in Cina
Nel primo semestre dell’anno la Cina ha aumentato del 46% le importazioni di articoli di tessile-moda dal mondo, e il “made in Italy”, per la prima volta, si colloca al primo posto fra i Paesi esportatori, sorpassando un rivale storico come la Francia. È quanto emerge dai dati forniti da Ice Pechino che confermano un primato storico per il nostro paese.
Nei primi sei mesi dell’anno, l’import cinese di prodotti del sistema moda italiano è aumentato del 96% rispetto allo stesso periodo del 2020 (che aveva risentito di un calo), arrivando a quota 6 miliardi di dollari e conquistando una quota di mercato del 12 per cento. La Francia, al secondo posto, si è “fermata” a un +58% a 5,6 miliardi di euro, valore che le consente di ottenere una quota di mercato pari all’11 per cento. Seguono il Giappone (+22% a 5,1 miliardi di dollari), il Vietnam (+29% a 5 miliardi di dollari), e, considerando le top five tra i partner commerciali cinesi di prodotti moda, la Corea del Sud con un +18% a 3,6 miliardi di dollari.
Da un confronto con lo storico dei semestrali dal 2019 al 2021 emergono dati ancora più interessanti che certificano il “balzo” in avanti compiuto dall’Italia. Nel primo semestre nel 2019 il principale Paese da cui la Cina si approvvigionava sul fronte fashion era il Vietnam (4,1 miliardi di dollari), seguito dal Giappone (3,7 miliardi di dollari) mentre l’Italia era al terzo posto con 3,4 miliardi di dollari. Un anno dopo, il primato era andato al Giappone (4,1 miliardi di dollari), seguito dal Vietnam (3,8 miliardi di dollari) e dalla Francia (3,5 miliardi di dollari), con l’Italia scivolata al quarto posto con poco più di 3 miliardi di dollari. Ecco che, quindi, l’exploit del 2021 diventa ancora più significativo, facendo in pratica balzare il made in Italy dal quarto al primo posto.
A favorire la crescita una “introversione” dei consumi interni, stando all’analisi fornita dal sito specializzato in lifestyle Pambianconews. “La dinamica di questi ultimi non appare infatti esponenziale (nei sette mesi l’aumento delle vendite di beni di consumo è stato pari al 20,7% rispetto allo stesso periodo del 2020, con una crescita media nei due anni 2020-21 del 4,3%) e si mantiene ancora relativamente inerziale rispetto alla crescita dei fattori di offerta (produzione industriale, esportazioni). Di conseguenza, la spiegazione del fortissimo aumento degli acquisti dall’Italia di prodotti tipici del modello di specializzazione internazionale tradizionale, soprattutto pelletteria, gioielleria, cosmetica e profumeria, abbigliamento, calzature, è probabilmente da ricercare nel reindirizzamento dei consumi verso brand di lusso che ora vengono acquistati all’interno mentre precedentemente si acquisivano in occasione di viaggi all’estero. A ciò si aggiunge anche l’ormai celebre ‘revenge spending’ post lockdown”.
“La recente accelerazione del Made in Italy può essere spiegata dal fatto che i consumatori cinesi, il cui gusto e raffinatezza sono in continua evoluzione, si stanno allontanando dai grandi e noti marchi tradizionali della moda per abbracciare brand più piccoli e di nicchia che hanno mantenuto vivo l’artigianato tradizionale e lo hanno migliorato con le moderne tecniche di produzione” ha spiegato Yuan Zou, head of fashion & luxury Europe di Hylink Digital Solutions, a Classxhsilkroad.
Nel corso degli anni la Cina è diventata un mercato sempre più ricco di opportunità per le imprese italiane con proiezione internazionale.
Merito, per il segmento fashion, anche di un ecosistema logistico fortemente competitivo e specializzato che certifica dall’origine all’arrivo la qualità di una merce per definizione “ad alto valore aggiunto”. Un tipo di organizzazione del ciclo produzione-distribuzione, poco presente per altre categorie merceologiche del Bel Paese.
Tra gli altri aspetti alla base della buona performance di questo 2021 anche la “chiusura” di Hong Kong, tradizionale hub commerciale regionale per i beni di lusso. “Precedentemente, tali prodotti venivano importati illegalmente in Cina continentale, ma ora, con le restrizioni logistiche, devono affiorare gioco-forza nelle statistiche di importazione. Il fenomeno è particolarmente evidente soprattutto per la gioielleria”.