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AGOSTO 2021 PAG. 14 - Porto-città, dialogo necessario nel contesto socio-economico

 



L’Italia, rispetto ad altri Paesi occidentali, è molto indietro nei processi d’integrazione tra porto e città e, di conseguenza, nei progetti di rigenerazione urbana delle aree portuali a vantaggio della città. Nelle aree portuali e retroportuali delle nostre città di mare troviamo aree ed edifici sottoutilizzati, inutilizzati, abbandonati al degrado, in attesa di piani e progetti che siano sostenibili e fattibili, fondati sulla collaborazione costruttiva tra cittadini e istituzioni portuali e comunali.

Genova fu la prima ad avviare il recupero del waterfront portuale urbano, per le Colombiadi a inizio anni Novanta, con la realizzazione del Porto antico, l’Acquario ancora oggi visitatissimo, il Galata museo del mare, le aree portuali dismesse rigenerate e rese parte integrante della città vissuta. Quel positivo recupero fu frutto di un evento straordinario che non riuscì ad evolvere in processo strutturale e strutturato, nonostante altre positive iniziative sia dell’Autorità Portuale sia del Comune di Genova.

A Napoli, sono tanti gli interessanti progetti e i vivaci dibattiti sull’area del porto storico che va dal Molo San Vincenzo all’Immacolatella Vecchia ma poco di concreto si è fatto, probabilmente, per mancanza di dialogo tra i soggetti interessati, pubblici e privati. Nell’area orientale, si assiste a prove di dialogo tra la comunità portuale e la comunità urbana per uno sviluppo delle attività logistiche che sia compatibile con il recupero del rapporto con il mare del quartiere San Giovanni a Teduccio.

A Trieste, l’immensa area del Porto Vecchio ha visto molti progetti e poche realizzazioni nonostante gli sforzi generosi di istituzioni e comunità locali, probabilmente, perché la scala è tale da richiedere un respiro dimensionale delle ipotesi progettuali e una visione internazionale per le destinazioni d’uso future che, fino ad oggi, sono mancate.

A Livorno, storica città d’acqua con i suoi canali medicei, i progetti di rigenerazione urbana in corso possono avere un forte impulso dal dialogo tra la comunità urbana e la comunità marittima. 

Per favorire il dialogo porto-città, alcuni sindaci hanno voluto assessori con specifiche deleghe al porto e/o al mare, alle attività portuali e all’integrazione porto città. In Italia, il Comune di Livorno ha fatto la scelta politica di una specifica delega al porto e all’integrazione porto città mentre, nelle altre città di mare, il porto è condiviso dall’urbanistica e dalle attività produttive. A Genova c’è l’Assessore allo Sviluppo Economico Portuale e Logistico, a Napoli la delega per il porto è al Vicesindaco unitamente all’urbanistica e ad altre importanti deleghe, a Trieste il Sindaco ha tenuto per sé la delega al “Porto Vecchio” in quanto progetto strategico per la città.

Per comprendere le sfide attuali della relazione porto-città, dobbiamo considerare la profonda trasformazione legata all’evoluzione dei traffici marittimi, alla complessificazione della catena logistica, alla globalizzazione delle dinamiche geopolitiche. 

Dopo la Seconda guerra mondiale, le società occidentali hanno vissuto una stagione di sviluppo economico e sociale in cui la crescita del trasporto marittimo è stata, contemporaneamente, conseguenza e strumento. L’intensificarsi delle attività marittime ha favorito l’innovazione tecnologica e organizzativa della movimentazione delle merci e il maggior impatto è stata indotto dalla containerizzazione.

A partire dagli anni Sessanta, i traffici marittimi hanno vissuto una specializzazione sempre più spinta che, progressivamente, ha separato i porti dalle città rompendo quell’equilibrio millenario per cui città e porto erano un unicum fortemente identitario a cui partecipava tutta la comunità urbana e non solo quella propriamente marittima.

La divisione porto città ha avuto declinazioni ed intensità differenti nei vari scenari geopolitici e nei vari mari del mondo, talvolta con soluzioni radicali di delocalizzazione dello scalo marittimo che è stato allontanato dal centro urbano, in particolare, nel Nord Europa e nel Nord America.

In Italia, non si sono avute delocalizzazioni delle attività marittime specializzate - se non parziali - e i porti sono rimasti nella città storica per cui la separazione risulta ancora più marcata e fortemente subita dalla popolazione delle città di mare. Negli ultimi venti anni, si sono avute prove di dialogo, non solo a Genova, con differente determinazione ed efficacia d’azione. 

La ritrovata centralità del Mediterraneo nelle rotte commerciali tra Oriente e Occidente se, da un lato, offre un’opportunità da non perdere per il cluster marittimo, dall’altro lato pone con forza il tema del dialogo porto città come obiettivo ineludibile delle città portuali italiane, nell’interesse sia delle comunità marittime sia delle comunità urbane.

Città e porto devono dialogare per produrre ricchezza, per far crescere le attività economiche legate al mare e al porto, per creare nuovi posti di lavoro e benessere sociale. Allo stesso tempo, città e porto devono dialogare per migliorare la qualità della vita urbana, valorizzando l’identità marittima sia come patrimonio immateriale delle città di mare sia, attraverso processi collaborativi di rigenerazione urbano-marittima.

Se l’obiettivo è abbastanza definito e condivisibile, è necessario concentrarsi sulla messa a punto delle strategie da adottare, scegliere le azioni da intraprendere e i modelli di governance da adottare, in generale e negli specifici contesti delle nostre città portuali.

La strategia più appropriata non può che fondarsi sul dialogo tra le comunità, facendo conoscere l’importanza dell’economia del mare a tutti i cittadini e favorendo l’incontro tra il cluster marittimo e tutti gli altri cittadini che non hanno un rapporto diretto con l’economia del mare. 

Il primo necessario passaggio è l’approfondimento reciproco di conoscenza tra la comunità marittima con la sua particolare identità trans-regionale propria delle città di mare e la comunità urbana che ha una identità con più marcata connotazione locale anche se storicamente e potenzialmente aperta verso altre culture grazie alla presenza del porto. 

La conoscenza, per individuare le funzioni di mare e di terra, ha quale strumento il confronto, ai vari livelli, tra gli attori del porto e della città: istituzioni del territorio e del mare, associazioni di categoria, terzo settore, imprese del manifatturiero, della logistica, dello shipping, delle costruzioni e dei servizi e così via. 

La conoscenza reciproca della comunità marittima e della comunità urbana troverà il suo naturale campo di azione congiunta su quelle aree che - per ubicazione e, soprattutto, per destinazione d’uso - sono d’interesse comune sia del porto sia della città, definite anche dalla legge 84/94 e successive riforme come “aree d’interazione porto-città”. Queste aree dovranno essere individuate, classificate e analizzate affinché sia possibile mettere in atto dei processi collaborativi di rigenerazione urbano-marittima che siano governati, a livello istituzionale, dalle Autorità di Sistema Portuale e dai Comuni ma che si svolgano attraverso l’ampio coinvolgimento delle comunità marittime e urbane in tutte le loro articolazioni.

L’apertura fisica del porto alla città è possibile per le aree dedicate al traffico passeggeri e le stazioni marittime possono diventare parte integrante delle città in cui i cittadini e i croceristi si conoscano e riconoscano, così come accade per le stazioni ferroviarie. Il porto merci, invece, deve aprirsi virtualmente attraverso creazione di poli informativi multimediali che raccontino le attività del porto e dei marittimi a tutti i cittadini con particolare attenzione alle scuole e alle nuove generazioni.

Per quanto riguarda la governance, rimanendo nel quadro legislativo vigente, si tratta di utilizzare al meglio gli strumenti di pianificazione previsti per le aree d’interazione porto-città e, più in generale, per l’interazione tra il porto, la città e il territorio. 

In particolare, il Documento di Pianificazione Strategica del Sistema Portuale e i successivi Piani Regolatori Portuali dovranno fondarsi su processi collaborativi tra la comunità urbana e la comunità marittima coinvolgendo oltre ai soggetti istituzionali anche gli altri soggetti pubblici e privati - urbani e marittimi - del territorio.

La rotta è tracciata, tenere la barra diritta è compito della Politica.

Massimo Clemente Direttore CNR IRISS e Direttore scientifico RETE Association for Collaboration between Ports and Cities

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