LUGLIO 2021 PAG. 17 - Favorire la crescita della forza patrimoniale dell’armamento
La transizione non sarà un pranzo di gala. Passare a modelli industriali a basso impatto ambientale comporta investimenti ingenti che, specie nel settore dello shipping, oggi pesano perlopiù sulle spalle degli armatori. Per affrontare questa fase delicata servono strumenti di finanziamento ad hoc. Ne parla il presidente di Confitarma, Mario Mattioli.
Come sta affrontando la transizione ecologica lo shipping italiano?
Il problema riguarda proprio la disponibilità a reperire risorse per affrontare quella trasformazione che presumibilmente tra il 2030 e il 2050 dovrà portare ad un trasporto marittimo ecologicamente compatibile. La gran parte delle aziende associate a Confitarma si sta muovendo in un contesto di grande complessità. Il settore viene dalla devastante crisi del 2008, che per certi versi non è stata ancora assorbita, e si è trovato a fare i conti con gli effetti drammatici, sotto tutti i sensi, della pandemia da Covid. Ciò che chiediamo allo Stato è di sostenere gli sforzi che dovremo affrontare nei prossimi anni.
In che modo?
Una soluzione ottimale potrebbe vedere il coinvolgimento di un’istituzione come Cassa Depositi e Prestiti per la creazione di un fondo dedicato al settore. Un’iniziativa che possa fungere da attrattore di capitali interessati al medio e lungo periodo, come i fondi pensione internazionali, che sia complementare allo sforzo messo in campo dal comparto bancario. Ci sono imprese che hanno un enorme capitale in termini di tecnologia e know-how che in questo preciso momento storico registrano difficoltà a reperire le risorse finanziarie necessarie alle ristrutturazioni richieste dalle politiche di decarbonizzazione.
Ne va di mezzo un asset strategico per il Paese…
Anche considerando gli ultimi trend della globalizzazione, ovvero la tendenza verso una maggiore regionalizzazione dei traffici, il traffico marittimo rimane essenziale. Tanto che per il 2050 è previsto quasi il raddoppio degli scambi commerciali a livello globale. Lo shipping italiano può continuare a dare il suo contributo, già importante, allo sviluppo economico delle aziende nazionali solo affrontando la sfida della modernizzazione. E per farlo serve anche una svolta culturale nei modelli gestionali. La forza patrimoniale delle nostre aziende deve crescere. Per superare la frammentazione che incide sulle dimensioni si può pensare anche alla possibilità di mettere insieme più realtà.
È la questione dei campioni nazionali…
Certo. La dimensione permette di incidere in maniera più efficace sia sul mercato sia dal punto di vista istituzionale. E le potenzialità, con un settore allargato nell’ambito della Federazione del Mare, che conta su circa 550mila addetti ci sono già tutte. Penso ad esempio alla possibilità di fare da volano per il rilancio delle attività produttive, una volta che saranno attivati strumenti strategici come le ZES e ZLS.
È arrivato il momento in cui la politica ha smesso di volgere le spalle al mare?
Lo vedremo nel brevissimo termine. D’altronde una parte fondamentale del PNRR riguarda quelle riforme della pubblica amministrazione che andiamo chiedendo da tempo. In caso contrario non ci saranno alibi. L’attuale governo può contare sull’appoggio di quasi tutto l’arco istituzionale. Dovrebbe essere più semplice lavorare a quelle semplificazioni burocratiche che finora hanno pesato come un macigno sull’economia italiana.