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LUGLIO 2021 PAG. 12 - Prometto che la prossima volta vado a dormire presto

 

 

 

Il cortocircuito continua, verrebbe da dire…giorni surreali tra il voto favorevole dalla Commissione Bilancio della Camera e lo sgambetto della Ragioneria dello Stato che pare non abbia capito il merito dell’emendamento “Salva portualità”… il Governo che decide di fermare in 10 giorni le crociere a Venezia dopo un rimpallo durato 10 anni... ci mancava solo il blocco delle gallerie sulle autostrade... ma questa è un’altra storia…

Ha ragione Pasqualino Monti, incontrato fuori dal MIMS, con il decreto di nomina in mano: “Credo che sia arrivato il momento di concentrare l’attenzione sull’industria porto, di comprenderne realmente la forza e le potenzialità, e di constatare quanto sia triste, in un comparto così importante per il Paese, che la risposta dello Stato sia lasciata alla burocrazia, di fronte a un indirizzo politico chiaro e unanime. Incredibile!”.

Così come condivisibile lo spunto di Mario Sommariva quando afferma che “serpeggia una incomprensione di fondo verso un settore che non brilla certo per apertura nei confronti del resto del mondo ma che non è adeguatamente compreso per il suo valore, specialmente in termini di contributi che dà dal punto di vista del PIL”.

O quanto dichiarato da Mario Mega recentemente: “il rischio che il PNRR sia una raccolta degli stessi progetti infrastrutturali che i porti hanno da anni”.

Per non parlare di quanto “sollevato” da Zeno D’Agostino: “La verità è che il mondo della logistica si è piegato alle regole del libero mercato ed è quindi sovraesposto, più di altri settori, alle sue fluttuazioni; nei porti ci sono invece elementi di governance pubblica che ne correggono le storture. Per questo motivo occorre oggi investire nel pubblico, in tutti gli ambiti, sostenendone la capacità di governance”.

O da Ivano Russo: “Nel mondo le città portuali e di mare sono quelle più ricche, più tecnologicamente avanzate, più giovani e dinamiche. Solo in Italia non è così. Le principali dieci città portuali italiane sono collocate negli ultimi venticinque posti della classifica annuale sulla ricchezza delle province, mentre ai primi 5 posti troviamo Milano, Monza, Bologna, Parma e Bolzano. Diventa complicato pensare che in un contesto povero si possano generare buona occupazione e seri profitti imprenditoriali”.

Ricordate la lettera accorata di Roberta Macii al ministro Giovannini e quanti si sono inseriti nel solco del suo intervento sia in interviste che in commenti sui social, da Munari a Maresca, da Russo a Parenti…?

Tutto si tiene, anche nella frammentazione rappresentativa di questo mondo… fateci caso, nonostante sui temi del lavoro e dei ristori ai terminal fermi da 18 mesi, sul tema di Venezia, i temi del PNRR, ci sia una visione unanime dell’industry, dei sindacati, di una ritrovata ASSOPORTI e anche di una buona parte della governance del ribrendizzato MIMS (quasi stupita forse della centralità che gli viene offerta… da cogliere…), nonché di un asse trasversale del Parlamento, la distanza di parte della politica di Governo e della burocrazia è crescente.

…è un dato che anche i ristori del 2020 non siano ancora arrivati nei bilanci delle aziende: come se bastasse un enunciato di una norma per produrre flussi di cassa in un bilancio e pagamento di stipendi e fornitori

Sapete che le Associazioni anche rappresentano le aziende portuali, insieme a Assoporti e ai sindacati hanno già siglato e promosso ben tre avvisi comuni in un anno dando dimostrazione di concordare sulle stesse strategie, proposte, problematiche per il settore, e che quasi nessun punto di sintesi ha trovato riscontro in una norma? Preoccupante.

All’inizio pensi di sbagliare nell’approccio, allora cambi modalità, passi dal proporre riforme strutturali a proposte puntuali e circoscritte, ma nulla cambia e ti preoccupi.

Soprattutto quando sei convinto che le tue azioni non siano votate all’employerbraning ma a un più ampio concetto di marketshare (sempre lobbying è ma con dinamiche di obiettivi e modelli di condivisione diversi).

Quindi il tema è: l’industry della portualità, le sue imprese, i suoi lavoratori (siamo sempre introno al 2% del PIL) non “bucano” la sensitivity della visione politica del Paese, forse perché non sono infrastrutture da appaltare, e quindi poco percettibili e non inaugurabili, ma il sistema venoso di quelle banchine, strade, ferrovie che da sole non sarebbero alimentate: la nave non si autocarica e autoscarica, la merce e i passeggeri per strada non è sostenibile stoccarla o lasciarli.

…da Livorno e dagli ultimi “porta a porta” tra Via Nazionale e Piazza Porta Pia ci dicono che nel prossimo provvedimento normativo troveremo “ristoro”, così come Assoporti ci ha confermato che vuole essere “il” raccordo del sistema e che si farà parte diligente per arginare questo vuoto!”.

Ci continuano a dire che “i contributi tecnici, giuridici, di modelli sulla formazione e sul riequilibrio economico finanziario delle concessioni sono interessanti e innovativi, ma non vogliamo solo fare cultura, vorremmo che le nostre aziende e il business che portano fossero valorizzate, anche in una nuova percezione del rapporto con il territorio e in un contesto di industry portuale di sviluppo, perchè, come dice qualcuno, “il porto è un luogo sul mare” e “il porto in città è la sua configurazione naturale”.

La portualità non può essere sempre in vendita, anche con saldi procrastinati… se no diciamoci chiaramente che lo è il Paese!

 

Alessandro Ferrari

Direttore Generale Assiterminal


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