GENNAIO 2021 - PAG. 38 - Il progetto codicistico del procidano Michele de Jorio
Quando il 18 gennaio Procida si è vista attribuire l’ambizioso titolo di Capitale della Cultura per l’anno 2022 si è voluto senza dubbio premiare anche l’identità marinara di una comunità caratterizzata, da secoli, dal suo indissolubile legame con il mare.
Procida era ed è fucina di marinai e pescatori nonché patria di un pilota – collaudatore, al tempo dei lavori per l’apertura del Canale di Suez in Egitto, tal Domenico Scotto di Perta a cui è dedicato un monumento.
Ma procidano fu soprattutto Michele De Jorio, avvocato e magistrato del foro napoletano poi presidente del Sacro Regio Consiglio borbonico, che si occupò, sin dalla giovane età , di economia e diritto marittimo.
De Jorio è degno di essere ricordato come colui a cui, il 20 dicembre 1779, Sua Maestà Ferdinando IV di Borbone, diede incarico di compilare un Codice di leggi marittime e navali, con il quale doveva delineare, regolamentare, riepilogare e trattare, nei suoi diversi aspetti, i capitoli, gli usi, i regolamenti, le ordinanze e leggi di navigazione e di commercio del Regno di Napoli.
Il progetto di redigere una Pragmatica o Codex Maritimum che disciplinasse la materia della navigazione marittima per regolamentare i traffici da e per il Regno, era già un vecchio pallino del padre Carlo III.
Carlo, sovrano pragmatico, manifestò l’esigenza di codificare le varie leggi che si erano succedute disarmonicamente nel tempo e intuì quanto fosse importante (e lo è ancora oggi!) limitare la lungaggine dei processi inerenti le controversie marittime.
Anche il ceto mercantile avvertiva questa esigenza e attraverso l’istituzione concordata del Supremo Magistrato del Commercio - magistratura che si occupava anche delle controversie marittime discusse nei Consolati di terra e di mare, posti nei principali porti del regno – si cercò di perseguire una politica che considerasse il mare e il suo diritto volano per uno sviluppo del Reame non solo per la posizione geografica nel Mediterraneo ma anche per adeguarsi ai dettami delle contemporanee dottrine mercantilistiche europee.
La legislazione carolina aveva prodotto Prammatiche, Editti e Real Decreti. Tra questi degni di nota furono la Prammatica De nautiis et portibus del 1741, il Reale editto, ossia regolamento per la navigazione de’ bastimenti mercantili de’ 18 agosto 1741 e successivamente il Reale Editto intorno alla navigazione del 1759. Tali provvedimenti erano incentrati principalmente sulla riorganizzazione della flotta mercantile, la disciplina della gente di mare e l’infrastrutturazione dei porti in relazione all’accrescimento del tonnellaggio e ai maggiori volumi di traffico delle merci in importazione ed esportazione. Ma l’obiettivo prefissato non era stato ancora raggiunto. Una volta che Carlo ottenne il trono di Spagna toccava al figlio Ferdinando portarlo a termine.
I lavori di De Jorio sulla storia del commercio marittimo e la sua vasta erudizione nel campo mercantile attirarono immediatamente la corte napoletana che vide nel procidano l’uomo giusto a cui affidare l’ambizioso progetto codicistico. L’incarico si inseriva nel progetto dell’allora Ministro della Marina John Francis Edward Acton di continuare l’opera riformatrice di Carlo di Borbone.
L’opera richiese due anni di lavoro e fu realizzata nel 1781 con il titolo provvisorio di Codice Ferdinando o Codice marittimo compilato per ordine di S.M. Ferdinando IV, ma purtroppo rimase incompiuta poiché travolta dai noti sconvolgimenti politici di fine secolo.
Il giurista riunì insieme teoria, storia e consuetudini di diritto pubblico e privato, li redasse in latino ed in italiano e, seguendo il Codice Giustinianeo, lo divise in dodici libri a cui diede il titolo di Codicis Legum Neapolitanarum.
Nel Codice è esposto tutto il pensiero filosofico del De Jorio non soltanto nella materia della navigazione ma anche in altri campi strettamente legati agli interessi del regno come l’agricoltura, le manifatture, le lettere e le arti, la morale e, ovviamente, la finanza. Nel 1781 il codice era redatto e ne furono stampati a Napoli venticinque esemplari perché fosse esaminato dai componenti del Consiglio di Stato, che avrebbero dovuto promulgarlo dopo eventuali correzioni.
L’opera, divisa dall’autore in sei libri, non può definirsi un codice vero e proprio ma piuttosto una compilazione realizzata con una metodologia di redazione di natura precettiva con l’utilizzo della tecnica dell’esortazione regia diretta al compilatore (il medesimo De Jorio) e a tutti i sudditi del Regno.
Molteplici sono le fonti a cui si ispira l’autore, oltre alla Lex Rhodia e al Nomòs Rhodion Nautikòs e ai tà Basilikà bizantini, rinveniamo la Tabula de Amalpha, le disposizioni del Llibre de Consolat del Mar di Barcellona, le Leggi Anseatiche e l’Ordonnance de la marine francese del 1681. De Jorio menziona, altresì, la prassi giudiziaria e la giurisprudenza marittima del suo tempo come i Capitoli dei Conservatori dei mari di Genova del 23 agosto 1712, nonché l’Editto di Carlo di Borbone del 1759 e altri precedenti regolamenti regi.
Nella parte normativa, suddivisa in tre sezioni: le persone, le cose e le azioni del mare, sono trattate diverse normative relative ai dazi marittimi, ai diritti reali sulla nave, alla proprietà e possesso dei beni ritrovati in mare, ai contratti marittimi come la lettera di cambio, la polizza di carico, il deposito nautico, il pegno e l’ipoteca marittima, nonché quelli connessi alla gestione della nave. Per le controversie venivano prese in considerazione alcune decisioni arbitrali tratte dai pareri legali di giuristi napoletani marittimisti del XVII secolo. Infatti enorme fu l’influsso della giurisprudenza napoletana del Seicento, come è testimoniato dalle specifiche raccolte di decisiones dei suoi tribunali centrali, nonché dalle raccolte di controversiae, di resolutiones iuris, di consilia, di responsa e di allegationes discusse davanti ai supremi tribunali del regno (Consiglio Collaterale, Sacro Regio Consiglio, Reale Camera della Sommaria).
Volendo riassumerne il contenuto occorre ricordare che nel libro primo si parla delle leggi del mare: quelle antiche e moderne, della loro storia, delle decisioni dei tribunali e della dottrina marittimistica; nel secondo si tratta delle persone del mare: dal vescovo e cappellani delle navi ai marinai e pescatori; nel terzo intitolato delle cose del mare dei diritti che tutti i Maestri Portolani devono esigere dalle navi e dalle mercanzie che approdano nei porti del Regno, dei naufragi, del soccorso e salvataggio, delle licenze; il quarto tratta delle obbligazioni marittime e, dunque, dei prestiti, dei depositi, dei sequestri, dei pegni e delle ipoteche, della locazione e conduzione marittima, dei noli; nel quinto delle azioni marittime e nel sesto delle guerre e delle paci marittime.
Nel testo si rinvengono anche vere e proprie istruzioni in materia consolare dirette a disciplinare in maniera organica l’attività giurisdizionale e amministrativa della navigazione. Nel 1782 vengono regolamentate le attività da dichiarare ai consoli: a) formalità di arrivo e partenza delle navi b) tonnellaggio c) composizione equipaggi d) nome del capitano e) merce imbarcata e sbarcata f) proprietari e noleggiatori. I consoli erano altresì investiti: a) dell’assistenza ai bastimenti mercantili nazionali durante la loro sosta nel porto del distretto consolare b) vigilanza sul rispetto della clausola che concedeva otto giorni per compilare il manifesto ai fini doganali c) attività di certificazione del personale della navigazione d) ricezione delle deposizioni (che presero il nome di consolati) fatte dai capitani dei bastimenti mercantili circa un sinistro sofferto dalla nave o dalle merci caricate e quelle di eventuali testimoni.
Quello di De Jorio fu un apprezzabile tentativo di raccogliere sistematicamente la materia ma con una tecnica non adatta allo scopo prefissato e resta, comunque, una manuale ricco di cognizioni pratiche della navigazione e autorevole opera per chiunque voglia accingersi ad approfondire l’affascinante storia del diritto marittimo.
Egli realizzò anche altri saggi in materia che, per brevità , lasciamo alla curiosità del lettore, e fu insignito di cariche istituzionali prestigiose.
L’unico studioso che ne realizzò un approfondito commento fu Cesare Maria Moschetti, ex Docente di Storia del Diritto della Navigazione all’Università Parthenope di Napoli nel 1979, autore del volume - edito da Giannini, Napoli, Il codice marittimo del 1781 di Michele de Jorio per il Regno di Napoli.
Avv. Alfonso Mignone