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DICEMBRE 2020 PAG. 12 - Assarmatori, il settore aspetta una svolta dal Recovery Fund


 

 Giunti a fine anno è possibile fare un primo, seppur parziale, bilancio degli effetti della pandemia sul settore armatoriale. Dalla resilienza dimostrata dalle aziende tricolori in un panorama generalizzato di calo dei traffici alle priorità per il futuro, dall’uso virtuoso delle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund alla proposta di allargamento del Registro Internazionale. Stefano Messina, presidente di Assarmatori, traccia la mappa di questo difficile 2020 e guarda alle azioni da mettere in atto per intercettare la ripresa a partire dalla prossima annata. 


Quali sono state le conseguenze della pandemia sul bilancio complessivo del comparto armatoriale e quali le prospettive per il prossimo anno?
La crisi ha colpito duro l’intero comparto dello shipping, anche perché il trasporto marittimo è strettamente collegato all’andamento dell’economia, alla produzione industriale, alla bilancia commerciale e nel 2020, secondo le stime, il Pil dovrebbe segnare un meno 12 per cento o anche più. Se poi entriamo nel dettaglio va ricordato che come settore abbiamo subito il blocco totale delle crociere fino a Ferragosto e dopo c’è stata una ripresa ancora molto limitata e peraltro di nuovo bloccata nel periodo natalizio. Anche il traffico passeggeri nelle rotte interne è stato sospeso per mesi, ma le navi hanno continuato a viaggiare per non interrompere la catena degli approvvigionamenti, che è stata vitale per la tenuta sociale. Il trasporto delle materie prime (secche e liquide) ha sofferto del calo della produzione mondiale e delle misure restrittive che hanno interessato anche i porti in ogni parte del mondo. Si sono bruciate globalmente risorse per miliardi. Ci vorrà tempo per tornare alla normalità.


Le misure e le risorse messe a disposizione del governo sono sufficienti per il rilancio del settore e attraverso quali strumenti eventualmente se ne possono reperire altre?
Durante la prima fase della pandemia di risorse proprio non ne sono state messe in campo. Soltanto con il “decreto agosto” ci sono stati alcuni stanziamenti per ristorare una parte dei danni subiti dal settore, misure che parzialmente dovrebbero essere confermate con la legge di bilancio. La vera svolta dovrebbe arrivare con il Recovery Fund. Si parla di tre miliardi di euro per rinnovare parte della flotta e altri interventi nei porti in chiave green, una cifra importante. Il problema è che finora sono solo in una bozza ancora non ufficiale di progetti per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Quindi la prima condizione è che quelle cifre possano rimanere nel PNRR definitivo che l’Italia a breve dovrà mandare a Bruxelles. L’altra condizione importante è che quei finanziamenti rappresentino soprattutto la quota di sostegno pubblico a fondo perduto, ossia quella base che insieme ai soldi che metteranno direttamente gli armatori e gli altri che arriveranno da banche, private equity ed altre istituzioni finanziarie dovrebbe innescare l’effetto leva capace di triplicare l’ammontare messo in campo.


Assarmatori si è detta favorevole ad allargamento dello spettro di applicazione del Registro Internazionale. Quali ne sarebbe i maggiori vantaggi?
Negli ultimi venti anni il lavoro marittimo su navi che svolgono servizio lungo rotte internazionali, o rotte interne superiori alle 100 miglia, ha goduto di particolari agevolazioni – decontribuzione degli oneri sociali e defiscalizzazione Irpef – autorizzate dall’Ue per mantenere il costo del lavoro competitivo con quello molto meno oneroso dei paesi asiatici o comunque extracomunitari. I marittimi che hanno goduto di queste esenzioni sono poco meno di 25 mila, e pochi mesi fa Bruxelles ha prorogato l’autorizzazione a questo tipo di aiuti di Stato, vincolandola però all’estensione degli stessi a tutti i marittimi o addetti alle attività accessorie, tipo camerieri, baristi, intrattenitori etc., assunti anche da navi battenti le altre bandiere europee. Questa è un’occasione enorme per espandere l’occupazione marittima, o collegata, visto che il personale italiano è tra i più ricercati, ma finora il suo costo del lavoro, tagliato solo alle compagnie battenti bandiera italiana, ha limitato la domanda. Inoltre, da anni la flotta italiana non cresce più, anzi il tonnellaggio complessivo è in calo e di conseguenza l’occupazione ristagna: può riprendere a salire solo se un numero sempre più crescente di marittimi italiani potranno essere assunti da compagnie estere. 


Qual è la posizione dell’associazione rispetto alla richiesta europea di modificare il sistema fiscale della AdSP?
Un conto è adempiere a un obbligo di armonizzazione europea, che non crediamo possa discutersi, un altro è creare un ostacolo alla già difficile attività delle nostre Autorità di Sistema Portuale. Dobbiamo evitare che la cura uccida il paziente. Lo si potrà fare soltanto tenendo conto della natura di questi Enti e degli obiettivi che la legge affida loro definendo regole certe e univoche a partire dall’armonizzazione dei canoni concessori e delle condizioni per il rilascio di concessioni e autorizzazioni in ambito portuale. Ha poco senso imporre alle Autorità Portuali forme di tassazione analoghe a quelle delle società private, senza entrare nel dettaglio delle attività regolate, peraltro la probabile doppia contabilità che dovrà essere imposta alle AdSP ne aumenterà il carico di lavoro e quindi anche la burocrazia. Si rischia, insomma, una reazione a catena che si ripercuoterebbe sull’efficienza del sistema. Senza considerare che potrebbero esserci riflessi sui canoni pagati dai concessionari e quindi sui costi per gli utilizzatori dei porti italiani. E tutto questo quando gli stessi concessionari attendono ancora le riduzioni promesse dal Governo per fronteggiare l’emergenza Covid.

Giovanni Grande

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