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OTTOBRE 2020 PAG.64 - LIBRI


 

Il mondo dopo la fine del mondo

 Autori Vari, Laterza.
«Nel giro di poche settimane, all’inizio dell’anno, le nostre certezze sono andate in frantumi: di fronte a un virus potente e sconosciuto, tutti i più avanzati strumenti di controllo, dalla genetica all’informatica, si sono dimostrati inadeguati e siamo stati costretti, volenti o nolenti, a tornare ad adottare come essenziale una misura inventata molti secoli fa, la quarantena. Mentre epidemiologi, virologi e genetisti si sono trovati a dichiarare la propria parziale impotenza e a chiedere tempo, sono tornati improvvisamente attuali racconti e riflessioni che guardavamo con il sussiego che si riserva ai ruderi del passato (…) Nel “prima”, la democrazia appariva il destino dell’umanità, il sistema politico che aveva sconfitto prima il totalitarismo nazista e poi soverchiato in ogni aspetto il socialismo reale. Nel nostro “dopo” tutto questo non appare più così scontato. Da un lato un governo autoritario come quello cinese ha dato prova di una capacità di reazione inimmaginabile, contenendo il contagio e riprendendo l’attività economica e la vita sociale, tanto da poter uscire da questa crisi come un vero e proprio modello vincente e che rischia di esercitare un notevole influsso anche sul mondo “libero”. Dall’altro gli strumenti messi in atto per contenere l’epidemia, dalla restrizione delle libertà individuali fino alle pervasive forme di controllo tecnologico, rischiano di minare dall’interno i nostri diritti di cittadinanza. E anche qui molte sono le domande da porci: storicamente le democrazie si sono sempre dimostrate più resilienti rispetto ai governi autoritari o alle dittature, capaci di affrontare i costi umani della crisi ed elastiche nell’elaborazione delle risposte. Oggi queste caratteristiche sembrano appannate, le reazioni incerte e confuse, la gestione delle diverse esigenze e dei diversi interessi poco trasparente. Come mai? Esiste una crisi della rappresentanza che mina la selezione delle classi dirigenti politiche attraverso le elezioni? Saltata la mediazione dei partiti, la comunicazione diretta tra leader e popolo impedisce un confronto reale? La logica dell’emergenza diventa l’unica via attraverso cui la politica riesce ad imporre decisioni e scelte? E anche se fosse così, come è stato possibile che non ce ne siamo accorti e non sia mai stato possibile introdurre dei correttivi?».

 

 

Le signore del mare.
Una storia medievale del Mediterraneo

 Sandra Origone, Ledizioni.
«I quattro medaglioni proposti in questo saggio riguardano le principali città di mare del periodo medievale, il cui successo ha suggerito di riunirle sotto il nome di “repubbliche marinare”, evocato ripetutamente nella storiografia ottocentesca e in quella del primo Novecento. Con queste premesse la loro storia è stata disegnata per molto tempo lungo una curva ascendente fatta di lotte e di eroismi che ha i suoi estremi nelle prime guerre sul mare contro gli arabi e nelle riscosse contro gli ottomani, nella battaglia di Lepanto o, addirittura, per Venezia, nella guerra di Morea, lasciando un poco indietro Amalfi e Pisa che cessarono ben prima il loro protagonismo nelle acque del Mediterraneo. Si può obiettare che la realtà marittima, per limitarci soltanto all’area italiana e a quella limitrofa, a comprendere le coste catalano-provenzali e quelle dalmate, è ben più complessa. E anche riducendosi alle quattro realtà di riferimento tradizionali, è vero che ciascuna di esse rappresenta il punto apicale di una rete di interessi, ruoli economici e competenze interconnesse che si estende in tutte le direzioni, ed è forse effettivamente giunto, il momento di riconsiderare l’impostazione verticistica che si focalizza sul ruolo delle città protagoniste. Qui, tuttavia, ho scelto ancora il percorso consueto prendendo in esame le principali città marinare. Alla base del discorso ci sono infatti due considerazioni. La prima è che queste città, per quanto lanciate verso la conquista degli spazi marittimi, erano inserite in quadri istituzionali riconducibili ai poteri superiori che le dominavano sul territorio e che la loro storia va letta coerentemente con lo sviluppo urbano dell’età medievale. La seconda considerazione che mi ha indotto a questa scelta è implicita nella finalità ultima del lavoro, ovvero il confronto. Il caso di comparazione più evidente è quello tra Genova e Venezia, su cui gli studiosi sono tornati ripetutamente giustapponendo talvolta i due modelli oppure cercando una formula sintetica in cui si rispecchiassero le difformità tra le due realtà...».

 

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