AGOSTO 2020 PAG. 30 - Il dialogo energetico Sud-Nord all’interno del Mediterraneo
Lo stravolgimento delle supply chain avvenuto a causa della pandemia da Covid-19 non ha risparmiato il settore energetico. Come prima conseguenza del rallentamento dell’economia mondiale la domanda di energia è diminuita del 3,8% nel primo trimestre dell’anno; per il 2020 si prevede una contrazione del 6% con un impatto calcolato in sette volte maggiore rispetto alla crisi finanziaria del 2008-2009. Con una netta flessione nel primo trimestre nella domanda di carbone (-8%) e petrolio (-5%) si registra una sostanziale tenuta del gas (-2%) e un’espansione delle energie rinnovabili (+1,5%), trainata dalla maggiore capacità installata e dalla priorità di dispacciamento.
Parte dalle conseguenze della crisi sanitaria il secondo Med & Italian Energy Report, lavoro di ricerca annuale frutto della collaborazione tra SRM e ESL@Energy Center del Politecnico di Torino. Il rapporto, confermando l’obiettivo di seguire e analizzare l’evoluzione del sistema energetico nell’area mediterranea, oltre l’analisi dinamica dei potenziali scenari energetici in epoca post-pandemica, contiene un focus sulle rinnovabili come chiave per favorire la transizione energetica e la cooperazione nel Mediterraneo, esaminando l’applicazione di soluzioni innovative per la costruzione di sistemi energetici flessibili e l’emergere di sinergie relative ad elettricità verde, gas e idrogeno.
“Il Rapporto sviluppa il tema energetico nella logica Euro-Mediterranea nella quale l’Italia ha da sempre svolto un ruolo di ponte; finora principalmente nell’ambito delle fonti fossili, petrolio e gas, grazie ai grandi players nazionali e al rilevante interscambio energetico gestito dalla portualità nazionale - spiega Massimo Deandreis, Direttore Generale di SRM - Ma oggi siamo di fronte ad una sfida nuova. Le tecnologie che rendono più efficaci le fonti rinnovabili offrono l’opportunità di una nuova partnership tra Europa e Sud Mediterraneo basata sulla transizione energetica, in cui l’Italia ritrovi il suo ruolo strategico”.
I paesi nordafricani, conferma la ricerca, detengono una quota significativa di riserve di combustibili fossili (3,4% delle riserve provate globali di petrolio e 4% di quelle di gas nel 2018), con un flusso netto dalla sponda meridionale a quella settentrionale. “Una valutazione del potenziale da fonti energetiche alternative, basato su tre scenari, evidenzia che la capacità installata di impianti fotovoltaici e eolici nel Nord Africa può raggiungere i 620 GW entro il 2040. Questa capacità, tuttavia, richiede un uso del suolo limitato: meno dello 0,2% della superficie dell’Algeria potrebbe consentire di installare fino a 180 GW. Anche ipotizzando un tasso di elettrificazione pari al 50% nei paesi nordafricani, è possibile coprire l’intero carico di tali paesi, con un surplus annuale di 423 TWh disponibile per l’esportazione verso l’Europa”.
In che modo sfruttare questa enorme potenzialità? In un contesto in cui “sono in funzione solo 10 interconnettori, con una capacità di 5 GW”, la risposta sta negli investimenti in nuove infrastrutture. Non a caso, nei prossimi decenni, ci si aspetta che saranno costruite nuove interconnessioni (3 sono in costruzione, 9 in fase di concessione, 1 pianificata e 7 in fase di discussione), con una capacità addizionale di 20,8 GW e un investimento stimato di circa 21 miliardi di euro.
“Il dialogo energetico all’interno del Mediterraneo è storicamente segnato dallo scambio di combustibili fossili lungo l’asse Sud-Nord” sottolinea Ettore Bompard, Direttore Scientifico ESL@Energy Center. “La sponda sud è caratterizzata da instabilità politico-sociali che si riflettono direttamente sulla sponda nord non solo in termini energetici. Da un lato le risorse fossili contribuiscono in modo determinante alle economie dei Paesi del sud e, dall’altro, la transizione energetica è una necessità planetaria improrogabile. Ecco quindi una possibile alleanza Nord-Sud nello sviluppo di fonti rinnovabili, con modelli che contribuiscano alla crescita e alla stabilità complessiva dell’area; non un semplice cambiamento di commodity energetica ma un contributo a un “green new deal” che decarbonizzi l’economia anche nel Mediterraneo, nel suo complesso”.
Un’analisi di scenario del mercato elettrico europeo al 2040 mostra, a conferma di questo indirizzo strategico, che – assumendo la completa autosufficienza di Nord Africa in termini di consumo elettrico – la massima esportazione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili verso l’Europa raggiunge circa 90 TWh/a, un valore significativamente inferiore al surplus disponibile, soprattutto a causa della limitata capacità complessiva delle linee di interconnessione ipotizzate (12,55 GW). “Sebbene il limitato import di elettricità da FER dal Nord Africa causa una piccola variazione dei prezzi europei, i risparmi economici possono raggiungere 4,3 miliardi di euro. Inoltre, questo import dal Nord Africa ha un effetto “greening” sul sistema elettrico europeo, sostituendo la generazione da fossili in Europa con una neutra in termini di CO2. Il risparmio stimato come emissioni annue di CO2 è di circa 24 milioni di tonnellate”.
La ricerca mette inoltre in evidenza il ruolo del trasporto marittimo, che rimane un asset economico cruciale per il settore energetico con i suoi porti come gate per navi e pipelines. Alla luce della pandemia e delle sue conseguenze, queste opportunità e sfide potrebbero davvero consentire all’Italia e all’area euromediterranea di assumere un ruolo guida nello svolgimento e nel miglioramento del processo di transizione energetica già avviato.
“Il 63% del crude oil e dei prodotti derivati dal petrolio si sposta su nave. Le merci oil and gas trasportate nel mondo via mare ammontano a 3,8 miliardi di tonnellate, delle quali il crude oil con 2 miliardi di tonnellate rappresenta il 52%, i prodotti derivati, gas e chimici il restante 48% con 1,8 miliardi. Nel dettaglio di questi ultimi il 9,1% riguarda il trasporto di gas naturale liquefatto (GNL) pari a 351 milioni di tonnellate, mentre il 2,7% è relativo al gas da petrolio liquefatto (GPL)”.
Il trasporto di GNL è cresciuto, negli ultimi dieci anni, con una media del 7% annuo. Nel 2019 è stato realizzato il flusso record di investimenti in infrastrutture della filiera del GNL pari a 65 miliardi di dollari che ha consentito un aumento della capacità di oltre il 16%.
Riguardo all’Italia, le rinfuse liquide rappresentano la categoria di merce più rilevante per i suoi porti con un traffico di 180 milioni di tonnellate, pari al 37% del totale. I primi 5 porti (Trieste, Cagliari, Augusta, Milazzo e Genova) rappresentano il 69% dell’intero traffico liquido nazionale e Trieste, con 43,3 milioni di tonnellate, si conferma lo scalo italiano che movimenta i volumi più elevati. I porti del Mezzogiorno rappresentano il 44% del traffico oil nazionale (il Nord Est il 32%; il Nord Ovest il 13% e il Centro l’11%). Il 36% del traffico oil nazionale è riconducibile ai primi 3 scali del Mezzogiorno (Cagliari, Augusta e Milazzo).
Dati che confermano in parte la forte dipendenza del nostro paese dall’estero per le importazioni di combustibili fossili, cosa che lo rende vulnerabile quanto a sicurezza energetica. “C’è tutto l’interesse, quindi, a sviluppare efficienza, risparmio energetico e fonti rinnovabili”.
Per il gas, in particolare, la dipendenza del nostro Paese dalle importazioni è pari al 93% (contro una media europea di circa il 70%). Le importazioni via gasdotto (circa 59 miliardi di metri cubi) sono pari all’87% delle importazioni totali. L’apporto del GNL sul totale delle importazioni italiane di gas è stato pari a circa 8,7 miliardi di metri cubi (13% dell’import totale), con un incremento del 6,3% rispetto all’anno precedente. “La quota delle rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico) sulla produzione netta di elettricità è del 32%. La fonte idroelettrica, che oltre a confermarsi quella maggiormente utilizzata (43% della generazione totale da FER), mostra un rilevante incremento della produzione rispetto all’anno precedente (+36%), legato a una ripresa della piovosità rispetto ai minimi storici registrati nel 2017”. Per il maggiore peso dell’idroelettrico e per le bioenergie si distinguono le regioni del Nord (oltre l’80% della produzione hydro; 65% circa della produzione da bioenergie). Mentre eolico e fotovoltaico prevalgono maggiormente nella produzione delle regioni del Mezzogiorno (rispettivamente il 96,7% ed il 40,4% della produzione).