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AGOSTO 2020 PAG. 16 - Beirut, l’impatto della tragedia sull’economia italiana







Dopo circa tre settimane dal terribile incidente dello scorso 4 agosto il porto di Beirut è tornato alla normalità operativa. Già nella settimana tra l’11 e il 18 agosto sulle banchine libanesi sono stati scaricati 3.700 container per un totale di 51.000 tonnellate di merce. La devastazione dell’esplosione di 2.750 tonnellate di nitrato d’ammonio stivate in un hangar (180 morti e seimila feriti il bilancio parziale) aveva portato, nelle prime fasi, alla chiusura delle attività con il trasferimento delle navi negli scali vicini, in particolare Mersin e Tripoli, con ripercussioni non indifferenti per le economie direttamente collegate al “paese dei cedri”.

Ma quale è stato il reale impatto del disastro sull’economia italiana? A dare una prima risposta una ricerca condotta da Ircres-Cnr su elaborazioni di dati Istat che mostra come le esportazioni italiane verso il Libano sono concentrate proprio nel trasporto via mare.
Dall’analisi emerge come il settore più colpito è quello della raffinazione petrolifera, a cui seguono i tipici prodotti del “made in Italy” (macchinari, arredamento, chimica). La localizzazione delle raffinerie determina che le regioni più coinvolte siano Sardegna e Sicilia, a cui seguono le aree dei distretti industriali.

Una diretta conferma di questa dinamica arriva dalle prime dichiarazioni post-incidente del presidente di Federpetroli Italia, Michele Marsiglia. “Con il Porto di Beirut devastato, gran parte dell’export italiano derivato dalla raffinazione con destinazione Libano sarà compromesso con forti perdite. Diverse raffinerie italiane fanno partire petroliere con destinazione Beirut. Il Libano è un paese che ha sempre rappresentato un mercato proficuo per l’Oil & Gas italiano. Parliamo non solo di raffinazione ma siamo in gara per diversi asset nell’offshore a largo di Beirut. Con la chiusura del porto lo scalo di Tripoli più a nord non sarà una sostituzione ottimale per lo scarico e la logistica dei prodotti”.

Ritornando ai dati c’è da sottolineare come il dramma libanese, che concentra il 90% delle importazioni nelle attività portuali, avrà dei pesanti effetti sull’economia del “paese dei cedri” e soprattutto sull’economia dei suoi paesi partner, tra cui l’Italia non è annoverata in maniera preponderante. “Anche se gli scambi con l’Italia non sono particolarmente intensi, merita comunque esaminarne la composizione settoriale e territoriale, per individuare i settori e le regioni più colpite da questo dramma inatteso”.

A livello aggregato, nel 2019 si sono registrate quasi 1,2 miliardi di euro di esportazioni e solo 40 milioni di euro di importazioni. “L’asimmetria commerciale a nostra favore induce ad analizzare soltanto la componente in uscita dal nostro Paese. Si trova conferma del ruolo centrale esercitato dall’infrastruttura portuale di Beirut, che anche nel caso italiano assorbe quasi tutte le importazioni del paese”.

L’analisi dei settori più coinvolti nel commercio verso il Libano, come si diceva, vede una elevata concentrazione dei prodotti energetici, che dalle raffinerie italiane localizzate sulle nostre coste imbarcano il prodotto per la consegna al porto di Beirut. “Circa mezzo miliardo di export riguarda questi prodotti, a cui seguono i tipici prodotti del “made in Italy”, quali macchinari (con il 20% del totale esportato), chimica, alimentari e arredamento (con circa 7-8-% ciascuno)”.

A livello territoriale, la localizzazione delle raffinerie determina gran parte della provenienza regionale delle esportazioni italiane, con la Sardegna e la Sicilia che assorbono un quinto ciascuna dell’impatto negativo del disastro al porto libanese, a cui seguono le aree tipiche distrettuali, quali Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana che vedono nel porto di Ravenna il punto di riferimento. È da qui infatti che parte un collegamento settimanale con Beirut con una nave a rotazione delle compagnie Evergreen, Cosco e Cma Cga.

                                                                                                                           Stefania Vergani
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