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LUGLIO 2020 pag. 20 - Alis, da Sorrento una possibile strategia di rilancio del Paese









L’Italia che si muove riparte da Sorrento. È qui che Alis ha riunito fisicamente il mondo della logistica. Due giorni di confronto e proposte per indicare la via da seguire, tratteggiare una possibile strategia di rilancio del Paese. Il primo appuntamento in presenza del settore è stato caratterizzato da abitudini nuove: mantenimento delle distanze, mascherine, saluti con il gomito. Gestualità inedite e una consapevolezza più profonda: il trasporto si è scoperto popolo, leva in grado di reggere tutto il sistema, anche nei suoi momenti più drammatici. E proprio per questo ha chiesto attenzione. Nel momento in cui si formano le scelte del prossimo futuro, alla luce di problematiche – eccessiva burocrazia, inefficienza della pubblica amministrazione, gap infrastrutturali – che il lockdown ha solo parzialmente congelato. Temi ampiamente dibattuti e riproposti, ma non più (e questa volta sul serio) eludibili. Sullo sfondo il dibattito per l’accesso alle risorse del recovery fund europeo, la prospettiva di un drammatico calo del Pil, le prime avvisaglie di un “autunno caldo”. La sensazione di una controparte istituzionale che non ha capito pienamente la posta in gioco. E l’aggravante del fattore tempo che rischia di accelerare la crisi italiana. Il messaggio arrivato da Sorrento è forte e chiaro. Bisogna confrontarsi, venirsi incontro, escogitare una revisione strategici degli obiettivi. Ma bisogna farlo presto. E con la logistica al centro.

Guido Grimaldi (Presidente, Alis). «Mentre il popolo italiano rimaneva a casa nel rispetto delle restrizioni imposte dal Governo, il popolo del trasporto invece ha garantito la continuità dei propri servizi marittimi, ferroviari e stradali, permettendo così la consegna dei beni di prima necessità, dal settore alimentare al settore farmaceutico, e la stabilità dei cicli produttivi, a garanzia della sopravvivenza delle famiglie, delle città, del Paese intero. In questi mesi più che mai abbiamo messo a sistema le nostre capacità». Quadro confermato da un recente studio realizzato da ALIS in collaborazione con SRM, SVIMEZ e l’Università Parthenope secondo cui il 70% delle aziende ha subito un calo del fatturato inferiore al 30% e soltanto il 6,4% ha registrato un calo di oltre il 50%. Ciò significa che le aziende Alis sono riuscite a garantire i livelli occupazionali registrando anzi un aumento della produttività del 14,4% grazie all’uso e alla sperimentazione di nuove tecnologie e organizzazioni del lavoro. Ma di fronte alla frenata del Pil a livello mondiale e nazionale tutto ciò rischia di non bastare. Il settore ha bisogno di interventi. Tra questi, già annunciati nei tavoli di lavoro istituzionali: «credito d’imposta, decontribuzione e detassazione per le imprese che mantengono intatti i livelli occupazionali, moratoria bancaria anche per le grandi imprese, incentivi all’automotive che sono determinanti per far ripartire il suo grande indotto». «Ci auguriamo che le valutazioni ora in corso da parte del Governo in merito al nuovo modello di continuità territoriale, portino verso la scelta di adottare il modello spagnolo, con sostegni direttamente ai cittadini e alle aziende dei trasporti e non a beneficio di una sola compagnia marittima determinando una palese concorrenza sleale». Necessario, soprattutto, una maggiore attenzione sulle attività marittime («e questo potrebbe avvenire ad esempio attraverso la nascita – come avvenuto lo scorso 6 luglio in Francia – di un Ministero del Mare») e scelte più razionali a livello normativo. «L’emendamento come quello sull’autoproduzione che rischia, di ledere la competitività del settore marittimo, rappresentando un ostacolo all’istituto dell’autoproduzione, in particolare per le navi impegnate nelle Autostrade del Mare sottolinea l’urgenza di una maggiore attenzione verso il settore marittimo. Si corre quindi il rischio di tornare indietro di trent’anni, con pesanti ripercussioni sull’occupazione e un significativo aumento dei costi per gli armatori, dal momento che si ritroverebbero a non poter più disporre del proprio personale di bordo e, di conseguenza, tale condizione potrebbe determinare degli abusi di posizione dominante che potrebbe inevitabilmente far perdere traffici e volumi agli armatori e a tutta la portualità Italiana».

Gaetano Manfredi, (Ministro dell’Università e della Ricerca). «L’Italia ha bisogno di grandi interventi di velocizzazione e semplificazione decisionale. Credo ci siano troppe regole e spesso anche troppi controlli preventivi, il che allunga la filiera decisionale». L’esempio arriva dall’attribuzione delle risorse: «ci sono passaggi di controllo – dal ministero alla Corte dei conti – che durano mesi». «Il settore della ricerca è spesso assimilato a regole della pubblica amministrazione incompatibili con scenari che cambiano velocissimamente, stiamo lavorando per avere una ricerca diversamente pubblica, cioè fare controlli e garantire trasparenza ma accelerare i tempi e semplificare norme e già nel decreto semplificazione qualcosa di nuovo c’è». Dal tema del diritto allo studio ai finanziamenti per la ricerca (sempre troppo pochi, pur con qualche cambio di direzione) il mondo della formazione deve imparare anche a dialogare meglio con il sistema produttivo. «Credo che il settore del trasporto e della logistica sia uno dei settori chiave del paese. Anche uno dei settori su cui l’innovazione impatta di più. I non addetti ai lavori pensano al satellite nello spazio, ma l’innovazione diffusa è quella che cambia davvero la società, avere una grande spinta sulla transizione green, sulla propulsione pulita è un tema fondamentale. L’importanza del mondo dei trasporti è emersa nel corso della pandemia: per esempio abbiamo avuto grandi problemi a far rientrare in Italia i nostri studenti dell’Erasmus che si sono trovati bloccati in Europa e nel mondo; per fare tornare 14mila studenti dalla Spagna il contributo del trasporto marittimo è stato straordinario».

Carlo Cottarelli (ex Commissario alla Spending Review). Le riforme devono seguire tre linee guida: rilancio degli investimenti pubblici; efficientamento della pubblica amministrazione e semplificazione burocratica; velocizzazione della giustizia penale e civile. «L’Italia è stata colpita dalla crisi sanitaria, dalla crisi del Pil e da una crisi finanziaria arginata dall’intervento dei massicci fondi europei della Bce. Il Fondo monetario prevede per il Pil italiano una caduta dell’11 per cento. La domanda di consumi cade in tutto il mondo, ci sono meno soldi nelle tasche e chi li ha ne spende meno. Siamo tutti preoccupati per il futuro, non si sa se ci sarà una seconda ondata o no. L’incertezza è forse la cosa che più frena l’attività economica». Dopo i due decreti economici “difensivi”, considerando anche l’impennata del deficit pubblico, è necessario mettere in campo misure propulsive e non sarà facile. «L’Unione Europea ci darà i soldi del Recovery Fund se faremo determinate cose. Dovremo presentare programmi di spesa ed è una condizionalità importante, ma anche dimostrare che riusciamo a spenderli, quei soldi. E c’è un’altra condizionalità più nascosta, è nell’art.13 della bozza del Recovery Fund, dice che i Paese beneficiari dovranno mantenere una good economic governance, che vuol dire non violare le regole dei conti pubblici europei, oggi sospese ma prima o poi destinate ad essere reintrodotte. Se violassimo quelle regole i fondi potrebbero essere sospesi». Interesse del paese è «realizzare questi programmi evitando tensioni con Ue. I fondi della Bce e dell’Unione europea ci danno tempo per fare le riforme necessarie a riportare l’Italia a una crescita che dovrà essere ben più alta di quella del 2019».

Vincenzo De Luca (Presidente, Regione Campania). «Abbiamo un piano per le infrastrutture da 6 miliardi di euro: 3,5 per le ferrovie, il resto per viabilità stradale e portualità. Abbiamo risorse importanti per i porti di Napoli e di Salerno, 60 ciascuno, abbiamo progetti per cantieri già appaltati, per collegare la A30 con l’interporto di Nola, per creare collegamenti tra le aree retroportuali e i porti». Ciononostante non mancano le contraddizioni: «nella portualità la sburocratizzazione è un’esigenza fondamentale». In un Paese dove per fare i dragaggi è necessario il parere del ministero dell’Ambiente non è possibile attendere tempi biblici. «Al porto di Salerno la risposta è arrivata dopo 2 anni: potete fare il dragaggio, ma la sabbia la dovete riversare a 20 miglia dalla costa per non più di uno spessore da 5 centimetri. I porti di Singapore e di Shangai fanno quanto fa tutta l’Europa e noi siamo appesi al parere del ministero dell’Ambiente per 5 cm di sabbia».

Ennio Cascetta (Amministratore unico, RAM). In Italia va raccolta la grande lezione infrastrutturale degli anni passati. Negli anni Sessanta, dopo la costruzione dell’Autostrada l’Autostrada del Sole (in soli sette anni), nei successivi dieci, dal ’64 al ’74, si costruirono altri 4500 chilometri connettendo tutto il Paese. La TAV, al di là di qualsiasi sindrome nimby, potrebbe svolgere la stessa funzione positiva per il rilancio del Paese. «La proposta che ho avanzato e che sostengo è che lo Stato anticipi i fondi per garantire collegamenti di alta qualità nelle aree dove il mercato non riesce.  Com’è stato fatto con le autostrade del mare e il Ferrobonus, lo Stato dovrebbe aiutare le zone svantaggiate ad ottenere servizi di alta qualità, tarati magari anche su standard più bassi delle altre zone ma almeno nettamente migliori di oggi, iniziando così, ad avvicinare l’Italia no-Tav alla qualità desiderata».
Francesca Moraci (CdA Ferrovie dello Stato Italiane). «Nel 2019 c’è stato un investimento di 13 miliardi fra trasporto e infrastrutture ferroviarie, il 60% in più rispetto agli anni precedenti, con un potenziale incremento di addetti di 100mila unità incluso l’indotto, e una crescita del Pil stimata in una forchetta tra lo 0.7 e lo 0.9%. Già nel 2018/19 c’è stato un incremento molto interessante, con l’attuale gestione del gruppo Ferrovie si è registrato un incremento di quasi due terzi. Contemporaneamente a questo piano complessivo, dopo l’arrivo del Covid il gruppo Fs ha deciso di rilanciare con ulteriori 20 miliardi di investimenti; 14 grosso modo per le infrastrutture ferroviarie, quindi Rfi, e 6 per l’Anas». Si alla proposta di Cascetta, anche se «l’anticipazione da lui auspicata dell’alta velocità sulle tratte in cui non è ancora disponibile Trenitalia l’ha già giocata». «Da giugno abbiamo attivato una serie di Frecce Argento con due obiettivi fondamentali, la garanzia della qualità del servizio; diamo ai passeggeri il business kit, le opzioni da Frecciarossa, e questo dà una dimensione e una maggiore fiducia per Reinventing Sud, il piano su cui ci stiamo focalizzando, anche per rispondere al crollo del turismo. Un’altra questione importante è quella degli investimenti in innovazione, in infrastrutture con parametri green che possano essere agganciati. In questa direzione va anche la diminuzione del Co2 del 3%, così come gli investimenti in innovazione e digitalizzazione».

Mario Mattioli (Presidente, Confitarma). «Nell’ultimo decreto semplificazione è passato un ordine del giorno che impegnava il Governo ad autorizzare la riapertura dell’attività cocieristica. Stiamo scrivendogli proprio in queste ore una lettera per chiedergli di dar seguito a questa scelta». Apprezzamento per l’operato della ministra Paola De Micheli per la possibilità per le imprese del trasporto pubblico locale e del bunkeraggio di avere un ristoro per il conto economico fino al 31 dicembre tramite fiscalizzazione di oneri sociali. «Alla fine siamo riusciti ad assicurare come cluster l’espletamento dei servizi logistici indispensabili, ma eravamo stati poco ascoltati, fino a queste ultime positive novità. Resta aperto il grave problema del personale di bordo, in molti casi bloccato sulle navi da dodici mesi, quando di regola i turni più lunghi sono di sei mesi, solo eccezionalmente di otto. A livello mondiale siamo impossibilitati ad effettuare cambi di equipaggio mentre il personale virtualmente pronto a imbarcarsi non può e quindi non guadagna. Anche su questo tema avremmo gradito un maggior impegno governativo».

Ugo Salerno (AD, RINA). La pandemia come occasione di sperimentazione di nuovi standard operativi. «Questa esperienza ci ha fatto accelerare processi che erano già in embrione. In particolare, lo smartworking, che è completamente diverso dal telelavoro, valutazione non legata all’orario, al tempo di lavoro, ma agli obiettivi raggiunti. Credo sia uno schema che deve restare, se pensiamo all’impatto di Industria 4.0: renderà ridondanti una parte dei lavori». Novità a tutti i livelli: «lavoriamo anche a uno schema di organizzazione del lavoro biosafety trust, legato a uno schema di spostamenti e comportamenti che consentano di minimizzare l’espansione del virus; nel mondo dello shipping, abbiamo iniziato a lavorare da remoto nell’ispezione delle navi, siamo l’unica azienda al mondo a farlo; abbiamo lavorato con un protocollo di informazione che consentisse di guidare anche dal punto di vista fisico le ispezioni dall’ufficio, zoomando per effettuare una visita accurata della nave». Da questo impegno anche un piccolo primato. «Siamo l’unica società accreditata della bandiera liberiana per eseguire per loro conto l’ispezione da remoto; questo cambia completamente il modello di business, lavoriamo tanto in impianti industriali, siderurgici, utilizzando strumenti come i droni».

Franco Fenoglio (Presidente, Unrae). Considerati tra gli eroi dell’emergenza gli autotrasportatori rischiano di entrare presto nel dimenticatoio a causa della scarsa attenzione da parte del Governo. «Come trasporto rappresentiamo l’86% del settore merci italiane: l’Europa è al 73% mentre la Germania è la più virtuosa, è l’unica che ha investito in logistica e per le imprese. È un settore strategico, il trasporto incide su tutte le aziende manifatturiere, anche all’estero soffre la nostra competitività. Nessuno ha mai preso atto della situazione». A pesare il costo del carburante più alto d’Europa, le carenze infrastrutturali, l’elevato costo del lavoro. «Manca una strategia nazionale del trasporto. Noi costruttori stiamo cercando di ridurre il numero di veicoli sulle strade, il 70% dei camion viaggiano vuoti, trasportiamo aria. I veicoli industriali dal 2010 sono tutti connessi grazie ai nuovi strumenti; ma solo il 18% oggi ne dispone. Non riusciamo a interconnettere le strade ma ancora prima dobbiamo interconnettere i veicoli». Esiste anche un problema di rappresentatività. «Abbiamo 13 associazioni di categoria dell’autotrasporto in Italia, in Germania è una sola. È colpa anche nostra, i piccoli vogliono una cosa, i medi un’altra, i grandi un’altra ancora: ci vuole una voce unica».

Paola De Micheli (Ministro, Infrastrutture e Trasporti). L’accordo per Aspi, arrivato dopo tante polemiche e retroscena, ha monopolizzato l’intervento del ministro. «Credo che l’importante è averla risolta per il bene di tutti quelli che hanno a che fare con la vicenda, cioè gli italiani, che sono padroni della rete autostradale: è una soluzione che fa bene a loro, una soluzione positiva per chi usa la rete come gli associati Alis che tutti i giorni devono andare sulle autostrade, che possono correre rischi se non c’è una programmazione dei costi idonea. Abbiamo posto le condizioni in questi mesi per riportare l’equilibrio necessario nel rapporto fra Stato e privato, che per me non è una parola negativa: questa operazione non demonizza il ruolo delle aziende private, mette il Mit nelle condizioni di dare qualche imposizione ai concessionari privati. Riporta equilibrio con Aspi che ha 3mila km di autostrade. Dà coerenza alla continuità della gestione della sicurezza». A proposito di sicurezza. «Non ho chiesto al Consiglio superiore dei Lavori pubblici di fare le linee guida per la sicurezza per caso. Mi si dice che ora lo Stato in Autostrade sarà vigilante e vigilato ma ci sarà un 22% di soci vari, la Cassa Depositi e Prestiti è fuori dal perimetro gestionale del Mef, ci sarà una quota di flottante, ci sono tutte condizioni per dire che vigilante e vigilato non si sovrappongono. Ormai ho molto chiaro cosa vuol dire fare il vigilante sulle concessioni stradali, portuali e aeroportuali. Se avevo dei dubbi, quest’esperienza me li ha chiariti». In merito al dossier Alitalia si è trattato di anche di una «questione di interesse geopolitico». «L’investimento di tre miliardi e l’ingaggio di un bravissimo manager servono per approfittare di questa finestra temporale che c’è oggi. Avremo una compagnia che sceglie gli asset dall’amministrazione straordinaria, quelli utili al rilancio, ottimizzando la flotta, aggredendo alcune rotte internazionali ed europee in qualche modo sottovalutate in passato. Fra qualche anno, quando il mercato sarà ripartito, l’azienda sarà interessante per essere privatizzata, interesserà a molti soggetti». Infine, sul tema del piano Italia Veloce: «I 7,5 miliardi di cantieri vanno avanti sotto l’egida della nuova Autostrade. Sulle altre opere di Italia Veloce, ci sono anche i tempi. Ci sono accelerazioni per le stazioni appaltanti. Ci sono commissari dove necessari». Per i porti ci sono 800 milioni che si possono investire «grazie all’incrocio tra la copertura finanziaria e l’accelerazione di stazioni appaltanti». «Il mio ministero gli strumenti di accelerazione li ha attivati tutti, prima del Mit ci sono altri ministeri come Ambiente e a volte Cultura. In generale, il 50% delle opere sbloccate, però, era stato bloccato dalla politica».

Andrea Camanzi (Presidente, ART). «Sono parecchi anni che l’autorità lavora per ridefinire i pedaggi. Il nostro ragionamento è rendere il pedaggio che i camionisti e gli automobilisti pagano correlato ai costi, quelli necessari per avere servizi efficienti, non costi gonfiati, con una redditività sul capitale netto investito, e abbiamo una remunerazione sul sistema che sia oggettiva. Quando abbiamo adottato questi criteri dal 2014 per la prima volta mi aspettavo un applauso; invece ci siamo presi i ricorsi dei concessionari e anche qualche insulto. Viviamo in una situazione in cui gli interessi sono sbilanciati a favore di chi la concessione l’ha avuta in determinati periodi storici e ha raggiunto un accordo precedente a queste regole. Siamo operativi dal 2014, ma la legge è del 1995: ci sarà un motivo per cui siamo nati così tardi?». 

Salvatore Margiotta (Sottosegretario, MIT). La sfida per il rilancio del Paese «non è tornare alla situazione pre-covid, che non era felice. Dobbiamo lavorare tutti insieme per salire ben al di sopra della soglia dalla quale siamo caduti». «Al Mit abbiamo lavorato molto per dare una visione, un indirizzo, una via di marcia al settore. E abbiamo messo a punto dei documenti importanti: lo è, l’allegato infrastrutture al Def e lo sarà il piano nazionale delle riforme, cui stiamo lavorando alacremente e che sarà pronto a settembre e contiene una visione, da cui si può dissentire ma c’è». In attesa di un profondo dibattito che indichi la direzione di marcia il quadro di riferimento sono i 130 miliardi di investimenti in dieci anni di Italia Veloce. «Quelli pronti in cassa sono 97, cui vanno aggiunti altri 63 a fondo perduto e altri da trovare per un totale di quasi 200. Zoomando sui porti, per quanto previsto manca un solo miliardo, che potrebbe venire dal Recovery Fund. Quindi anche qui l’importante è avere progetti e un consenso complessivo del mondo che ruota attorno ai porti. Su questo fronte prevediamo interventi sulla manutenzione del patrimonio pubblico demaniale; la digitalizzazione; l’ultimo miglio, sia ferroviario che stradale; l’accessibilità; l’efficienza energetica, la sistemazione dei waterfront; le attività industriali nei porti e l’aumento selettivo della capacità portuale».

Mauro Coletta (DG vigilanza autorità portuali MIT). «La portualità va vista a 360 gradi, va vista a tutto tondo. La parte marittima della navigazione non ha registrato una grande contribuzione, il settore non è così attenzionato dal Paese. In questo periodo è uscita l’attività di quello che ha fatto il mondo marittimo e dell’autotrasporto. Non bisogna buttare via niente, è stato fatto uno sforzo comune. Le realtà portuali non stanno male in termini di finanziamenti, ma non riescono a spendere, mentre la parte armatoriale procede in maniera spedita, produce navi. Arriviamo con molto ritardo, la parte portuale rallenta in maniera fortissima». Va disinnescata la palude burocratica. «Ci vogliono 48 mesi per ottenere autorizzazioni anche per piccole opere. I burocrati ci saranno sempre, ci vuole la giusta mentalità, si deve portare modernità, lavorare insieme, far forza comune. I problemi sono questi, e ripeto: il rischio che quel che si è fatto in 4 mesi si perda, non ce lo possiamo permettere».
Pino Musolino (Presidente, AdSP Mar Adriatico Settentrionale). «Siamo un paese con enormi potenzialità; sono gli italiani che fanno i porti in giro per il mondo. Non credo ci sia la burocrazia cinica e bara, fa parte essa stessa del Paese, ma per troppo tempo c’è stato un mismatch tra i tempi delle aziende e la burocrazia. Un dato significativo: da qui al 2100 l’80% dell’umanità non sarà lontana più di 200 km da un’area portuale. I porti sono elementi fondamentali, abbiamo progetti fatti per tre quarti eppure ci sbattiamo contro, non riusciamo a completarli. Sono tre anni che parlo di fanghi, ho 27 milioni fermi a bilancio perché non ho la possibilità di trovare un accordo per un sito di conferimento, nel frattempo il porto perde il fondale, non so dove mettere i fanghi, non riusciamo a muoverli; all’estero riescono a attuare l’economia circolare, il sedimento disidratato viene utilizzato per costruire». Da qui situazioni paradossali: «un importante porto europeo sta costruendo un’isola artificiale e cercano i fanghi; mi hanno detto: ti pago gli escavi se mi lasci i fanghi. La finanza mi arresterebbe. Il nostro linguaggio è quello che si parla anche all’estero?». I tempi, questo il messaggio, sono importanti come le opere. «Fare una banchina meravigliosa dopo 5 anni che l’han fatta gli altri non serve, anche se tutti i colleghi si sono dati tantissimo da fare per fare quello che si poteva fare. Non è cattiva scienza. Una delle proposte è quella di eliminare tutti i passaggi quando le opere hanno una rilevanza locale. Che senso ha impegnare un ente nazionale se l’opera ha una ricaduta esclusivamente locale?».

Pietro Spirito (Presidente, AdSP Mar Tirreno Centrale). La trasformazione degli enti portuali in Spa come soluzione ai problemi che attanagliano il settore. «Abbiamo fatto dragaggi costosissimi con procedure che con l’Ue non c’entrano nulla. Il tema dei dragaggi è per noi vita, fanno la vita o la morte dei porti. Su alcune opere devono esserci procedure accelerate. Se i porti europei sono società per azioni qualche ragione ci sarà, bisogna che ci mettiamo d’accordo sulla logica delle parole; i manager non servono se siamo un ente pubblico; se siamo una Spa invece servono i manager. Siamo dentro a un dedalo in cui non si decide nulla». Esempio da tenere in considerazione le ferrovie italiane: «quando sono diventate Spa sono riuscite a fare le opere più velocemente, ad avere bilanci migliori, e se il manager non funziona lo cacci». «Siamo in una regola di tipo pubblicistico, ma questo ci ammazza nella concorrenza con i porti europei».

Ugo Patroni Griffi (Presidente, AdSP Mar Adriatico Meridionale). Puntare senza esitazioni sulle Zes e le zone franche. «Gli imprenditori ci chiedono certezza nelle procedure e nei tempi, che i piani economico finanziari tengano, non siano sconvolti dai tempi della burocrazia. Una delle cose da inserire in una legge autonoma è che con la Zes si dia la certezza di avere un interlocutore: c’è il governo e la regione, c’è lo stato e il livello dell’ente territoriale». Un altro elemento attrattore delle Zes sono le zone franche: «una calamita per i traffici». «Abbiamo esempi in Sardegna, ma anche in Puglia c’è già l’accordo tra l’Agenzia delle Dogane e l’autorità di sistema portuale. La possibilità di delimitare la zona franca senza il concorso di altri enti con l’agenzia delle Dogane: questo funzionerebbe».

Matteo Gasparato (Presidente, UIR). A dispetto delle difficoltà gli interporti italiani non possono essere considerati un esperimento non riuscito. «Ãˆ appena uscita la classifica degli interporti europea, nei primi 20 ce ne sono sei italiani, tra cui quello di Verona che dirigo». Esperimento non riuscito no, da completare sì. «Non funzionano tutti alla stessa maniera, ma credo che ci troviamo a confrontarci tutti con un sistema europeo concorrenziale che non ha nessuno dei problemi di burocrazia che abbiamo noi. Per sbloccare la piattaforma logistica digitale nazionale, ho lanciato una proposta un mese fa: mettiamo attorno a un tavolo tutti i soggetti: porti, interporti, spedizionieri, armatori, autotrasportatori, terminalisti».

Marcello Di Caterina (Direttore Generale, ALIS). «Alis ha fatto un lavoro di continuo dialogo con il governo per rappresentare le esigenze di tutto il popolo del trasporto. Abbiamo fatto una serie di proposte su misure che speriamo di poter ancora ottenere ma ci aspettavamo che il governo ci venisse incontro. Alcune norme poi danneggiano il settore, come l’emendamento sull’autoproduzione che vieta agli armatori la possibilità di gestire le navi con il personale che già lavora a bordo delle navi». Piena sintonia con Confitarma sul problema occupazionale e la stortura del mercato rappresentato dalla convenzione sulla continuità territoriale che instaura un regime da “due pesi e due misure”. «Mentre da una parte si fa una battaglia per revocare una concessione autostradale con consigli dei ministri ad hoc per cercare di revocare i Benetton, dall’altra sul settore marittimo per inadempienze altrettanto gravi, una convenzione che scadeva il 18 luglio e prevedeva il versamento di 72 milioni euro da parte di questo armatore, invece spunta la norma 205 con un anno di proroga per chi è inadempiente nei confronti dello Stato, non ha pagato 200 milioni. Quei soldi potevano essere dati al mondo dei trasporti, si poteva inoltre ridare risorse al popolo sardo o siciliano per permettergli di scegliere un modello diverso, in Spagna non funziona come da noi, c’è un modello molto libero che permette di scegliere l’operatore che si preferisce. Ci vogliono soluzioni per non arricchire un singolo armatore ma per dare risorse ai cittadini».
                                                                                                                                       Red.Mar.
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