LUGLIO 2020 pag. 14 - L’Italia e la guerra economica nel Mediterraneo, aspetti futuri
Il filosofo politico tedesco Carl Schmitt nel saggio La Terra e il Mare sostenne che “la storia mondiale è la storia della lotta tra potenze marittime e quelle terrestri”. Pur condividendo l’assunto bisogna osservare che tale assioma ha avuto valore sino al ventesimo secolo. Sembra del tutto evidente che nel ventunesimo le potenze e le nazioni chiamate a svolgere ruoli da protagonista nella politica mondiale sono quelle che si sono dotate, o si stanno dotando, d’importanti apparati navali. In questa direzione vanno i complessi e ampli programmi navali di Giappone, Turchia, Egitto, Emirati Arabi, Germania per non parlare di quelli di Russia e Cina. In pratica, il confronto moderno tra le potenze dominanti e quelle emergenti si effettua per i mari e gli oceani decretando definitivamente il dominio delle potenze talassocratiche su quelle tellurocratiche. Da ciò si comprende la corsa ad ampliare le flotte militari per garantire e proteggere il commercio marittimo, vera spina dorsale del sistema consumistico-capitalista.
Da sempre le flotte non assolvono solo il ruolo della difesa territoriale, ma esse sono vere e proprie sistemi di penetrazione commerciale. In fondo la storia del mondo ci ha ben insegnato che “il commercio segue sempre la bandiera” ed è bene ricordare, come sosteneva Carl von Clausewitz, che una nave in porto straniero è un emporio tecnologico della nazione che l’ha prodotta. In pratica il sistema capitalistico si sviluppa da e per le rotte commerciali marittime e il mercantilismo è la sua colonna vertebrale. Un sistema articolato e complesso di sistemi integrati che si integrano a loro volta in altri apparati complessi nel quale l’elemento mare è sia tesi che antitesi ed in fine sintesi. Un insieme composito che vive in pieno la sua complessità poiché l’elemento mare è l’unico elemento quadrimensionale.
Se con lo sviluppo dei motori endotermici all’inizio del secolo scorso la dimensione marittima da monodimensionale divenne tridimensionale (di superficie, aerea e subacquea) ora con lo sviluppo della tecnologia s’è aggiunto anche l’elemento spaziale (la geopolitica dello spazio). Non a caso sono allo studio sistemi altamente sofisticati che porteranno probabilmente alla navigazione satellitare e quindi conseguentemente ad un uso sempre più residuale di un gran protagonista della navigazione: il radar. Se da un lato la propulsione è indirizzata verso lo sviluppo di motori a LNG, rendendo di fatto il gas liquido il petrolio del ventunesimo secolo, lo sviluppo tecnologico militare ha portato alla realizzazione dei primi battelli militari a tecnologia stealth (si potrebbe avere una nave nemica a poche miglia dalle coste nazionali senza che questa fosse rilevata dal radar). Altro elemento d’assoluto interesse attiene allo sviluppo dei laser che probabilmente da qui a breve sostituiranno i sistemi d’arma tradizionali.
Quando si parla di sistema economico mondiale, proprio per la sua dimensione mercantilistica, non si può non soffermarsi sulla dimensione e lo sviluppo del mare. Seguendo questo semplice assioma l’attenzione deve ricadere sullo sviluppo delle marine (ricordando che quella mercantile non può esistere senza quella militare e viceversa) e dei servizi integrati e logistici di terra e d’aria. Per cui qualsiasi processo di sviluppo sociale, tecnologico, ma soprattutto politico ed economico dovrà inevitabilmente partire da questi presupposti.
Questo lunga, ma pur necessaria introduzione, evidenzia come una qualsiasi economia nazionale debba essere perfettamente integrata nei macro sistemi mercantilistici e di trasporto internazionale. Perciò sembra assolutamente residuale ritenere possibile il rilancio economico nazionale, soprattutto post covid 19, puntando solo su riforme interne scollegate con le realtà politiche ed economiche mondiali. Un errore reso ancora più grave considerando che con la riapertura del canale di Suez il commercio internazionale e la geopolitica mondiale sono divenuti eccezionalmente più fluidi come ben dimostrato dall’attuale liquidità politica non solo del Mediterraneo.
Mar Rosso, Oceano Indiano, Pacifico Mar Baltico, rotte Artiche sono teatri di queste trasformazioni ed accelerazioni. Se i lavori di Suez hanno agito come acceleratore commerciale e geopolitico, tanto da far scattare la strategia cinese della Belt and Road Initiative, il covid 19 ha agito come tale in campo economico acuendo una crisi che aveva dato le sue avvisaglie sul finire dell’estate scorsa. Accelerazioni storiche che avrebbero sicuramente sorpreso lo stesso Jules Michelet per forza e velocità.
Ora sembra del tutto puerile ribadire l’inconsistenza e l’inefficienza del DPCM Rilancio al quale era stato affidato il compito di far ripartire l’economia nazionale. Anche se bisogna ammettere che è sorprendente l’oblio nel quale tutto il cluster marittimo sia caduto in questo decreto in una nazione come l’Italia che dipende totalmente dal trasporto via mare con la sua ricchezza d’isole e di coste e con la sua posizione geografica.
Spesso si è parlato da parte di tecnici e governanti di come l’Italia sia la piattaforma logistica naturale del Mediterraneo salvo poi non sviluppare nessun piano concreto e potenziare le sue infrastrutture nazionali che soprattutto al sud difettano in qualità e quantità. Oltre ad assistere al fiorire di Autorità di Sistema portuale al Sud, appesantendo notevolmente la struttura burocratica, al momento non si è assistito al ben che minimo piano d’indirizzo per un potenziamento infrastrutturale teso a rimanere in linea con gli standard richiesti dalla logistica internazionale. Oltre al moltiplicarsi d’uffici e al lancio di slogan, sicuramente suggestivi, non si è assistito a molto altro.
Una tendenza che preoccupa non solo gli esperti di settore, ma anche economisti e geopolitici poiché tale secolare indolenza nazionale potrebbe causare dolorosissime conseguenze in campo economico e di prestigio internazionale. Orbene anche se il suddetto decreto avesse previsto importanti misure nazionali per tutto il comparto marittimo, cosa che non è, probabilmente non sarebbe stato sufficiente a causa delle trasformazioni tecnologiche e politiche in ambito marittimo. Anche se avessimo delle ottime infrastrutture bisognerebbe poi pianificare una seria strategia per intercettare il commercio internazionale ed essere inseriti in circuiti marittimi e terrestri dove i concorrenti sono capaci d’investire ingentissime risorse economiche.
In questa direzione il nostro ministero degli Esteri dovrebbe muoversi in collaborazione con altri ministeri come quello della Difesa, quello delle Infrastrutture e Trasporti e quello delle Finanze. Acclarato che il futuro economico e politico nazionale dipende dal mare bisognerà comprendere che tra brevissimo dovremmo affrontare una moltitudine di sfide che il cluster marittimo da solo non potrà sostenere. In primis, lo sviluppo della propulsione a LNG comporterà non solo una trasformazione delle turbine, ma anche la necessità dei nostri porti, già con aree retroportuali esigue, a dotarsi di nuovi impianti di rifornimento. Proprio il maggior impiego del gas per la combustione decreterà la fine del petrolio, per cui le nazioni produttrici dell’oro nero saranno impegnate nel diversificare le proprie economie immettendo una serie impressionante di finanziamenti che avranno come oggetto preferenziale le strutture logistiche concorrenziali. In più proprio la continua scoperta di giacimenti gassiferi nel sottosuolo marino aumenterà la guerra economica e politica per la determinazione delle Zone Economiche Esclusive, come sta già accadendo nel Mediterraneo basti pensare ai recenti casi della ZEE algerina e quella turco-libica.
Proprio la centralità geografica dell’Italia la porterà a una serie infinita di scontri con quasi tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo. Per cui la dimensione meramente nazionale diviene residuale se ben analizzata in quel macro mondo del trasporto marittimo caratterizzato da una eccessiva fluidità che si ripercuote nella geopolitica mediterranea e mondiale.
Il paradosso è che i problemi che affliggevano il giovane regno d’Italia prima della Grande Guerra sono ricomparsi con forza e determinazione dopo oltre cent’anni. Infatti come allora l’Italia non potendosi espandere verso occidente a causa di Tolone e Marsiglia, la Corsica e Biserta dovette per forza di cose dirigere il proprio sguardo verso Oriente. Non è un segreto che Sidney Sonnino prima di divenire ministro degli Affari Esteri nel suo diario scrisse che per il futuro nazionale era indispensabile entrare in guerra per consolidare la posizione italiana in Adriatico. Oggi come ieri il nostro futuro è nel Mediterraneo levantino, ma per poter agire con qualche possibilità di successo è indispensabile rafforzare la nostra posizione politico, economica e commerciale in Adriatico proprio in relazione alle imminenti creazioni delle ZEE.
È facile prevedere che le acque internazionali scompariranno non solo nel mar Adriatico, ma anche in tutto il Mediterraneo per cui è bene che il governo italiano inizi a sviluppare una serie di strategie per la difesa e la tutela dei tanti interessi nazionali in quella zona. È opportuno rammentare, come fu molto lucidamente notato dal Grande Ammiraglio Paolo Thaon de Revel dopo la stipula del deludente Trattato di Rapallo del 1920, che la natura era stata generosa con la costa orientale dell’Adriatico (riferita ai porti e ai loro fondali n.d.r.) e parca con quella occidentale. Per cui l’Italia dovrà stringere stretti rapporti politici e commerciali con i tanti paesi rivieraschi dell’Adriatico che al momento risentono moltissimo degli investimenti sia russi che cinesi. Sarà perciò indispensabile fortificare la nostra posizione in tutta l’area balcanica ottenendo così anche il non residuale vantaggio d’intercettare la linea di penetrazione cinese nella zona danubio-balcanica costituita dalla rete portuale Port Said, Pireo, Trieste.
Una serie di patti bilaterali dovrebbe consentirci il consolidamento con la Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro, Albania, Grecia. In questa dinamica potremmo anche mitigare la recrudescenza del panslavismo balcanico mai sopito visto anche i tanti interessi russi in quell’area. Costoro, infatti, intenzionati ad interrompere la direttrice cinese nei Balcani, si sono affrettati a rilevare il porto di Sibenico. Consolidata la nostra posizione nell’Adriatico e nei Balcani potremmo agire con maggiore agio nel Mediterraneo levantino consolidando alleanze militari, politiche ed economiche con Israele, Egitto e Grecia, Cipro e Libano per contenere l’espansionismo turco e l’influenza francese.
Se è pur vero che già esistono alleanze che vanno in questa direzione è anche pur vero che al momento l’Italia non ha quel ruolo da pivot che potrebbe e dovrebbe avere. Una politica complessa ma indispensabile per il futuro non solo geopolitico, ma soprattutto economico della nostra nazione. Siamo in pieno conflitto economico ed è assolutamente chiaro che l’Ue non scenderà mai in campo per supportarci per cui è indispensabile prepararsi ad affrontare questa gigantesca guerra commerciale che dura ormai da anni.
Alessandro Mazzetti