MAGGIO 2020 PAG. 42 - L’armatore debitore principale del compenso di salvataggio
La Cassazione conferma la non parziarietà dell’obbligazione del versamento del compenso di salvataggio e la configurazione dell’armatore quale debitore principale.
La rilevanza della sentenza resa dalla Corte il 13 marzo 2020, n.7149, che qui si commenta, risiede nel fatto che il principio da essa enunciato supera in modo chiaro, e auspicabilmente in via definitiva, quella parte minoritaria della dottrina e di una parte della giurisprudenza di merito le quali avevano configurato il compenso di salvataggio dovuto ai soccorritori come un’obbligazione parziaria e solidale tra i debitori di detto compenso nel mentre detta obbligazione deve essere considerata nella sua unitarietà attribuendo all’armatore la figura di debitore principale con diritto di rivalsa nei confronti degli altri interessati alla spedizione.
Il caso, risolto dalla Corte con la sentenza predetta, riguardava un’operazione di salvataggio eseguita dai rimorchiatori della Rimorchiatori Siciliani S.r.l. in favore di una nave della Tirrenia di Navigazione S.p.A. in Amministrazione Straordinaria a bordo della quale si era sviluppato un incendio. A seguito dei servizi resi, la Purple Water Ltd., cessionaria dei crediti della Rimorchiatori Siciliani, reclamava il pagamento del compenso di salvataggio chiedendo di essere ammessa al passivo per un importo di Euro 2.750.000. L’istanza veniva rigettata e di qui l’opposizione allo stato passivo proposta dalla Purple Water che veniva decisa dal Tribunale di Roma che, all’esito di una consulenza tecnica, determinava l’ammontare del compenso di salvataggio per nave e carico nell’importo di 979.200,00 euro ammettendo la società soccorritrice al passivo per detto importo con il privilegio di cui all’art. 552, n.4 Cod. Nav, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Avverso la sentenza del Tribunale capitolino, la Tirrenia Navigazione proponeva ricorso per cassazione deducendo cinque motivi di impugnativa tra i quali, e per i fini che qui interessano, la violazione o falsa applicazione dell’art. 13, par. 2 della Convenzione Internazionale di Londra del 28 aprile 1989 e dell’art. 497 Cod.Nav. “per avere il Tribunale di Roma….. erroneamente ritenuto Tirrenia obbligata a rispondere per le contribuzioni dovute anche dal carico e dagli altri interessi della spedizione in relazione al compenso di salvataggio richiesto da Purple Water dovendosi, invece, affermare il principio secondo cui non vi è una norma del diritto nazionale che, in deroga alla Convenzione, stabilisca una solidarietà tra i debitori del compenso di salvataggio tale non potendosi ritenere l’art. 497 Cod.Nav. il quale stabilisce che “la spesa per le indennità e per il compenso dovuti alla nave soccorritrice in caso di assistenza e salvataggio di nave viene ripartita a carico degli interessati alla spedizione soccorsa a norma delle disposizioni sulle contribuzione alle avarie comuni, anche quando l’assistenza non sia richiesta dal comandante”.
Preliminarmente occorre rilevare che, pur avendo dichiarato inammissibile il predetto motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto, ai sensi dell’art. 363, comma 3, C.p.c. di poter ugualmente enunciare il principio di diritto in considerazione dell’importanza della questione “derivante dall’esistenza di un nutrito fronte dottrinario e di una parte della giurisprudenza di merito contrari all’orientamento di questa Corte – per vero espresso in fattispecie alle quali non era applicabile la Convenzione di Londra sull’assistenza del 1989 – circa la natura dell’obbligazione relativa al compenso ai soccorritori in caso di assistenza o salvataggio di nave”.
Passando poi al merito della decisione, la Corte innanzi tutto premette l’applicabilità al caso di specie della Convenzione Internazionale di Londra del 28 aprile 1989 sull’assistenza (cd. Salvage) ratificata dall’Italia con Legge del 12 aprile 1995, n. 129, che, a differenza di quella precedente del 1910, si applica, in linea di principio ogni qualvolta in uno Stato contraente “sia pendente, da chiunque promossa, un’azione giudiziaria o arbitrato attinente all’oggetto della Convenzione medesima che ha perciò natura di lex fori sostanziale… rispetto alla quale il codice della navigazione assume invece il ruolo di disciplina suppletiva applicabile solo in quanto compatibile con la legge internazionale uniforme perché afferente aspetti da questa non trattati o per i quali essa fa salva la diversa disciplina nazionale. Ciò, si intende, a meno che non siano formulate riserve a norma dell’art. 30”: riserve, queste, che non sono state formulate dall’Italia.
Ciò premesso, tenuto conto che la Convenzione:
(i) all’art. 13 stabilisce che il versamento del compenso deve essere effettuato da tutte le parti interessate alla nave ed agli altri beni tratti i salvo in proporzione del rispettivo valore configurando così un’obbligazione parziaria;
(ii) prevede, però, che uno Stato può tuttavia prevedere nella sua legislazione interna che il versamento del compenso venga effettuato da una delle parti interessate restando fermo che tale parte ha un diritto di regresso nei confronti delle altre parti per ciò che concerne la loro rispettiva quota consentendo così agli Stati aderenti di contemplare un obbligato principale con diritto di rivalsa nei confronti degli altri coobbligati, ovvero forme di responsabilità congiunta o solidale;
il compito della Corte era quello di decidere se “la legislazione interna - segnatamente il codice della navigazione - ponga il compenso del soccorritore a carico pro quota di tutte le parti interessate alla spedizione marittima, ovvero, (come è appunto consentito dalla Convenzione) a carico di un solo soggetto, con diritto di rivalsa nei confronti degli altri”.
Per rispondere a questo quesito, i Giudici di legittimità partono innanzi tutto da un’analisi dei precedenti giurisprudenziali della Corte stessa risalenti sia ad un periodo anteriore che posteriore alla ratificata la Convenzione del 1989 richiamando, in particolare:
a) la sentenza del 20 ottobre 1953, n. 3458, la quale aveva già “identificato nell’armatore il soggetto tenuto a corrispondere l’indennizzo ed il compenso dovuti al soccorritore della nave, salvo il suo diritto di rivalsa nei confronti del proprietario del bene di cui fosse stata evitata la perdita”;
b) la sentenza del 19 luglio 1966, n. 1948, che aveva riconosciuto una responsabilità solidale di tutti gli interessati alla spedizione nei confronti del soccorritore riconoscendo al coobbligato che avesse pagato per intero il relativo credito un diritto di surrogazione legale ex art. 1203 Cod. Civ.;
c) la sentenza del 5 agosto 1987, n.6715, che analogamente aveva riconosciuto nel solo armatore, salvo rivalsa, il soggetto passivo dell’obbligazione di pagamento del compenso al soccorritore. Questa decisione veniva ribadita nella sentenza del 9 settembre 1996, successiva alla ratifica della Convenzione da parte dell’Italia, riconoscendo nell’armatore della nave salvata l’obbligato principale e debitore per l’intero ammontare della remunerazione.
Ad avviso della Corte, l’anzidetta sua costante giurisprudenza induceva nel caso di specie ad escludere, da un lato, la natura parziaria dell’obbligazione del pagamento del compenso e, dall’atro, a riconoscere che questa conclusione “trova il suo fondamento nelle disposizioni del codice della navigazione e, in particolare, nell’art. 497 Cod. Nav. (Incidenza della spesa per le indennità e il compenso) in base al quale la spesa per le indennità e per il compenso dovuti alla nave soccorritrice in caso di assistenza o salvataggio di nave o di aeromobile viene ripartita a carico degli interessati alla spedizione soccorsa a noma delle disposizioni sulla contribuzione alle avarie comuni, anche quando l’assistenza non sia stata richiesta dal comandante della nave o dell’aeromobile in pericolo o sia stata prestata contro il suo rifiuto”. Di tutta evidenza, quindi, che la predetta norma, regola “specificatamente la sola ‘incidenza’ della ‘spesa’ per il relativo compenso dettando i criteri per la sua ‘ripartizione’ a carico di tutti gli interessati alla ‘spedizione soccorsa’ mediante rinvio alla disciplina sulla ‘contribuzione’ alle avarie comuni applicata in via estensiva anche nel caso in cui il comandante della nave non abbia richiesto l’assistenza, o addirittura questa sia stata prestata contro il suo rifiuto”.
Rileva ancora la Corte, che: (i) “lo stesso tenore letterale della norma testimonia, dunque, che essa non riguarda il momento genetico dell’obbligazione (il compenso dovuto al soccorritore) bensì la fase successiva al suo adempimento nei confronti del soggetto attivo dell’obbligazione (la spesa effettuata), occupandosi dei criteri della sua ripartizione in presenza di una pluralità di soggetti passivi, interessati dall’operazione di soccorso”; (ii) a livello genetico, la fonte dell’obbligazione (nel soccorso contrattuale il negozio giuridico; nel soccorso obbligatorio ed in quello spontaneo, rispettivamente, l’atto dovuto e il fatto giuridico) è unica così come è unico lo scopo, ossia il cd. salvamento dell’intera spedizione e che, pertanto “può dunque concludersi che, a fronte non già di una pluralità di prestazioni, bensì di una sola prestazione, l’art.479 Cod. Nav. esprime l’esigenza di ripartire questo costo unitario tra i soggetti coinvolti, chiamati per legge a sopportarne il peso secondo la ratio che presiede all’istituto della contribuzione alle avarie comuni, nel quale l’obbligazione nasce unitaria e diventa frazionata solo al momento della sua ripartizione, dopo che la spesa sia stata sostenuta”.
A rafforzare la predetta statuizione, la Corte ha ritenuto di poter aderire a quella parte della dottrina la quale ritiene che il compenso dovuto al soccorritore sia “un’avaria –spesa” assegnandosi, così, all’armatore un ruolo di debitore “in linea principale in quanto soggetto responsabile delle obbligazioni concernenti la spedizione, con slittamento della ripartizione di quel costo tra tutti gli interessati, in via contributiva, alla fase successiva al pagamento del soccorritore; ciò senza tuttavia disconoscere la qualifica di debitori agli altri interessati nei cui confronti l’armatore è autorizzato ad esercitare il diritto di rivalsa pro quota applicando il paradigma legale della contribuzione alle avarie comuni”. D’altro canto, osserva sempre la Corte, “la riconduzione del ‘costo’ del salvataggio nel genus delle avarie comuni - segnatamente nella species ‘avaria-spesa’ appare un’operazione anche concettualmente corretta poiché nella nozione di avarie comuni ex art. 469 Cod. Nav….. rientrano non solo i danni, ma anche le spese prodotte dalle misure adottate per la salvezza della spedizione”. Orbene, ed atteso che detta avaria spesa fa sorgere un’obbligazione nei confronti di un terzo estraneo alla spedizione (il soccorritore), occorre individuare la fonte normativa in virtù della quale la spesa graverebbe in prima battuta sull’armatore per poi far parte della massa creditoria in previsione della ripartizione contributiva che troverà la sua collocazione nel regolamento contributivo. Al riguardo, la Corte, e sempre al fine di individuare l’anzidetta fonte normativa, richiama la sua decisione n. 8167/1996 con la quale ritiene che le ragioni che inducono a riconoscere la veste di debitore principale dell’armatore si basano su due circostanze. In particolare (i) “la rilevanza fondamentale che nel nostro ordinamento assume la nozione di spedizione marittima intesa come comunione di interessi e rischi, della quale l’armatore è il soggetto organizzatore” e (ii) “la conseguente preminenza del ruolo dell’armatore, responsabile, ex art. 274, primo comma, Cod. Nav. dei fatti dell’equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave per quanto riguarda la nave e la spedizione”. Per l’effetto, l’armatore “è responsabile di ogni atto o fatto generatore di obbligazioni inerenti all’esercizio della nave, in virtù della particolare struttura che tale esercizio assume nel nostro ordinamento e che si ripercuote su tutti gli istituti del diritto della navigazione, ivi compreso quello del soccorso.”
Ma alle anzidette due considerazioni si aggiungono, sempre ad avviso della Corte, anche una serie di indici normativi che coinvolgono la figura dell’armatore anche per il tramite del comandante quale capo della spedizione e, in particolare: (i) il potere dovere di salvaguardare con ogni mezzo la spedizione dagli eventi che la mettano in pericolo (art. 302 Cod.Nav.); (ii) l’analogo potere-dovere di provvedere, “quando ciò si renda necessario e compatibilmente con le esigenze della spedizione… alla tutela degli aventi diritto al carico”, interloquendo con essi in vista dell’adozione delle più opportune misura speciali “per evitare o diminuire un danno” per “gli interessati al carico”; (iii) la sostanziale equiparazione (in termini di rilevanza) della volontà del comandante della nave rispetto a quella del proprietario della cosa salvata, nell’art. 492 Cod. Nav. che disciplina il diritto all’indennità e al compenso per il salvataggio di sole cose (appunto, “che non sia effettuato contro il rifiuto espresso e ragionevole del comandante della nave in pericolo o del proprietario delle cose”), senza che valga il reciproco nella “assistenza e salvataggio di nave e di aeromobile”, ove rileva (ovviamente) solo la volontà del comandante (v. art.491 Cod. Nav.).
Esclusa quindi la parziarietà dell’obbligazione e ricondotto il pagamento dell’intero compenso in capo all’armatore quale debitore principale, la Corte ha poi esaminato la questione inerente alla configurabilità o meno di una forma di solidarietà tra i vari coobbligati. Al riguardo, i Giudici di legittimità, distinguendo all’interno del debito complessivo la componente del soccorso alla nave, di cui l’armatore è l’unico obbligato passivo, e quella del soccorso al carico, in relazione al quale concorrerebbero la responsabilità dell’armatore e quella degli interessati al carico, precisa che “se in forza della solidarietà ciascuno può essere costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento di uno libera gli altri, nel caso di specie la totalità va riferita al debito di ciascuno degli interessati al carico ed il meccanismo di regresso ex art. 1299 cod. civ. opera limitatamente a questa componente della remunerazione (quindi solo nel caso in cui il pagamento sia stato anticipato dall’armatore). In altri termini, solo per la componente della remunerazione del soccorso relativa al carico sarebbero ravvisabili i presupposti tipici della solidarietà”.
Infine, osserva ancora la Corte, che la configurabilità della solidarietà passiva limitatamente a quella parte del compenso afferente al carico non è astrattamente incompatibile con l’individuazione dell’armatore quale debitore principale dell’intero compenso salva rivalsa nei confronti degli interessati ex art.1203, n. 3, Cod.Civ. che opera “a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo poiché la sussidiarietà tra i diversi debiti è ammissibile anche all’interno della solidarietà se risultante da un’espressa pattuizione o disposizione di legge (nel caso di specie riconducibile all’art. 497 Cod.Nav.”
In forza di tutto quanto sopra precisato, la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto:
- “in tema di compenso per l’assistenza a una nave in pericolo, l’art. 13, pra.2 della Convenzione internazionale di Londra del 28 aprile 1989 sull’assistenza (ratificata e resa esecutiva in Italia con Legge n. 129 del 12 aprile 1995, in vigore del 14 luglio 1996) ammette che le legislazioni degli Stati aderenti mantengano o introducano una regola diversa dalla parziarietà della relativa obbligazione, consentendo che il versamento del compenso unitariamente determinato ai sensi dell’art. 1, venga effettuato da una delle parti interessate, con diritto di regresso nei confronti delle altre parti, limitatamente alla rispettiva quota”;
- “nell’ordinamento italiano, il compenso dovuto ai soccorritori per il soccorso all’intera spedizione, unitamente considerato, integra ai sensi dell’art. 497 Cod. Nav. una forma di avaria spesa la cui ripartizione nei rapporti interni tra tutti gli interessati alla spedizione avviene secondo il meccanismo della contribuzione alle avarie comuni;
- “nei rapporti esterni l’armatore, stante il ruolo istituzionalmente rivestito, anche alla luce degli artt. 491, 492, 274, 302 e 312 Cod. Nav., risponde quale obbligato principale nei confronti dei soccorritori: in via esclusiva, per la componente del compenso correlata al soccorso della nave; in solido con ciascuno dei condebitori aventi diritto al carico, per la componente a questo correlata;
- “resta esclusa la solidarietà tra i diversi interessati al carico, attesa l’indipendenza e la non comunicabilità delle loro rispettive posizioni”.
Vittorio Porzio
Studi Legali Consociati