MAGGIO 2020 PAG. 16 - Piloti: “Rallentiamo oggi per non fermarci dopo”
È lo slogan con cui hanno affrontato la fase iniziale della pandemia da Covid19 i piloti dei porti italiani, garantendo la continuità del servizio. In piena “fase 2” continuano la loro opera quotidiana con una maggiore consapevolezza sulla centralità del loro ruolo e sulla bontà di un modello organizzativo peculiare e perfettamente coerente con le sue finalità di “cuscinetto” tra interesse pubblico generale e mondo economico. A parlarne il presidente della Federazione Italiana Piloti dei Porti, Francesco Bandiera.
Tempi di primi bilanci. In che modo i piloti hanno affrontato l’emergenza sanitaria?
Abbiamo fronteggiato una situazione impegnativa ponendoci in un’ottica mai messa in discussione: la prosecuzione del servizio. Il nostro ruolo, coordinati dall’Autorità marittima, è garantire l’accesso sicuro ai porti e ci siamo mossi tempestivamente perchè le attività dei nostri scali non si interrompessero. In sinergia con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, abbiamo studiato misure ad hoc per prevenire il contagio come la rimodulazione, per quanto possibile, dei turni di piloti ed equipaggi fissi. Oltre a tutte le precauzioni tipiche dell’emergenza, sono state limitate le manovre concomitanti, sempre nel rispetto delle necessità del porto chiaramente. Il traffico del resto è rallentato in modo naturale per i tanti scali cancellati. Questo tipo di gestione ha assicurato la continuità delle operazioni e scongiurato qualsiasi ipotesi di blocco, dovuto a contagi o quarantene generalizzate.
Quali insegnamenti dall’attività di questi mesi?
Non è stato facile l’adattamento alla nuova situazione. Siamo sempre i primi a salire su una nave che si presenta all’ingresso del porto e nonostante la massima attenzione, la preoccupazione resta.
La natura della nostra attività ci porta giornalmente a contatto con realtà diverse: sociali, culturali e sanitarie, a bordo di navi provenienti da tutto il mondo. Nel momento del picco, anche in ambito familiare, eravamo tra i soggetti più esposti. Per niente scontato che ad oggi nessun pilota è stato contagiato, così come nessuno dei nostri familiari. Segno che protocolli e dispositivi di protezione utilizzati hanno funzionato. Ciononostante, passata la bufera, credo sia necessario mettere mano, ad un “national crisis management plan”. Sapere esattamente cosa fare eviterebbe di perdere tempo prezioso nella malaugurata ipotesi del ripetersi di eventi del genere. Poi c’è una nuova consapevolezza riguardo la bontà dell’organizzazione del pilotaggio adottato nel nostro Paese.
Quale?
L’impianto giuridico attraverso cui è strutturato e gestito il pilotaggio in Italia. Incentrato sul controllo pubblico, ha mostrato una grande capacità di reazione, è indubbio. Una risposta rispetto a certe pressioni che hanno caratterizzato negli ultimi anni la dialettica con le associazioni di settore, spesso più per errati dogmi che per argomenti oggettivi.
Si riferisce alle querelle sull’incidenza del servizio sui costi generali?
Il discorso è più ampio, ma riguarda anche quello. Al proposito, proprio per poter fare una verifica su dati oggettivi, abbiamo commissionato al Centro Italiano di Eccellenza sulla Logistica i Trasporti e le Infrastrutture dell’Università di economia di Genova uno studio particolareggiato del comparto, confrontandolo con i rispettivi modelli organizzativi a livello internazionale: la nostra risposta alle sollecitazioni che arrivavano anche in merito all’introduzione, poco più di un anno fa, della legge europea in tema di trasparenza e congruità delle tariffe portuali da applicare, introdotte con il regolamento 352/2017. Purtroppo lo spostamento dell’Assemblea nazionale, per ovvi motivi, ha ritardato il rilascio ufficiale del documento, consegnato alla fine dell’anno scorso all’Amministrazione marittima.
Cosa emerge dallo studio?
Sulle oltre 330mila operazioni effettuate nel 2018, i dati completi disponibili nel momento dell’analisi, è stata riscontrata una produttività superiore, tra il 40 e il 50%, rispetto all’estero. Positivo anche il riscontro sull’incidentalità, tra le più basse del mondo, e sui costi: mediamente al di sotto dei livelli europei ed extraeuropei. Dati interessanti anche sulla diatriba riguardante una diversa modalità di svolgimento del servizio che non preveda la presenza a bordo del pilota (VHF ndr). Fermo restando le previsioni di legge (obbligatorietà per navi al di sopra di 500 GRT, ndr) le prestazioni in quell’ambito toccano quota 48%. Non mi sembra poco.
E in merito alle posizioni monopoliste?
Altra sconfessione di luoghi comuni. Il sistema pubblico è usuale nella maggior parte dei modelli portuali esteri. Così come la necessità avvertita dagli Stati di gestire il servizio di pilotaggio attraverso un unico soggetto e non permettendo l’accesso al libero mercato che innescherebbe corse al ribasso a scapito della qualità e dubbie procedure rispetto alla garanzia di eguale trattamento dei vari armatori. Negli USA, patria del liberismo, vige un’organizzazione monopolistica corporativa più rigida di quella italiana. In Russia, recentemente, la Duma sta discutendo il ritorno alla mano pubblica, dopo aver determinato che la liberalizzazione del servizio ha nuociuto agli interessi economici del paese.
Di cosa avrebbe parlato all’Assemblea generale della Federazione?
Il titolo della relazione sarebbe stato “Ruoli e principi nel pilotaggio”. Un invito a riscoprire l’essenzialità della propria funzione di tutti i soggetti impegnati nell’ambito di un servizio, il pilotaggio, essenziale per la gestione della sicurezza dei nostri scali portuali.
Personalmente credo molto nella coerenza del sistema corporativo istituito nel 1942 e molto ben articolato all’interno del nostro codice della navigazione. Non che non ci sia bisogno di aggiustamenti, ma il modello, nella sua struttura portante, è validissimo nel preservare il giusto equilibrio tra tutti gli interessi in gioco, quelli pubblici dello Stato e privati di chi i porti li utilizza per giusti fini commerciali. Un punto su cui c’è bisogno di essere chiari una volta per tutte, evitando qualsiasi tentazione di pretestuosità da parte delle associazioni di categoria. Ne va del futuro del nostro sistema portuale.
Quali sono le prerogative del modello italiano e perché preservarlo?
Il sistema corporativo scelto per il pilotaggio è un unicum giuridico da preservare e rilanciare, anche contro eventuali tentazioni neoliberiste. Il servizio, di fatto, è in mano allo Stato che monitora e controlla l’operato dei piloti, cui è delegato un delicatissimo compito: quello di preservare da una parte l’interesse pubblico generale – sicurezza nell’utilizzo delle infrastrutture, tutela ambientale e security – dall’altro le attività della sfera economica, assorbendo le pressioni indebite che potrebbero derivare dalla concorrenza tra diversi soggetti. Attraverso il pilotaggio si gestisce il traffico marittimo di un paese: siamo il crocevia dove i veri rischi di distorsione del mercato si incontrano. Non ultimo, è da tenere sempre a mente che i piloti dei porti in Italia sono un’organizzazione capillarmente diffusa nella piena e più totale disponibilità del comandante del porto. Una macchina operativa di pronto intervento per la gestione di qualsiasi emergenza in mare o a bordo di navi. Solo negli ultimi due anni siamo intervenuti in modo determinante in casi di incendio a bordo, navi incagliate, oltre alla possibilità di essere elitrasportati con gli elicotteri della Guardia Costiera. Tutta la nostra opera non ha alcun costo per lo Stato, secondo un modello unico che garantisce autonomia, ottimizzazione delle risorse umane e finanziarie sotto controllo continuo dell’Amministrazione marittima.
Nel breve termine quale sarà la problematica da risolvere per il pilotaggio?
Un elemento di preoccupazione deriva dalla mancanza di liquidità che sta investendo il settore dello shipping. È ovvio che la logistica via mare subirà le maggiori conseguenze dell’ormai certa recessione economia. Per noi significherà minori prestazioni, a causa del calo dei traffici. Ora se la corporazione non riscuote il dovuto per un servizio da rendere obbligatoriamente, rischia concretamente di non poter sostenere, sul medio e lungo termine, le spese incomprimibili per mezzi e personale. A maggior ragione, quindi, non dobbiamo essere compresi nelle voci di spesa da sospendere per far fronte alla crisi di alcuni armatori. Capiamo molto bene che l’emergenza sanitaria ha fatto viaggiare molte navi con gravi carenze di carico o passeggeri, quindi vediamo giusto un intervento pubblico verso quegli armatori che comunque hanno garantito il servizio di trasporto. Per il resto, diversamente da altri operatori del porto, la legge già prevede un intervento diretto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in caso di estrema necessità, ovvero momentanea assenza di traffico, a sostegno della sopravvivenza della corporazione. Uno strumento che non è mai stato attivato, ma che se la crisi di traffico dovesse continuare a lungo, non possiamo escludere a priori.
Giovanni Grande