FEBBRAIO 2020 PAG. 10 - L’impatto sulla globalizzazione del “cigno nero” coronavirus
Il “cigno nero” è l’avvenimento raro e imprevedibile. La metafora con cui in un saggio del 2007 il pensatore Nassim Nicholas Taleb indica gli eventi di grande portata e grandi conseguenze e al loro ruolo nella storia. Tale pare essere, a tutti gli effetti, l’irrompere del Covid-19, volgarmente indicato come il “coronavirus”, elemento che sembra giunto a sparigliare, oltre la nostra quotidianità, il panorama economico di un 2020 pur apertosi all’insegna di un’incertezza – guerre commerciali, Brexit, tensioni geopolitiche vecchie e nuove – tutto sommato acquisita come dato di fatto.
Bisognerà, questo è certo, aspettare l’evolversi della pandemia (anche per non incappare in quella che lo stesso Taleb indica come una tendenza tutta umana a trovare retrospettivamente spiegazioni semplicistiche all’apparire di uno “black swan”) per tirare le somme. Tuttavia sembra scontato, fin da oggi e con tutte le prudenze del caso, un forte impatto negativo sull’economia internazionale.
Ciò che è invece già misurabile senza tema di smentita è il modo, differente, cui guardare al “modello cinese”. Il “capitalismo di stato”, la “tecnocrazia confuciana” che fino all’anno scorso veniva considerata da più parti con un misto di stupore e invidia per le sue indubbie capacità di pianificazione e realizzazione (fosse pure la costruzione di un ospedale in appena dieci giorni) ha mostrato l’altra faccia della medaglia. Non fossero state messe a tacere le prime notizie sul propagarsi del virus, con la possibilità di prendere in tempo le dovute precauzioni, forse, la situazione sarebbe stata arginabile più facilmente. La mancanza di soggetti intermedi, di discussione pubblica, di poteri e contropoteri – la ricetta stessa della competitività cinese in questo scorcio di XXI secolo – ha messo paradossalmente a repentaglio quello stesso sviluppo che alimenta. Mette in discussione gli strumenti con cui Pechino ha alzato il vessillo della sua globalizzazione.
Ritornando ai numeri, e con l’avvertenza di cui sopra, difficile capire le conseguenze sul medio-lungo termine: si va, letteralmente, dallo “starnuto” per l’economia cinese (l’impatto della SARS, giusto per parlare di un altro “coronavirus”, fu riassorbito in tempi relativamente brevi, rappresentando, anzi, il trampolino di lancio per il boom degli anni successivi) all’ipotesi di una ridefinizione radicale delle supply chain globali, con tanto di delocalizzazioni industriali dal Dragone verso altri lidi (Africa? Turchia?).
Il FMI ha comunque ridotto al 3,2% - 0,1 punti in meno – la stima di crescita mondiale 2020 portando la previsione per la Cina dal 6% al 5,6% in uno scenario con impatto “relativamente basso e di breve durata”. “Ma guardiamo anche a scenari più preoccupanti in cui la diffusione del virus continua più a lungo e si fa più globale, con conseguenze sulla crescita più durevoli” ha avvisato la direttrice generale Kristalina Georgieva durante i lavori del G20 di Riad. Stessa località dove il presidente di Bankitalia, Ignazio Visco, ha indicato in una flessione del Pil italiano pari allo 0,2%. Sulla stessa linea un rapporto di Nomura secondo cui “considerato il basso tasso di crescita da cui l’Italia parte quest’anno, ci aspettiamo che il Paese entri in recessione nel 2020”. Peggio ancora nel caso di uno “scenario negativo” con un calo che potrebbe arrivare fino allo 0,9% (rivisto al ribasso dello 0,3% il Pil per il primo trimestre di Germania e Francia e dello 0,1% della Spagna).
A soffrire dovrebbero essere soprattutto le catene di approvigionamento di paesi come Italia e Germania, votati all’export. Già la quarantena di alcune delle principali zone manifatturiere di Lombardia e Veneto comincia a pesare sulle relative attività logistiche, frenate, a loro volta, da tutte le misure di profilassi che pregiudicano la normale operatività della filiera.
Secondo le prime stime del Freight Leaders Council, l’associazione che riunisce i maggiori player della logistica nazionale con l’obiettivo di studiare l’andamento del settore, la riduzione dei container potrebbe arrivare fino al 20 per cento in porti strategici per il nostro sistema, come Genova o Salerno, per via dello stop delle partenze dalla Cina. Con ricadute dirette su tutta la catena logistica (spedizionieri, autotrasporto, magazzini) fino a mettere in sofferenza settori chiave per l’economia, quali l’automotive, l’elettronica e la produzione di macchinari altamente specializzati. “Già da ora è possibile rilevare fattori negativi per il mercato: i costi per le spedizioni da e per la Cina stanno aumentando, mentre le portacontainer in arrivo nei porti cinesi stanno incontrando diversi disagi, dovuti principalmente alla mancanza di personale per lo scarico delle merci”.
Considerando nello specifico l’interscambio Italia – Cina (con un import pari a 30,8 miliardi di euro nel 2018 e un export, più contenuto, di 13,2 miliardi) la bilancia commerciale, espressa in container, si basa su un traffico complessivo di 1,1 milione di TEU in entrata e 800 mila in uscita. Ovvero circa il 18% del traffico containerizzato rispetto ai 10,3 milioni di TEU movimentati nei principali porti italiani sempre nel 2018. “Una perdita che andrebbe ad indebolire ancora di più il sistema portuale italiano, già minato nella competitività negli ultimi anni”.
A livello internazionale, nel momento in cui si scrive, è già cominciato un massiccio numero di cancellazioni di partenze, dovute non solo al rallentamento della produzione manifatturiera cinese ma anche alle difficoltà che si è ritrovato ad affrontare l’autotrasporto all’interno del paese. Tutto ciò, presumibilmente, andrà ad impattare con le rate di nolo, con le compagnie già alle prese con la delicata transizione tecnologica imposta dall’uso dei nuovi carburanti a basso tenore di zolfo.
BIMCO sul tema ha rilasciato un report specifico. “I produttori in Asia e nel resto del mondo, che dipendono dai semilavorati importati dalla Cina, dovranno tagliare temporaneamente la produzione, indebolendo l’attività produttiva su scala globale. Se ciò dovesse accadere, i tassi di nolo delle navi portacontainer e i tassi di noleggio a tempo subiranno una forte pressione al ribasso. Tuttavia gli effetti saranno solo transitori ed è probabile che si assista ad un graduale rimbalzo verso le normali condizioni di mercato”. Tempi ancora più difficili si prevedono invece per il dry e il liquid bulk con le rinfuse secche destinate a subire i colpi più duri, data la forte dipendenza del settore dalla domanda di importazione cinese (35%). “Sulla scia del coronavirus, le prospettive della domanda globale di combustibili liquidi sono state corrette al ribasso di 378.000 barili al giorno da gennaio a febbraio. L’epidemia è destinata a far calare la domanda di combustibili liquidi in Cina di 190.000 barili al giorno in media nel 2020. Abbinati al costo aggiuntivo del carburante, i margini di profitto trimestrali di molti operatori di petroliere potrebbero tornare in territorio negativo, in netto contrasto con i risultati positivi riportati nel quarto trimestre”.
Ma a soffrire sarà anche, e soprattutto a livello di immaginario, l’altro grande segmento dell’economia marittima, ovvero le crociere. La rete di consulenti Risposte e Tursimo ha cercato di raccogliere i fili per abbozzare le prossime tendenze del mercato. “Già si verificano le prime ripercussioni che sembrano andare molto oltre il travel ban per i viaggi di gruppo dei cinesi, in particolare sui pacchetti volo+hotel, imposto dalle autorità locali per tentare di contenere la diffusione del virus”. Sono almeno tre i principali fronti su cui si stanno registrando e potranno registrare le maggiori conseguenze, alcune delle quali impattano direttamente sul nostro Paese: “la riduzione di spese in shopping causate da un minor numero di cinesi in viaggio all’estero; la riduzione di spese in shopping nell’area asiatica (in particolare la Cina ed i Paesi con la presenza di maggiori focolai) da parte dei turisti mondiali; effetti a catena sull’industria turistica e dei viaggi per una riduzione di fiducia da parte dei viaggiatori di tutto il mondo”.
Un rallentamento dei viaggi che non riguarda solo la componente leisure ma anche le trasferte di lavoro. “E’ in atto una contrazione nella MICE industry, il business travel mondiale e più in generale quello degli eventi ad alta partecipazione. Si stanno infatti susseguendo inattese cancellazioni o forti riduzioni della partecipazione ad eventi mondiali, non solo nell’area asiatica ma anche in Europa”. Lo spostamento delle fiere logistiche di Padova e Verona, d’altronde, lo confermano anche per l’Italia.
Giovanni Grande