GENNAIO 2020 PAG. 48 - Attingere alle radici millenarie per reinventare il futuro
Se è vero, come gli piace affermare che “gli oggetti hanno un’anima e vanno da chi gli vuole bene”, allora Gaetano Bonelli deve avere una speciale capacità rabdomantica. Un’abilità nell’intercettare le misteriose e complicate traiettorie che permettono alle cose comuni di attraversare lo spazio e il tempo. Per finire a testimoniare, retrospettivamente, dell’unicità delle vite individuali, dei destini collettivi, dello scorrere inesorabile della storia e delle storie. Deve essere questa particolare abilità, combinata con una smisurata passione per la cultura, ad aver reso speciale la sua raccolta antropologica, probabilmente tra le maggiori dedicate ad una singola città, in esposizione nel cuore popolare di Napoli (P.zzetta S.Gennaro a Materdei, “Museo di Napoli”).
“Una collezione di oltre 10mila testimonianze, dai primi del Cinquencento alla prima metà del secolo scorso, frutto di un’iniziativa personale cominciata 35 anni fa che contempla ben 20 aree tematiche. Dall’emigrazione alla fotografia, dall’urbanistica al commercio, dalla farmacopea ai trasporti, sono conservati cimeli, documenti, oggetti che testimoniano la vita materiale di Napoli, le sue peculiarità e la sua evoluzione, nei piccoli e nei grandi momenti storici”.
Impossibile rendere conto della ricca varietà delle testimonianze. Si susseguono l’avviso con cui i regnanti borbonici concedevano la Costituzione nel 1848 con la copia originale della “Relazione intorno al dagherrotipo” risalente al 1839. E poi fotografie, manifesti del San Carlo, 500 titoli di viaggio, a partire dal servizio di tram a cavallo fino ad oggi; oltre un ricco repertorio riguardante il Banco di Napoli che comprende il libretto di conto corrente più antico conosciuto, datato 1878. Un corpus corredato di pezzi rarissimi – una delle prime forchette a quattro rebbi, le matrici in legno delle carte napoletane del 1825, tra l’altro – su ognuno dei quali si può raccontare un aneddoto, una sfaccettatura del vissuto napoletano, secondo un disegno preciso.
“Non si tratta di una raccolta sic et sempliciter. Dietro questo impegno c’è un progetto di città. La memoria mi sta particolarmente a cuore perché attraverso essa si può viviere meglio il presente e ambire ad un domani migliore. Con uno sguardo particolare alle nuove generazioni. Offrire testimonianza della ricchezza della nostra storia è un vero e proprio impegno civico. Una missione di speranza e un invito preciso: attingendo dalle nostre radici millenarie possiamo reinventarci il futuro”.
Nobile intento che si scontra con l’altra faccia della medaglia. Quella di istituzioni poco attente, della difficolta quotidiana a rendere visibile questo patrimonio, a valorizzarlo come meriterebbe. Ad oggi le visite nello spazio messo a disposizione del “Museo di Napoli” presso la “Casa dello Scugnizzo” non sono sufficienti a garantire un rilancio dell’iniziativa. Anche se qualcosa si sta muovendo in riva al mare e potrebbe garantire una svolta.
“A Napoli manca una cultura della collaborazione. Il problema maggiore da affrontare sta nella difficoltà ad attivare sinergie, collaborazioni concrete che vadano oltre l’apprezzamento verbale. Il rischio di scoraggiarsi è alto ma con esso la volontà di guardare avanti. Come nel caso della possibile occasione offerta dalla riqualificazione del porto e dal progetto di realizzazione del Museo del Mare. Il presidente dell’AdSP, Pietro Spirito, e il presidente del Propeller Club, Umberto Masucci, hanno dimostrato un fattivo spirito di collaborazione e stiamo ragionando per aprire spazi comuni di coinvolgimento”.
Sotto questo aspetto la collezione Bonelli potrebbe garantire un contributo importante sotto l’aspetto dei contenuti a quel museo dell’emigrazione di cui si è spesso parlato. L’occasione, tra l’altro, non mancherebbe, considerato che entro l’estate saranno terminati i lavori di restauro dell’Immacolatella Vecchia.
“Basterebbe anche uno spazio parziale. In un luogo di certo evocativo per il suo rapporto con la città potrebbe nascere un primo embrione progettuale. Una mostra dei reperti che coprono circa un secolo di fenomeno migratorio potrebbe rappresentare un’opportunità importante, sia per rinnovare la fruibilità della struttura sia per aumentare l’appeal in termini di offerta culturale negli itinerari crocieristici”.
Giovanni Grande