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GENNAIO 2020 PAG. 37 - Il porto di Venezia e la “vergine cuccia”


Chissà perché leggendo sulla stampa locale i grandi titoli sulle attuali traversie che di giorno in giorno tendono a demolire la portualità lagunare mi torna in mente il Parini con la sua “vergine cuccia”. Tutti voi ricorderanno la storia del povero servo morso alla caviglia dal dente dorato della cagnetta della nobildonna, della sua reazione e, purtroppo, della sua e della propria famiglia brutta fine in povertà assoluta. Ebbene nella turbolenza che sta vivendo il porto di Venezia tanti elementi si potrebbero associare alla triste storia del Parini. Le inascoltate denunce a destra e a manca  dell’Autorità di Sistema Portuale che, pur dovendolo fare per legge, non riesce a dare la dovuta agibilità ai canali portuali, la ferma e decisa posizione del sindaco Brugnaro sul “Protocollo Fanghi” da sbloccare superando a dir suo il contrasto tra ministeri competenti, per non parlare della timida reazione delle imprese/aziende che operano con il porto quando, anche per l’abbandono di Venezia da parte della Ocean Alliance, che, dribblando la laguna, ha dirottato le proprie prue sui porti di Fiume, Capodistria, Trieste, Ravenna in Adriatico, il futuro appare realmente tragico anche considerando i sempre più frequenti dirottamenti su porti viciniori della grandi navi da crociera!

Un landskape davvero drammatico per gli oltre 16.000 addetti che lavorano col porto ai quali, probabilmente, bisognerà spiegare come far ritornare il porto, se si riportassero i canali lagunari a quota di progetto, ai fasti dei migliori anni della sua vita.

Ovviamente il mancato escavo dei canali è solamente una pur importante concausa della grave crisi del porto ma, ripetiamo, unicamente una concausa che ha portato, in pratica, ad una sorta di  “declassamento” del porto.

Troppe chiacchiere e pochi fatti, evidentemente, da parte di chi avrebbe dovuto  avere l’autorevolezza e la responsabilità, in forza del proprio ruolo, di assicurare sviluppo e non crisi al “suo” porto , anzi, a quel sistema portuale lagunare che se messo correttamente a regime avrebbe tutte le carte in regola per proporsi come efficiente terminal marittimo e fluviomarittimo al servizio dell’industria padana e d’oltralpe interagendo con porti e interporti in un network di logistica avanzata abbracciando e adottando la nuova cultura del trasporto.

E invece passano i giorni, i mesi, gli anni spesso infiorati da annunci autoreferenziali che, per quanto sopra descritto, vivono spesso il tempo del passaggio di una cometa per lasciar spazio alla conta dei danni di quella crisi del porto che il suo presidente Musolino definisce “crimine annunciato” con l’addio dei cinesi al porto.

Ora riteniamo sia giunto il momento di fare una seria analisi del perché della crisi ed eventualmente delle nuove e diverse strategie da adottare. Certo non spetta a noi, osservatori attenti, dare soluzioni tuttavia qualche consiglio non fa mai male.

Innanzi tutto vanno considerati gli attori: dai partiti politici al governo, agli enti territoriali, alle associazioni di categoria, ecc.ecc. fino a stabilire se l’attuale vertice dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico Settentrionale sia ancora sostenuto dai suoi sponsor o se, al contrario, si stia macchinando per far fuori porto e presidente a favore di altri scali. Se così fosse non c’è altro tempo da perdere dovendo procedere ad una corale denuncia per danno erariale allo stesso Stato contro quel sistema politico/burocratico che sta affondando il porto e tutta l’economia indotta.
La delusione e la rabbia del presidente del porto non bastano certo a superare i problemi così come  gli appelli del Sindaco per sbrogliare una matassa di errori, dal MOSE e opere collegate in poi, tutte in rotta di collisione con lo sviluppo della portualità lagunare.

E però non possiamo non chiederci, vedendo quanto sta ottenendo il porto di Trieste o quello di Genova per non parlare dello sviluppo di quello di Bari e quello di tanti altri scali nazionali, quale sia il fulcro del vero problema dello stallo del porto veneziano.

Dopo una leale e profonda introspezione perché non chiederlo, “apertis verbis”, non solo a chi questa crisi non la sa gestire, ma anche a coloro che a diversi livelli e a diversi ruoli nulla ancora hanno fatto per arginare l’evidente  naufragio.
Mai vorremmo che, come avvenne nel racconto del Parini, tra dame, vergine cuccia e il servo mordicchiato, il porto facesse la brutta fine di quel povero servo!

Massimo Bernardo

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