GENNAIO 2020 PAG. 24 - Pietrarsa, evoluzione di un polo museale unico al mondo
La “Signorina”, busto stretto e fianchi larghi, in linea con i dettami della moda degli anni Venti, deve il nome alla sua eleganza. Più in là, una di fronte all’altra, le “Gemelle” si distinguono solo per le ruote differenti. E poi la “Cremagliera”. Predisposta per lo scartamento ridotto. Concepita per inerpicarsi lungo le strette linee di alta montagna. Dal primo convoglio italiano ai giganti di ghisa, dal vapore al diesel alla corrente trifase. Ogni locomotiva, ogni vagone, a Pietrarsa, è un’occasione per immergersi in una storia. Un viaggio alla scoperta di differenti epoche. Modi diversi di concepire il viaggio e la mobilità in un paese, l’Italia, che ha dato un contributo importante all’evoluzione delle ferrovie. Sotto l’aspetto tecnologico, industriale, dello stile.
“Una collezione di ingegneria ferroviaria unica. Ospitata in un edificio che è esso stesso un esempio di archeologia industriale unica a livello europeo. Un susseguirsi di epoche architettoniche: il neogotico della cattedrale borbonica, le grandi campate in ferro e acciaio dei padiglioni, le strutture in legno oscillante per salvaguardare i tetti dai terremoti e dai lapilli, in un luogo che deve il suo stesso nome alle conseguenze di un’eruzione del Vesuvio del 1631”.
Oreste Orvitti, Direttore del Museo di Pietrarsa, snocciola la lunga vicenda che ha portato alla costituzione di un’esperienza museale tra le più interessanti del panorama italiano. Sostenuta dall’idea di un rapporto dinamico con il territorio. Dalla necessità di superare i modelli di fruizione tradizionali per allinearsi agli esempi di “polo culturale” più moderni ed avanzati a livello internazionale.
“Sorto nel 1842 per volere di Ferdinando II di Borbone come opificio dedicato all’industria bellica, Pietrarsa fu riconvertito ben presto a stabilimento per la costruzione di locomotive a vapore. Segue la lunga traiettoria dell’industria ferroviaria tricolore fino al 1975 quando si sviluppa il primo progetto per un grande museo delle Ferrovie dello Stato. Istituito ufficialmente nel 1989 è gestito da varie società delle FS fino a quando nel 2013 viene costituita la Fondazione che lo ha preso in carico con l’obiettivo di rendere fruibile la grande storia del trasporto su ferro italiano”.
Con un’estensione di 36mila metri quadrati, frutto di un restauro architettonico costato circa 15 milioni di investimento, Pietrarsa ha scelto infatti di valorizzare l’enorme patrimonio a sua disposizione adottando le tecnologie più avanzate. Inoltre, si è accentuata sempre più nel corso di questi anni l’orientamento a fare del museo un centro di attrazione culturale tout court, rafforzando ulteriormente la sua visibilità presso il grande pubblico e i relativi benefici economici per il tessuto urbano circostante.
“I percorsi che sfruttano l’innovazione sono un fiore all’occhiello della nostra attività. Oggi possiamo offrire un viaggio con realtà aumentata con protagonista la Bayard, la prima locomotiva entrata in funzione sulla tratta Napoli-Portici, mentre su un treno degli anni ’40 è stato installato un simulatore di guida: 15 minuti di grande realismo attraverso la Val d’Orcia in Toscana. A breve svilupperemo anche un nuovo sistema sonoro nei padiglioni. Ma il museo si è specializzato anche su altri versanti, affermandosi, ad esempio, come affascinante polo congressuale in grado di ospitare eventi fino a 4mila persone. L’obiettivo futuro è farne uno strumento di marketing in grado di coinvolgere e fidelizzare le giovani generazioni attraverso eventi culturali come mostre di pittura, arte, teatro”.
La diversificazione e l’arricchimento delle esperienze, d’altronde, è la soluzione adottata nei contesti internazionali più avanzati. Una ricetta che sta ottenendo risultati lusinghieri anche sotto il Vesuvio, dove le presenze sono passate dalle 4mila del 2013 alle 200mila dell’anno scorso, e che spingono ad auspicare a stringere un rapporto più stretto con le eccellenze dell’area metropolitana.
“Un’iniziativa parallela ci vede coinvolti in una partnership in ambito ambientale con l’Università Federico II di Napoli. Esperti in botanica dell’Ateneo curano i giardini del Museo, dove sono state trasferite specie vegetali dai cinque continenti provenienti da località compatibili con il clima mediterraneo. Un esperimento di grande interesse che fa il paio con l’installazione su una parete da 80 metri quadri di un giardino verticale le cui 5.500 piante contribuiscono a filtrare le polveri sottili. Il futuro, ad ogni modo, si giocherà nel rapporto con l’area del Golfo e, perché no, nella possibilità non del tutto peregrina di attivare un servizio marittimo direttamente da Pietrarsa”.
Già collegato ottimamente con un’apposita fermata metropolitana (a soli 10 minuti dalla Stazione Garibaldi) il Museo potrebbe giocare il ruolo di punto di connessione tra il territorio e le attività della blue economy. A tal proposito non si è nemmeno all’anno zero anche se molto resta da fare.
“E’ già stato predisposto uno studio di fattibilità per la realizzazione di un approdo marittimo per imbarcazioni da diporto e mezzi veloci come aliscafi e traghetti. Oltre a diventare un nodo di interscambio intermodale la nostra struttura diventerebbe un importante attrattore anche per lo sviluppo delle vicine attività crocieristiche, con importanti ricadute economiche. Nell’attesa non ci resta che concentrarci su questo 2020 che sarà ricco di iniziative: come accennato lavoreremo per allargare la nostra offerta culturale, attraverso l’organizzazione di grandi mostre, oltre a partecipare in modo attivo al recupero del patrimonio della nostra storia di cui è protagonista la Fondazione FS. A breve saranno riattivati i treni di lusso della serie Arlecchino e Settebello, esempi ineguagliabili di italian style, che speriamo di poter ospitare mentre è in via di realizzazione a Trieste, di un secondo polo museale. Occasione unica per realizzare un grande sogno: unire i due mari attraverso un tragitto storico tra le due città. Lo stesso che viene ricostruito, virtualmente, dal nostro simulatore”.
Giovanni Grande