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SETTEMBRE 2019 PAG. 64 - LIBRI: Identità perdute - Colin Crouch - Laterza


“Se non ci fosse stata alcuna globalizzazione – se fossimo rimasti nelle economie della fortezza nazionale, con muri e barriere tariffarie attentamente controllati, limitazioni severe ai viaggi all’estero e persino più severe all’immigrazione – la maggior parte del mondo sarebbe oggi di gran lunga più povera; l’immigrazione illegale, con tutte le sue conseguenze di aumento della criminalità, sarebbe stata maggiore; le relazioni tra gli Stati sarebbero state più ostili”.

Il politilogo Colin Crouch, già autore di Post-Democrazia, analizza la dialettica globalizzazione-nazionalismo, apertura-chiusura, alla luce dei recenti sviluppi politici – dalla Brexit all’ondata sovranista alle guerre tariffarie Cina – facendo risalire il fenomeno alla dicotomia Illuminismo-Ancient Regime. Dinamica portata sulla ribalta della storia dalla Rivoluzione Francese e dall’affermazione dei diritti di cittadinanza, tra gli elementi fondamentali su cui si è modellato il successivo sviluppo dello stato-nazione. Oscillazione che riemerge nel mondo contemporaneo con la messa in discussione di quello stesso modello statale (portatore di un welfare state che mostra dappertutto le sue crepe) messo in crisi, con la quarta fase di mondializzazione risalente alla fine del XX secolo, dall’interdipendenza dell’economia internazionale e l’emergere di realtà politiche extraterritoriali.   

È sulla scorta di queste ultime considerazioni che viene giudicato il presente.
Oggi la globalizzazione – che ha causato la graduale cancellazione di interi settori industriali e, di conseguenza, la dispersione di comunità e modi di vivere a essi legati – si declina soprattutto sotto l’spetto della perdita di identità. Il profondo disagio che ne deriva è sentito ovunque: è percepito dagli operai americani che hanno perso il lavoro nelle acciaierie della rust belt; dai tedeschi, che parlano nostalgicamente di Heimat, cioè di ‘patria’; dagli agricoltori francesi, messi in crisi dalle multinazionali. A partire da questo disagio diffuso, molti partiti politici sovranisti hanno rivendicato la propria identità nazionale. Ma cosa succederebbe se si bloccasse il processo di globalizzazione?
Crouch riconosce le legittime critiche che provengono da destra e da sinistra. Ma mette in guardia dai rischi di “regressione complessiva che il mondo affronterebbe dal punto di vista non solo economico”. La rinascita del nazionalismo distoglie l’attenzione dalla sfida più importante da governare: “la necessità di una democrazia al di là dello Stato-nazione”. “Il ritorno a un mondo di economie nazionali sovrane e isolate, di paesi in cui i cittadini hanno poco contatto con chi vive oltre i loro confini, non è possibile ne desiderabile”. La posta in gioco, allora, diventa preservarne i benefici complessivi affrontando l’immane sfida di “trascendere la dimensione nazionale e sottoporre i flussi economici globali alla responsabilità di una governance transazionale democratica”. 

“Uno sforzo che non significa  affatto - e non deve implicare - l’abbandono delle identità nazionali o locali”. Piuttosto, le identità multiple che sono oggi a nostra disposizione dovrebbero diventare una serie di cerchi concentrici che si arricchiscono l’un l’altro con radici ferme in una sussidiarietà cooperativa, o una specie di matrioska russa con una successione di bambole di dimensioni differenti contenute in modo confortevole l’una dentro l’altra. “Dobbiamo essere orgogliosi della nostra città più o meno grande, della regione in cui è situata, della nazione al cui interno è contenuta, delle istituzioni europee (per chi è abbastanza fortunato da vivere in uno Stato membro dell’Ue), e delle più ampie istituzioni internazionali”. D’altronde, “vivere nel ventunesimo secolo significa proprio gestire identità multiple, che vanno dal sentirsi radicati in una piccola comunità fino a raggiungere la dimensione transnazionale”.
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