APRILE PAG. 41 - Via della Seta energetica
Dopo aver costruito il suo successo economico su un mix energetico incentrato principalmente sul carbone, la Cina, primo consumatore al mondo di energia, con un fabbisogno che ammonta a quasi un quinto di quello globale, sembra aver imboccato con la Belt and Road Initiative la strada della “responsabilità ambientale”.
Già centrale fin dalle prime versioni ufficiali della BRI, il focus sull’approvvigionamento in materia energetica ha trovato la sua prima teorizzazione a partire dal 2015 quando il governo cinese lancia la sua proposta per “promuovere la cooperazione nella connettività dell’infrastruttura energetica, lavorando in concerto per assicurare la sicurezza di oleodotti, gasdotti ed altre vie di trasporto, costruendo network internazionali di rifornimento energetico, e cooperando per la trasformazione e il miglioramento della rete elettrica regionale”.
“Reperire risorse per foraggiare le proprie industrie e le proprie navi è una necessità per la Cina e l’interscambio con i propri vicini è il metodo più utilizzato,” rivela il capitolo dedicato agli investimenti cinesi nel settore del recente Med & Italian Report di SRM. Nel 2016 Pechino ha importato “249 milioni di tonnellate di petrolio greggio da paesi della BRI, prevalentemente nel Sud-est asiatico e nell’Asia centrale, pari al 65% del totale e ne ha esportato il 70% per un giro di affari di 19,3 miliardi di dollari”.
Costruzione e miglioramento delle infrastrutture gli elementi al cuore dell’iniziativa che caratterizzano la visione del dragone anche in questo specifico settore. E’ il caso del porto di Gwadar in Pakistan dove il trasporto delle merci e la condivisione di energia sono due aspetti strettamente intrecciati. “Il progetto, una delle pietre d’angolo della BRI, prevede insieme all’ampliamento dello scalo la costruzione di due terminal petroliferi, una piattaforma per l’estrazione di gas liquido e una centrale a carbone”.
Tra le priorità di questa poco conosciuta “Via della Seta energetica” il miglioramento della rete interna al paese, la diversificazione delle fonti, la creazione di nuovi mercati con i paesi confinanti che si tradurrebbe in crescita della sfera d’influenza e maggior sicurezza nei rifornimenti. “Attualmente l’85% delle riserve petrolifere vengono importate passando dallo Stretto di Malacca, mentre i nuovi collegamenti con l’Asia Centrale e il Medio Oriente garantirebbero una minore dipendenza e una maggiore sicurezza, in caso di problemi diplomatici o di stabilità interna tra i paesi dell’area”.
Come per le infrastrutture di trasporto anche in questo caso gli investimenti cinesi sono giganteschi e abbracciano tutto il pianeta. Si va dall’ingresso nel mercato europeo (tra il 2008 e il 2015 un totale di 38,2 miliardi di dollari in oltre 30 progetti, tra cui in Italia, acquisizioni di partecipazioni in Eni, Enel e Ansaldo Energia) ai progetti per la produzione di energia green (centrali solari ed eoliche) in Vietnam, Malesia, Thailandia ma anche in Sud America (Perù e Brasile), dove il settore energetico è quello che ha registrato i maggiori successi per la BRI.
Ma è in Africa che la strategia cinese mostra tutto il suo potenziale. Insieme ai primi segnali di difficoltà come le proteste delle popolazioni contro la realizzazione di centrali a carbone a Lamu, sulla costa orientale del Kenya, nell’ambito del progetto per il potenziamento del porto e del relativo corridoio ferroviario, e a Medupi, in Sudafrica.
Secondo i dati di Baker McKenzie, il valore dei prestiti in infrastrutture ed energia è triplicato tra il 2016 e il 2017, toccando quota 9 miliardi di dollari. “Tra questi la costruzione della centrale idroelettrica di Mambilla, in Nigeria, dal valore di 5,8 miliardi, e quella nelle gole di Kafue, in Zambia, da 1,5 miliardi”. Ma, stando all’International Energy Agency, “solo il 7% degli interventi totali sarebbe orientato verso energie rinnovabili”. Dei 5 miliardi di dollari investiti dalle banche cinesi tra 2014 e 2017, tre quarti sarebbero destinati a strutture alimentate a gas e petrolio. Sintesi perfetta di quella che è per molti critici la BRI: “ricerca di profitto economico quando molte altre nazioni, per crescere o in un momento di difficoltà , hanno bisogno di liquidità ”.
Giovanni Grande