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FEBBRAIO 2019 PAG. 22 - Project cargo, avvicinare le industrie al mare


Sottosegmento ad altissimo valore aggiunto del settore break bulk il project cargo si configura come un’attività ad altissima specializzazione. Caratterizzato dai processi di concentrazione tipici dell’industria marittima in Italia può contare su realtà operative di assoluta eccellenza ma su una dotazione infrastrutturale ancora da mettere a sistema. Alla scoperta di un’attività ancora poco conosciuta con Fabrizio Vettosi, Managing Director di Venice Shipping and Logistic. 

Quali sono le peculiarità che riguardano il mondo del project cargo?
A livello generale si tratta di un comparto ad altissimo valore aggiunto, movimentando grosse unità in termini di peso e costo – moduli industriali e componenti per grandi impianti – lungo rotte non di linea. Negli ultimi anni, in linea con quanto accade nel mondo dello shipping internazionale, l’offerta di naviglio si sta concentrando con una tendenza verso il gigantismo. Un dato su tutti: i primi 4 operatori mondiali pesano per il 12% dei traffici totali rispetto al 2% di pochi anni fa. 

Come si caratterizza il project cargo italiano?
Principalmente serve la componente della supply chain energetica o dei grandi impianti. Oltre Carrara, che rappresenta un caso virtuoso di riconfigurazione dei traffici, le principali bocche portuali della penisola sono a La Spezia, Genova e soprattutto Venezia, punto di riferimento per tutto il nord est ma in grado di attrarre anche i traffici che partono dalla pianura padana e dal nord ovest. In un settore che richiede operatori in grado di gestire infrastrutture specializzate sul mare e punti logistici per ospitare le operazioni di completamento e trasferimento di manufatti di enormi dimensioni l’Italia può contare su realtà di primo piano a monte e a valle del processo. Purtroppo in mancanza di programmazione le iniziative si sono sviluppate in modo spontaneo.

Quale sono i principali punti critici? 
Il territorio italiano ha una orografia già di per se difficile cui si aggiunge una insufficienza infrastrutturale che non consente il transito di determinate sagome e pesi. Manca una visione di sistema per un settore che per sua natura necessita di importanti investimenti, anche in tecnologia. Lo stesso caso di successo del porto di Carrara è emblematico. Sono stati direttamente i privati ad ottimizzare un’area a ridosso dello scalo in un momento in cui i traffici tradizionali – siderurgico e marmo – erano in declino. Ne è risultato un modello vincente di riconversione industriale cui tutto il sistema portuale italiano, in tempi che richiedono forti specializzazioni, dovrebbe guardare.

Come favorire lo sviluppo del settore? 
L’opzione ottimale è portare le attività legate alla modulizzazione dei grandi impianti sempre più a ridosso delle banchine. Si potrebbero aprire ambiti di operatività inediti anche in termini di sfruttamento efficiente degli spazi inutilizzati nei porti. Ma è un processo che non può essere delegato all’iniziativa, seppur virtuosa, del privato. C’è bisogno di una presa di consapevolezza da parte del pubblico. Sotto questo aspetto c’è una maggiore sensibilità da parte della AdSP con la crescente propensione a giudicare la bontà dei traffici non attraverso la lente dei volumi ma quella del valore.

Le ZES potrebbero favorire l’emergere del project cargo al Sud?
Assolutamente si. Il quadro di regole che le caratterizza risolve uno dei problemi principali del sistema produttivo italiano: avvicinare le industrie al mare e alle connessioni globali. Una situazione ottimale per riorganizzare anche la vocazione di alcune attività portuali.
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