GENNAIO 2019 PAG. 64 - Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della Seta
Pietro Spirito - Rubbettino
Mai esclusivamente caratterizzato da una centralità strategica unidimensionale il Mediterraneo si è contraddistinto più per la stratificazione seminale di esperienze e culture che sono state trapiantate altrove che per l’effettiva capacità di mettere a frutto la “rendita egemonica della propria forza identitaria”. Parte dalla natura policentrica del mare nostrum – un DNA, si potrebbe affermare, allo stesso tempo resiliente e reattivo ai grandi mutamenti epocali – l’analisi di Pietro Spirito attorno alle “discontinuità strutturali” affacciate alla ribalta di questo primo scorcio di secolo. Lungo un percorso che attraversa e approfondisce i nuovi paradigmi del “logistic capitalism” e invita a guardare con occhi nuovi i tempi attuali, rinunciano alle “suggestive analogie”.
Dal XX secolo della manifattura al XXI secolo della logistica l’attuale tornante storico testimonia, con un esteso e articolato arco di crisi politica, economica e sociale, lo spostamento dei tradizionali equilibri globali. Il pendolo che oscilla tra Occidente e Oriente sembra aver invertito la sua corsa. Anche in conseguenza di un fondamentale mutamento del quadro: non è più, o non solo, la traslazione dei baricentri marittimi a dettare il ritmo dell’economia mondializzata, bensì lo sviluppo dei network connettivi. La capacità , cioè, di riuscire ad includere i sistemi territoriali nel solco delle lunghissime “catene del valore” che attraversano il globo.
È in questo contesto che si inserisce il discorso sulla riscrittura dell’economia del Mezzogiorno d’Italia, premessa indispensabile per far uscire tutto il Paese dalle secche della stagnazione. Di un suo ripensamento a partire da un’attività portuale in grado di riarticolare i rapporti con un tessuto produttivo indebolito dalla crisi secondo i criteri emergenti della “logistica-mondo” e rivitalizzare una realtà che, a differenza del northern range, ha perso ormai l’appuntamento con le economie di scala.
Nell’ampia rassegna dei temi affrontati – dalla trasformazione dei modelli produttivi alle conseguenze dirompenti delle nuove tecnologie, dalle contrapposizioni geostrategiche alle conseguenze nell’apertura di nuove rotte (in primis quella artica) – emerge in modo chiaro l’esigenza di concertare politiche industriali coerenti ed efficaci, sia sul piano nazionale sia sovranazionale.
Sotto questo aspetto, la mancanza di una visione mediterranea da parte dell’Europa non aiuta. A testimoniare un vero e proprio deficit di programmazione del vecchio continente il disegno stesso delle Ten-T, più incentrato sullo sviluppo delle comunicazioni interne che sulle connessioni con l’Asia e l’Africa. “Il terreno di battaglia logistica del Mediterraneo è rimasto privo di una strategia comunitaria, mentre la Cina è pesantemente entrata nei progetti infrastrutturali del Nord Africa, ponendo un’ipoteca su una rotta nella quale si concentra un quinto dell’intero traffico marittimo mondiale”.
Soprattutto, alla luce del protagonismo cinese, s’impone la necessità di una ripresa in investimenti infrastrutturali, bloccati nel Sud Italia per il combinato disposto delle sciagurate politiche di austerity imposte da Bruxelles e da un’oggettiva mancanza di risorse da parte dello Stato. “Tra il 2001 e il 2015 i finanziamenti nella mobilità sono crollati”. Evidenziando maggiormente la carenza di quelle opere di interconnessione necessarie alla creazione di una rete intermodale efficiente ed essenziale per cogliere le enormi potenzialità dei traffici intra-bacino.
Opportunità che potrebbe essere colta con la prossima introduzione delle Zone Economiche Speciali, prodromo di una “nuova stagione per le politiche di sviluppo”. “Né incentivi a pioggia né intervento diretto dello Stato nell’economia”. Piuttosto “una cornice di maggiore competitività determinata da strumenti di semplificazione, crediti di imposta, contiguità ad aree già dotate di infrastrutture e di servizi per la logistica”. Per poter trovare, perché no?, “nelle acque spesso tormentate del Mediterraneo la risposta alle nostre ansie”.
Mai esclusivamente caratterizzato da una centralità strategica unidimensionale il Mediterraneo si è contraddistinto più per la stratificazione seminale di esperienze e culture che sono state trapiantate altrove che per l’effettiva capacità di mettere a frutto la “rendita egemonica della propria forza identitaria”. Parte dalla natura policentrica del mare nostrum – un DNA, si potrebbe affermare, allo stesso tempo resiliente e reattivo ai grandi mutamenti epocali – l’analisi di Pietro Spirito attorno alle “discontinuità strutturali” affacciate alla ribalta di questo primo scorcio di secolo. Lungo un percorso che attraversa e approfondisce i nuovi paradigmi del “logistic capitalism” e invita a guardare con occhi nuovi i tempi attuali, rinunciano alle “suggestive analogie”.
Dal XX secolo della manifattura al XXI secolo della logistica l’attuale tornante storico testimonia, con un esteso e articolato arco di crisi politica, economica e sociale, lo spostamento dei tradizionali equilibri globali. Il pendolo che oscilla tra Occidente e Oriente sembra aver invertito la sua corsa. Anche in conseguenza di un fondamentale mutamento del quadro: non è più, o non solo, la traslazione dei baricentri marittimi a dettare il ritmo dell’economia mondializzata, bensì lo sviluppo dei network connettivi. La capacità , cioè, di riuscire ad includere i sistemi territoriali nel solco delle lunghissime “catene del valore” che attraversano il globo.
È in questo contesto che si inserisce il discorso sulla riscrittura dell’economia del Mezzogiorno d’Italia, premessa indispensabile per far uscire tutto il Paese dalle secche della stagnazione. Di un suo ripensamento a partire da un’attività portuale in grado di riarticolare i rapporti con un tessuto produttivo indebolito dalla crisi secondo i criteri emergenti della “logistica-mondo” e rivitalizzare una realtà che, a differenza del northern range, ha perso ormai l’appuntamento con le economie di scala.
Nell’ampia rassegna dei temi affrontati – dalla trasformazione dei modelli produttivi alle conseguenze dirompenti delle nuove tecnologie, dalle contrapposizioni geostrategiche alle conseguenze nell’apertura di nuove rotte (in primis quella artica) – emerge in modo chiaro l’esigenza di concertare politiche industriali coerenti ed efficaci, sia sul piano nazionale sia sovranazionale.
Sotto questo aspetto, la mancanza di una visione mediterranea da parte dell’Europa non aiuta. A testimoniare un vero e proprio deficit di programmazione del vecchio continente il disegno stesso delle Ten-T, più incentrato sullo sviluppo delle comunicazioni interne che sulle connessioni con l’Asia e l’Africa. “Il terreno di battaglia logistica del Mediterraneo è rimasto privo di una strategia comunitaria, mentre la Cina è pesantemente entrata nei progetti infrastrutturali del Nord Africa, ponendo un’ipoteca su una rotta nella quale si concentra un quinto dell’intero traffico marittimo mondiale”.
Soprattutto, alla luce del protagonismo cinese, s’impone la necessità di una ripresa in investimenti infrastrutturali, bloccati nel Sud Italia per il combinato disposto delle sciagurate politiche di austerity imposte da Bruxelles e da un’oggettiva mancanza di risorse da parte dello Stato. “Tra il 2001 e il 2015 i finanziamenti nella mobilità sono crollati”. Evidenziando maggiormente la carenza di quelle opere di interconnessione necessarie alla creazione di una rete intermodale efficiente ed essenziale per cogliere le enormi potenzialità dei traffici intra-bacino.
Opportunità che potrebbe essere colta con la prossima introduzione delle Zone Economiche Speciali, prodromo di una “nuova stagione per le politiche di sviluppo”. “Né incentivi a pioggia né intervento diretto dello Stato nell’economia”. Piuttosto “una cornice di maggiore competitività determinata da strumenti di semplificazione, crediti di imposta, contiguità ad aree già dotate di infrastrutture e di servizi per la logistica”. Per poter trovare, perché no?, “nelle acque spesso tormentate del Mediterraneo la risposta alle nostre ansie”.
Giovanni Grande